Storia

Saul Alinsky e le vite degli altri

10 Luglio 2021

Recensione di S. Alinsky, Radicali, all’azione! Organizzare i senza-potere, a cura di Alessandro Coppola e Mattia Diletti, Edizioni dell’Asino, 2020

 

Il “community organizing”

L’elezione di Joe Biden ha destato interesse per la realtà dell’attivismo politico statunitense. Il contesto che ha preparato l’esito delle ultime presidenziali americane, col movimento Black Lives Matters, la candidatura di Bernie Sanders, l’elezione al Congresso di Alexandria Ocasio Cortez, la mobilitazione per la registrazione al voto guidata, in Georgia, da Stacey Abrams, ha mostrato l’emergere di una partecipazione collettiva capace di definire obiettivi programmatici di grande rilievo e di sostenerli con metodi di organizzazione versatili e creativi. Le edizioni dell’Asino ci offrono un’occasione di approfondire le radici della “politica dal basso”, negli Usa, grazie alla traduzione, a cura di Alessandro Coppola e Mattia Diletti, di Rules for Radicals, testo che contiene il pensiero politico del padre del “community organizing” americano, Saul Alinsky (“Radicali, all’azione! Organizzare i senza-potere”). L’interesse per Alinsky era tornato già da qualche anno, negli Usa, perché citato da Obama come ispiratore delle sue esperienze politiche giovanili.

Formatosi nella scuola sociologica di Chicago di Robert Park e Anthony Burgess nei primi anni ’30, Alinsky non vuole limitarsi a studiare la realtà delle condizioni di vita e dei modi di pensare delle popolazioni dei sobborghi di Chicago, ma s’impegna a promuoverne l’azione collettiva, secondo una concezione della democrazia “come processo continuamente insorgente”, e – dicono Coppola e Diletti nell’introduzione al libro – secondo un “metodo che fosse in una certa misura scientifico”, a sua volta generato, oltre che dagli studi sociologici, dall’esperienza diretta del lavoro di “community organizing”.

Quando si parla di “community organizing” nel senso di Alinsky, non s’intende né la creazione di realtà “autogestite” che agiscono nell’intero territorio ma a partire da una precisa localizzazione e da un precisa appartenenza (come può essere un’associazione culturale o un centro sociale di quartiere) ma neppure la “concertazione” che determinati attori istituzionali specializzati conducono con delle realtà territoriali intorno a obiettivi specifici e delimitati; s’intende la mobilitazione dell’intero territorio, dell’intero quartiere, sia come cooperazione permanente tesa a rafforzare le relazioni comunitarie – in particolare combattendo la segregazione etnica e razziale -, sia come “vertenza territoriale” su obiettivi specifici (per gli alloggi, in appoggio a vertenze sindacali, per ottenere finanziamenti a programmi assistenziali) ma che abbiano sempre come orizzonte l’interrelazione dei diversi aspetti della vita economica e sociale.  Da questo punto di vista, Alinsky è molto chiaro: “Un’organizzazione di quartiere realizzerà ben presto che i suoi problemi riguardano ogni aspetto della vita. Ne consegue che il suo programma dovrà essere ampio, approfondito e onnicomprensivo”. Inoltre, il programma comunitario non deve mai isolare un problema, ma contestualizzarlo come elemento di una più generale dinamica della realtà sociale. Ad es., il problema della “criminalità” non è un problema di polizia, ma un problema di “disorganizzazione sociale”, ovvero non può essere trattato indipendentemente dalla disoccupazione, dalla segregazione razziale, dall’assenza di adeguati sistemi di sanità e istruzione.

La costruzione dell’organizzazione territoriale è considerata, da Alinsky, come la realizzazione di una coalizione che sia la più larga possibile. Considera essenziali le chiese locali (ottenendo anche l’obiettivo di una collaborazione “ecumenica” che superi la rivalità tra le diverse confessioni) nonché i commercianti. E’ evidente che il tipo di società in cui Alinsky si muove e agisce è profondamente articolata, ma in qualche modo implica una convergenza spontanea verso un centro che ruota attorno alla “working class”.

 

Un “sindacalismo” particolare

L’istanza di Alinsky – che si concretizzerà nel 1939, a Chicago, con la nascita dell’ampia coalizione territoriale del Back of the Yards Neighborhood Council (Bync) – può essere definita un modello di “sindacalismo territoriale”. Esso, negli anni ‘40, viene ad intrecciarsi all’espansione del “sindacalismo industriale” della CIO che, rompendo con il corporativismo e il segregazionismo del “sindacato di mestiere” dell’AFL, promuoverà il grande ciclo di scioperi operai dell’epoca del New Deal. Alinsky instaura con il sindacato un rapporto dialettico e complesso: da un lato “l’organizzazione di quartiere” diventa alleata del sindacato durante gli scioperi, dall’altro Alinsky critica la centralizzazione delle organizzazioni sindacali e la loro tendenza a limitare le proprie rivendicazioni agli aumenti salariali dei lavoratori, evitando un impegno teso alla più complessiva trasformazione sociale: “Il movimento sindacale abbracci una filosofia onnicomprensiva, che gli faccia riconoscere chiaramente come il benessere dei suoi affiliati non dipenda soltanto da un miglioramento della loro remunerazione economica, ma anche dal miglioramento generale delle loro condizioni generali di vita … un tale cambio di prospettiva porterebbe alla scomparsa di tutte le segmentazioni delle nostre vite”.

Sulla base dei successi di Bync a Chicago, Alinsky dalla fine degli anni ’40 promuoverà l’Industrial Areas Foundation (Iaf), “un’organizzazione di rilevanza nazionale che si dedicherà a vaste operazioni di raccolta fondi e di formazione in vista della promozione di nuove campagne di “organizing” in tutto il paese” (Coppola-Diletti). Sarà una fucina di organizzazioni e personalità che assumeranno grande rilievo nelle battaglie sociali e sindacali negli Usa tra gli anni ’50 e ’70. Ma la sua influenza si distenderà anche oltre nel tempo, come ad esempio nella campagna Justice for Janitors, fatta conoscere nel mondo dal film di Ken Loach Il pane e le rose.

 

Lottare “con” la gente, non “per” la gente

L’orizzonte ideale di Alinsky viene a coincidere con la concezione della democrazia di Dewey, processo partecipativo che promuova al contempo la presa di coscienza del proprio reale interesse da parte degli attori, e dei nessi tra interessi locali e interesse collettivo. Allo stesso tempo, la sua diffidenza nei confronti delle ideologie costituite lo spinge a sfuggire a categorie e ad appartenenze definite, cercando sempre di non essere etichettato. In Radicali, all’azione!, i riferimenti continui alla promessa della Dichiarazione d’Indipendenza e ai valori “popolari” americani, più che definire un’appartenenza, hanno la funzione di costituire uno “sfondo” dell’azione pratica, la strategia e la tattica per spingere i “dispossessed” a farsi carico concretamente del proprio destino. In ciò, la funzione dell’organizzatore di comunità non è tanto quella di un “dirigente”, quanto di un “maieuta”, che s’impegna nella costruzione di relazioni tra persone e gruppi molto diversi e cerca di sviluppare un processo di “empowerment” in seno alle comunità. In questo, Alinsky, assomiglia a delle figure italiane come Aldo Capitini e Danilo Dolci. Il primo, intellettuale noto per aver introdotto in Italia il pensiero di Gandhi e l’azione diretta non-violenta, nonché per l’ideazione della Marcia Perugia-Assisi, darà vita, tra il 1944 e il 1948, alla rete dei Cos, Centri di orientamento sociale, che si costituiranno in diverse città del Centro Italia. Tali assemblee non avevano funzione sindacale o deliberativa, ma di “orientamento” per i cittadini nel senso della comprensione dei propri interessi e delle proprie scelte attraverso il confronto con altri. Il secondo, poeta e sociologo, scelse di stabilirsi agli inizi degli anni ‘50 in Sicilia per promuovere l’azione collettiva dei contadini. Giunto a notorietà internazionale a seguito del processo penale per l’organizzazione di uno “sciopero a rovescio”, nel 1956,  riverserà le metodiche di discussione nate durante le lotte per suscitare la “presa di parola” dei contadini, in una proposta pedagogica, la “maieutica reciproca”, volta a promuovere l’”empowerment” dei soggetti in formazione attraverso il dialogo orizzontale e la ricerca di soluzioni comuni.

Capitini, Dolci e Alinsky hanno in comune l’idea che non si può lottare “per le persone” ma si può farlo solamente “con le persone”. Alinsky nutre un’attenzione particolare per l’informalità. Richard Sennett, nel suo “Insieme”, dipinge così il suo “modus operandi”: “Il suo “metodo” consisteva nello studiare da vicino le strade e i quartieri dove abitavano i membri di ciascuna comunità, nel fermarsi a chiacchierare con la gente, nell’aggregarla e … nello sperare in Dio: non diceva mai alle persone che cosa dovevano fare, anzi incoraggiava i timidi a prendere la parola, limitandosi da parte sua a fornire in modo obiettivo le informazioni richieste”. Il processo di costruzione di un’organizzazione comunitaria può avere successo soltanto a condizione del massimo rispetto per le persone e per le “tradizioni locali”. Alinsky, quando parla di “rispetto”, non intende una concessione formale agli usi e costumi di coloro che sono alieni da tradizioni intellettuali, bensì l’idea che deve essere la stessa gente del luogo “a fare la diagnosi” dei problemi che l’affliggono e che, anche a fronte di una forte asimmetria nelle conoscenze, strategie e soluzioni non devono essere impartite dall’alto di un sapere superiore, ma devono essere il prodotto di una ricerca comune.

Il ritratto che fa Sennett di Alinsky lo propone quale esponente di una netta frattura storica che si venuta aprendo, sin dal XIX secolo, tra la “sinistra politica” e la “sinistra sociale”. La prima con un orientamento verticistico, un’organizzazione centralizzata e tendente a proporre modelli uniformi di pensiero e di azione; la seconda che cerca di accogliere voci contrastanti e mettere insieme persone diverse, ponendo al centro più la costruzione di legami sociali che il raggiungimento del risultato. La biografia stessa di Alinsky, ma soprattutto l’impatto a lungo termine delle sue idee e delle sue sperimentazioni sulla politica della sinistra americana non mi sembrano dare credito a questa immagine. Alinsky appare piuttosto qualcuno capace di gettare ponti muovendosi nel caos di una società che, non da oggi, erige barriere materiali e simboliche, genera le condizioni delle “guerre tra poveri”, riproduce scoraggiamento e disaffezione alla partecipazione utili alla preservazione dello status quo. Qualcuno che insegna che il pragmatismo, necessario a tenere assieme un fronte socialmente e culturalmente eterogeneo e a comprendere anche i limiti di ciò che si può effettivamente ottenere, non per forza debba accompagnarsi all’opportunismo, alla svendita di principi e valori.

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