Storia

Stanislav Petrov: lo sconosciuto che salvò il mondo

2 Aprile 2016

Correva l’anno 1983, la guerra fredda era al suo culmine e i rapporti tra Usa e Urss non erano mai stati così gelidi: il mondo intero temeva per lo scoppio della terza guerra mondiale, che avrebbe significato un conflitto nucleare potenzialmente devastante per il nostro pianeta. All’inizio del mese di settembre un caccia sovietico aveva abbattuto un aereo di linea sudcoreano che, per errore, era penetrato nello spazio aereo dell’URSS: erano morte tutte le 269 persone a bordo. Pochi mesi prima il Presidente Reagan aveva coniato l’espressione “Impero del Male” e annunciato il programma delle guerre stellari. Si programmava il dispiegamento dei missili Pershing in Europa. Al Cremlino c’era Yuri Andropov che si era convinto che gli USA stavano preparando un attacco, un primo colpo nucleare. Oggi gli storici ricostruiscono quel periodo come il momento di maggiore rischio per l’umanità, forse ancora peggiore della crisi dei missili a Cuba.

Tuttavia, grazie al sangue freddo di un tenente colonnello dell’esercito sovietico, Stanislav Petrov, il 26 settembre 1983 quel potenziale conflitto nucleare tanto temuto fu sventato. Come? Semplicemente non eseguendo gli ordini dell’alto comando.

Quella sera Petrov non doveva nemmeno essere sul posto di lavoro perchè era il suo giorno libero, ma improvvisamente fu richiamato in servizio a causa di un malore che colpì un suo collega. Egli era l’ufficiale di servizio al bunker Serpuchov 15, vicino a Mosca con il compito di controllare il satellite e notificare ai suoi superiori un eventuale attacco nucleare contro l’URSS. Nel caso si fosse presentato un attacco, la strategia dell’Unione Sovietica era quella di lanciare immediatamente, senza indugio, un contrattacco nucleare su vasta scala contro gli Stati Uniti e paesi europei come Germania, Francia e Regno Unito, secondo la dottrina della distruzione mutua assicurata.

Alle 00:14 (ora di Mosca), mentre tutto taceva, ed i soldati bevevano tranquillamente qualche bicchierino di nascosto di vodka, un suono assordante squarcia la tranquillità della base, una luce rossa intermittente abbaglia i presenti. Il satellite diede l’allarme segnalando il lancio di 5 missili nucleari dalla base di Malmstrom in Montana verso il territorio sovietico. Mentre l’intera base era nel panico più totale, Petrov si trovò davanti ad una scelta straordinariamente difficile e da prendere in soli 20 minuti, il tempo che impiegava un missile a raggiungere l’Urss dagli Stati Uniti: doveva decidere il da farsi. Egli ben sapeva quali fossero gli ordini in caso di attacco nucleare preventivo da parte degli americani, e sapeva anche che , dopo la comunicazione ai superiori, l’allarme lanciato percorrerà la scala gerarchica e porterà in pochi minuti alla massiccia operazione di rappresaglia. Tuttavia il colonnello Petrov decise di aspettare: attese, attese, attese e nulla successe. Egli non era convinto dal fatto che l’attacco preventivo americano fosse partito con soli 5 missili, quando potenzialmente gli Usa avrebbero potuto lanciarne un centinaio.Così, conoscendo a menadito le peculiarità del sistema satellitare sovietico OKO, decise di interpretare l’allarme come un errore e non segnalò ai suoi superiori l’accaduto. Una volta che fu cessato l’allarme,si accasciò sulla sedia, e bevve mezza bottiglia di vodka. Racconta che dormì per diciotto ore, senza mangiare e bere, dopo l’accaduto. Lanciare l’allarme avrebbe significato dar avvio al conflitto nucleare.

Dopo poco tempo fu accertato che si trattò di un falso allarme dovuto ad una rara congiunzione astronomica tra la Terra, il Sole e il sistema satellitare OKO, e dato che l’intuizione di Petrov si rivelò esatta l’esercito sovietico decise di non punirlo pur avendo disatteso agli ordini.Tuttavia, dopo pochi mesi, egli fu comunque costretto alla pensione anticipata a causa di un esaurimento nervoso dovuto allo stress. Petrov si ritirò dunque a vita privata, esattamente a Frjazino, un piccolo villaggio vicino Mosca.

Devono passare però ben 22 anni prima che  il merito di questo eroe moderno venisse riconosciuto dal mondo intero: nel 2004 l’Associazione Cittadini del Mondo, con base a San Francisco, gli ha consegnato un riconoscimento e un premio simbolico di mille dollari, il primo di tanti premi e riconoscimenti. Nel 2006 il Senato australiano gli ha conferito una onorificenza ed il 19 gennaio 2006 è stato ricevuto all’ONU, la giornata che riterrà la più bella della sua vita.

Alcuni esperti sovietici e americani hanno stimato che cosa sarebbe successo se Petrov avesse seguito il protocollo: i decessi a livello mondiale, tra diretti ed indiretti, sarebbero potuti essere circa 4 miliardi.

Oggi Petrov, che vive con una pensione di circa 200 dollari mensili, ammette di non essere mai stato sicuro che si fosse trattato di un errore. “Ero l’unico ufficiale che aveva ricevuto un’educazione civile, mentre tutti i miei colleghi erano militari a cui era stato insegnato ad obbedire agli ordini, senza se e senza ma. Nei momenti successi non riuscivo a capacitarmi di come i nostri sistemi militari avessero potuto fallire così miseramente: non sapevo proprio cosa pensare”.

A distanza di oltre trent’anni, il colonnello Petrov non vuole che si parli di lui come un eroe:”Ho fatto semplicemente il mio lavoro, e sapevo che nessuno avrebbe potuto rimediare ai miei errori. Diciamo che siete stati fortunati che ci fossi io in sala comando quella notte

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