Storia

Storia, memoria e amnesia. A proposito del fascismo

27 Ottobre 2022

Nel secondo capitolo – dal titolo «Tra consenso e coercizione» – di Mussolini e il fascismo. Storia, memoria e amnesia (Viella) in cui il sottotitolo «Storia, memoria e amnesia» per certi aspetti è la vera ossatura del libro, Paul Corner ricorda opportunamente come il livello di corruzione dei quadri intermedi del Partito nazionale fascista [Pnf] fosse la consuetudine [pp. 51-52] e come la struttura stessa del regime lo favorisse. «L’aumento della corruzione – scrive Corner – deve essere ricondotto a una serie di fattori: la mancanza di controlli indipendenti sul comportamento, la stampa addomesticata, il senso di impunità di fronte alla legge, la consapevolezza che il partito preferiva chiudere un occhio piuttosto che rischiare uno scandalo».

Questo non elimina il «mito Mussolini» perché, continua Corner “la gente ingenuamente credeva che il duce fosse all’oscuro di quanto stava succedendo”.

Tratto tipico delle dittature.

Un capo irreprensibile, o presunto tale, comunque vissuto come corpo puro della nazione – una realtà di periferia corrotta. Un’istantanea che fotografa il funzionamento dei sistemi autoritari. Un modello che ha la sua prima formula nell’ Ispettore generale di Nikolaj Gogol e che poi Luigi  Zampa nel 1962 replicherà con  Gli anni ruggenti appunto ambientandolo nell’Italia fascista degli «anni del consenso», qualunque cosa questa espressione alquanto ambigua o incerta voglia dire.

In breve una struttura a forte vocazione clientelare che spiega anche come il crollo del fascismo avvenga progressivamente già a partire dalla fine degli anni ’30 (e comunque prima dell’inizio della guerra) con il lento venir meno della credibilità di Mussolini come vincitore. Ragion per cui il crollo non avviene come «rivelazione» nel luglio 1943 – perché gli alleati non furono fermati sul «bagnasciuga» – ma si consuma con lentezza già prima.

Ma lo stesso distacco tra realtà di ciò che il fascismo fece (e soprattutto non fece) e immagine che di esso è rimasta vale, per esempio, anche a proposito della lotta alla mafia che non fu quel grande successo che si tramanda e, soprattutto, non era motivata dal ripristino della legalità, bensì dall’affermazione del proprio potere totalitario che mal sopporta la presenza sul territorio di altri poteri concorrenti. Una lotta, per di più non segnata da particolare successo.

Da questo punto di vista la lotta alla mafia mossa dal fascismo assomiglia molto alla lotta alla Chiesa e alla sua volontà di avere strutture del tempo libero e proprie, dalle strutture volte alla cura dell’infanzia, alle strutture associative universitarie, alla cura di supporto alle famiglie bisognose.

Una modalità insomma che non si preoccupa prevalentemente di eliminare la criminalità, ma di colpire strutture avvertite come poteri alternativi al suo.

E ancora. I molti meriti che il fascismo si attribuisce in tempo reale -ovvero nel tempo dell’esercizio della sua dittatura si basano su un racconto molto «purgato», comunque monco.

Primo esempio: la costruzione dello Stato sociale. Un dato per tutti, le pensioni introdotte in Italia nel 1895 da Francesco Crispi, poi prima della Prima guerra mondiale allargate nel 1919 con l’istituzione della Cassa Nazionale per le Assicurazioni sociali

Secondo esempio: Le bonifiche. Nel 1940 sono stati realizzati meno della metà dei piani di bonifica e meno della metà delle terre bonificate era stata trasformata come previsto dalla legge. Insieme va ricordato che la legge prevedeva originariamente la divisione, l’esproprio e la ripartizione in piccole proprietà delle terre una volta bonificate, soprattutto per quanto riguardava i latifondi o le grandi proprietà agricole. Se l’esproprio, già all’inizio, fu una pratica molto contrastata dai grandi proprietari terrieri, occorre ricordare che a partire dal 1934, il regime non la persegue più. È il motivo per cui Arrigo Serpieri, sottosegretario al Ministero dell’Agricoltura e foreste, con delega alla Bonifica integrale, che vara il Testo unico sulla bonifica integrale (Legge n. 215 del 13 febbraio 1933) si dimette nello stesso anno.

Due esempi tra molti che testimoniamo di una cosa: l’impatto, nella lunga durata – allora e per certi aspetti ancora oggi – della propaganda di ciò che si diceva di fare, a fronte di ciò che realmente si faceva, è ancora molto forte e profondo.

Ma a questo si potrebbe anche aggiungere un dato che riguarda la cultura di cui è espressione la pratica della bonifica. Ancora rimanendo sul piano delle bonifiche realizzate, se è vero che il fascismo non si è disinteressato della natura, è vero, invece, e piuttosto che ne ha fatto un uso attento, ma – e questo è dirimente, estraneo a, anzi alieno da, idee di cura e conservazione dell’ambiente.

In breve non è mai esistito, né è mai entrato in agenda, un «green fascism» ne è mai stato all’ordine del giorno una cultura nera del «verde» o, se si vuol essere più precisi, quella cultura dell’ambiente è lontana da idee di cura della natura  non ha da proporre alcunché per rispondere efficacente alle sfide attuali di sostenibilità.

In altre parole è mito.

 

Per concludere

Paul Corner propone una lettura efficace smontando tutte le false verità del e sul fascismo.

A noi tuttavia resta in mano un problema che appunto sottosta come traccia del libro e che Corner accenna nelle pagine iniziali: il fatto che del fascismo, più della memoria, è sovrana l’amnesia.

Con il che ciò che ci resta da indagare oltre quel tempo è che la memoria, da sola è spesso ingannevole.

La memoria, infatti, riguarda i modi in cui le persone costruiscono un senso del passato e i modi in cui cercano di dare senso al passato.

Sottolinea nelle pagine iniziali Paul Corner che la memoria non dipende dai documenti o dagli archivi, talvolta nemmeno si riferisce necessariamente ai «fatti». Contemporaneamente ricorda come la memoria non sia solo guardare indietro, ma riguardi anche il tempo presente e talvolta si proponga come piattaforma di regole per pensare futuro.

Questo ci interessa perché in questo caso la memoria non è solo ciò che è accaduto prima, spesso è anche ciò che scegliamo di dimenticare e ciò che decidiamo di conservare del passato. O ciò che continuiamo a ripetere fino ad assorbirlo come dato certo.

E tuttavia certo non è. Anzi spesso appartiene a ciò che non è accaduto O che accadde in direzione molto diversa, se non opposta.

A dimostrazione che il sottotitolo «Storia, memoria e amnesia» per certi aspetti è la vera ossatura del libro e forse, è la vera lezione di storia che ci portiamo a casa da questo libro, tanto denso, quanto «puntuto».

 

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