Legislazione

Sicilia, un’autonomia costituzionalmente imperfetta

22 Gennaio 2018

70 anni fa, con la pubblicazione della legge Costituzionale n.2, lo Statuto regionale siciliano assurgeva a rango costituzionale.

Il 20 aprile del 1947 si erano svolte le consultazioni per le elezione della prima assemblea regionale siciliana. Un atto che, a livello romano, aveva suscitato qualche malumore: in molti pensavano infatti che elezioni avrebbero dovuto aver luogo dopo che lo Statuto regionale del ’46 fosse stato coordinato con la Costituzione repubblicana.

Per bloccare lo svolgimento di quelle consultazioni, a firma di autorevoli costituenti come Ugo La Malfa e Virgilio Nasi, fu addirittura presentata una mozione, con la quale si invitava il governo nazionale ad intervenire per revocare il decreto di convocazione dei comizi elettorali, a parere dei presentatori illegittimo in quanto si sarebbe dovuto attendere il coordinamento dello Statuto con la Costituzione.

Decisivo, per far propendere per la legittimità del provvedimento, fu allora l’autorevole parere di Gaspare Ambrosini. Una serena riflessione, però, conferma che quanti manifestavano perplessità in ordine a quel decreto, qualche ragione l’avevano, il coordinamento dello Statuto con la Costituzione, previsto dal regio decreto legislativo n.455 con cui si concedeva l’Autonomia alla Sicilia,  si appalesava pregiudiziale per impedire che potessero sorgere, come in effetti accadde, quei  problemi interpretativi che avrebbero pesato nel corso degli anni successivi alimentando una conflittualità poco opportuna fra Stato e Regione in merito all’estensione delle stesse prerogative autonomistiche.

Purtroppo, però,  e fu una rilevante criticità, quell’auspicato coordinamento tardò e sicuramente  non avvenne nei termini e nei modi in cui si sarebbe dovuto svolgere perché la Costituente, quando affrontò il tema, aveva già concluso i lavori tanto da essere costretta a relegare il dibattito in una coda aggiuntiva dei lavori Assembleari.

La fretta che presiedette ai lavori consentì anche che fosse approvato un emendamento, giudicato eversivo delle prerogative statutarie, a firma degli onorevoli Persico e Dominedò che recitava “Ferma restando la procedura di revisione preveduta dalla Costituzione, le modificazioni ritenute necessarie dallo Stato o dalla Regione, non oltre due anni dall’entrata in vigore della presente legge, saranno approvate dal Parlamento nazionale con legge ordinaria, udita l’Assemblea regionale della Sicilia.”

Eversivo perché con l’approvazione di questo emendamento si degradava, anche se per un tempo limitato a due anni, il valore dello Statuto legge costituzionale a norma ordinaria. Nonostante le osservazioni critiche e le polemiche che ne derivarono, il regio decreto legislativo n.455, il 31 gennaio 1948,  con la legge costituzionale n.2, venne convertito in legge costituzionale con le modifiche apportate dalla Costituente.

Proprio perché quelle modifiche venivano considerate un più che evidente vulnus all’impianto statutario ci fu una immediata reazione a livello regionale. L’allora presidente della Regione siciliana Giuseppe Alessi, in questo caso con il consenso generale dell’Assemblea, decise di impugnarle davanti l’Alta Corte, organo di giustizia costituzionale deputato a dirimere i conflitti fra Stato e Regione le cui competenze oggi sono state assorbite dalla Corte Costituzionale.

Il ricorso della Regione, redatto da giuristi del calibro di Enrico La Loggia, Salvatore Orlando Cascio e Domenico Rubino, fu accolto dall’Alta Corte che, con la sentenza del 19 luglio 1948, dichiarava la illegittimità delle modifiche introdotte con l’emendamento Persico Dominedò. Un successo, dunque, che tuttavia  finì per essere una vittoria di Pirro, in quanto restò  irrisolto il problema del necessario coordinamento fra la Costituzione repubblicana e lo Statuto regionale.

Il risultato pratico di tutto questo fu devastante tanto che il lamentato ridimensionamenti delle prerogative e competenze statutarie – di quelle finanziarie in modo particolare – è da ricondurre in gran parte a quel problema che avrebbe dovuto essere risolto a monte e che, per ragioni di opportunità, è stato lasciato marcire con i risultati che sono oggi davanti ai nostri occhi.

 

Pasquale Hamel

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