Storia
Si scrive Catania, si legge Mafia
Il libro di Sebastiano Ardita non è l’esposizione d’un teorema, piuttosto è la narrazione d’una storia, che pare annodarsi idealmente a quella raccontata da Giuseppe Fava, fino a prima d’essere ammazzato. Del saggio del magistrato (attualmente a Messina) c’era bisogno, perché a Catania gli anticorpi contro la mafia e la mafiosità sono ancora pochi e deboli e così nei bar e sui giornali c’è sempre tempo per tacere.
Ardita è pacato e nel suo libro, non urla tesi e non si straccia le vesti a favore di quell’antimafia che si è fatta istituzione (e che ha come espressione le facce di Montante e Crocetta) e nemmeno difende dal punto di vista giuridico la cosiddetta Trattativa, che fa vendere copie e fomenta tifoserie.
Nel saggio, edito da Mondadori, Ardita srotola pochi fili, ma decisivi a far comprendere ai lettori di buona coscienza, il fenomeno mafioso. La mafia s’insinua nei gangli dello Stato, attraverso politiche efficaci più che coi colpi di lupara, attraverso la connivenza e la collusione, aspettando al varco gli uomini dei quali vuole servirsi, per comprarli o ricattarli al momento giusto.
La mafia arricchisce in denaro, prestigio e potere in modo proporzionale alla sua invisibilità. Sparisce dai radar delle coscienze civili, approfittando della contingenza e del silenzio di politica e giornalismo, per fare un esempio, e s’inabissa nei passaggi societari, per riciclare i profitti illeciti.
La mafia poi, mette da parte la sua ala militare, perché non ne ha più bisogno per sedersi al tavolo coi colletti bianchi, s’è fatta una chirurgia plastica per rendersi irriconoscibile e si è cucita addosso giacca e cravatta (o maglioncino, a seconda la moda del momento).
“Osservo uno splendido locale da ballo, pieno di strutture avveniristiche e manifatture preziose; poi guardo il costo del biglietto e mi domando: rientrerà nelle spese chi ha investito così tanto? Ammiro uno storico albergo sulla scogliera ionica, che era andato in crisi. Lo ritrovo tutto ristrutturato ed elegante; sembra un paradiso terrestre, ma è un paradiso vuoto, con gli ospiti che si contano sulle dita di una mano. Mi chiedo quale ‘mecenate’ ci sia dietro una simile opera … E poi, transitando su un viale, vedo una sala bingo che è grande quanto un campo di calcio e mi domando con curiosità chi avrà avuto voglia di investire così tanto in un momento di crisi”.
Così scrive nelle pagine finali, il magistrato che non riesce proprio a chiudere gli occhi e perciò: osserva e si domanda.
E basterebbe che queste due abitudini, fossero praticate da tutti “osservare e domandare” per indebolire la mafia. Per darle il colpo di grazia poi, basterebbe scrivere e martellare chi di dovere, con inchieste giornalistiche e giudiziarie, fino ad ottenere una risposta.
La fiamma della mafia catanese ha vinto scrive Ardita, anzi di più, ha fatto da apripista alla nuova politica mafiosa (che poi è antichissima), che poco a poco si prenderà gli Stati (quando non se li è già presi).
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