Storia

Storici arabi delle Crociate: una rilettura per questi giorni

12 Gennaio 2015

In questi giorni si è scritto molto della recrudescenza della violenza politico-religiosa di matrice musulmana che, con l’attacco al Charlie Hebdo e i successivi giorni di paura a Parigi, ha ferito il cuore dell’Europa. Forse si è scritto fin troppo. Anche per questo io preferisco evitare di avventurarmi su un tema che richiederebbe competenze che non domino.

Mi limito però a suggerire, come supporto a una necessaria riflessione ad ampio spettro, un’antologia piuttosto nota, che ormai ha quasi sessant’anni, ma che Einaudi ha spesso ripubblicato (l’ultima volta, mi pare, nel 2007) rendendola facilmente reperibile: Storici arabi delle Crociate, raccolta di testi uscita nel 1957 a cura del grande orientalista Francesco Gabrieli, che fu anche editore italiano delle Mille e una notte.

L’obiettivo del volume, ovvero lo sguardo “dall’altra parte” delle tensioni del mediterraneo medievale, non era certo nuovo, visto che già a partire dal primo Ottocento, agli albori dello studio critico professionale delle lingue e delle civiltà orientali in Europa, la storiografia soprattutto francese aveva ripetutamente proposto spunti simili. Negli ultimi decenni, però, gli studiosi si sono mostrati più attrezzati a comprendere il peso determinante delle pulsioni ideali, delle identità collettive e dei riferimenti religioso-sacrali nella determinazione di scelte e comportamenti, e sembrano poter restituire con maggiore chiarezza il complesso intreccio di quella dimensione con le pur fondamentali dinamiche di natura sociale, demografica ed economica nella ricostruzione dei rapporti tra occidente cristiano e mondo musulmano.

Tutto questo, naturalmente, non era e non deve essere allo scopo di rintracciare inutili e sicuramente forzati paralleli tra l’attualità e un’epoca completamente diversa su tutti i piani. Può essere in effetti utile comprendere nel loro farsi la potenza e la straordinaria longevità di pregiudizi, accostamenti, anatemi ancora oggi sorprendentemente vitali. Ma l’esercizio più fruttuoso è proprio quello di individuare, attraverso queste linee di analisi, la profondità e la qualità delle differenze, anche in un rapporto tra fedi ed esperienze religiose e di vita che, nell’Undicesimo-Dodicesimo secolo, si svolgeva attraverso civiltà non così estranee l’una all’altra. Il confronto con la riflessione sulle guerre di religione dei letterati islamici, infatti, porta a riflettere sui punti in comune di tradizioni di narrazione storica entrambe imbevute dei precedenti classici e della tradizione orientale (filtrata in occidente attraverso i modelli biblici). E, quasi per converso, una volta ridotte le distanze tra le sponde del Mediterraneo, aiuta a guardare con maggiore attenzione alle faglie di divisione e agli elementi di complessità e quasi di contraddizione a quell’universo musulmano che solitamente si è portati a percepire monolitico, ma che proprio di fronte all’espansionismo europeo nel cuore del Medio Evo viveva una crisi di identità profonda, pienamente percepita dai suoi interpreti più accorti, tra frammentazione politica, destabilizzazione dovuta alle migrazioni turche da Est, e in generale con la transizione tra la spinta propulsiva del califfato ormai esaurita e la ricerca di nuove forme di gestione politica e religiosa.

 Soprattutto, ed è questo il lascito che il curatore evidenzia con maggior forza concludendo la sua nota introduttiva, la lettura serve a ristabilire i contatti con la comune umanità dei contendenti, con parole che ancora oggi, seppur segnate anch’esse dal tempo, riescono a sfidare identificazioni esclusive, tanto radicate e quasi istintive quanto inopportune, con una delle parti in causa:

Dopo aver trascorso molti mesi in compagnia di questi storici musulmani delle Crociate, e averne ascoltato le voci di durezza e ostilità fanatica verso la fede dei nostri padri, ma anche di religioso zelo ed amore alla loro tradizione avita, di affetto alle loro memorie, di ammirazione per i campioni e i martiri che si consacrarono alla loro difesa, sia permessa al raccoglitore di queste pagine una confessione Una confessione di reverenza e di etimologica ‘simpatia’ per una civiltà […] che forse mai prima d’ora gli aveva rivelato intera […] la sua forza ispiratrice di pazienza, di dedizione di sé, di sacrifizio, la sua mirabile elasticità e potenza di recupero nell’avversa fortuna, la sua granitica fede in un ordine assoluto e supremo. Tutte queste qualità siamo abituati a formulare, quando vengono ‘dall’altra parte’, in termini dei difetti o vizi correlativi. Che una volta tanto, senza rinnegamento ma senza pavidi scrupoli, siano chiamate col loro proprio nome“.

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