Storia
«Sapere per fare»: la giornata della memoria insegna la memoria utilitaristica
Non so intorno a che cosa discuteremo in occasione del prossimo Giorno della memoria.
La domanda cui credo dobbiamo cercare di dare delle risposte non è verificare la tenuta della memoria, ma dare consistenza alle domande che riguardano la funzione civile della storia.
In breve ci dobbiamo chiedere non che cosa è bene non dimenticare ma se vale la pena di ricordare e soprattutto perché. La domanda riguarda la funzione utilitaristica della memoria a discapito di quella celebrativa.
Voglio insistere su questa alternativa.
“Memoria celebrativa” è quella che riguarda in forma stringente la modalità con cui abbiamo costruito il nostro calendario civile in questi ultimi anni.
Perduta gran parte del calendario costruito su date storiche che ci riguardano direttamente perché tappe essenziali della costruzione della nostra identità nazionale, abbiamo prevalentemente lavorato su date civili, su date cioè che esprimono valori. In alcuni casi si tratta di valori che avvertiamo fortemente, in atri di valori che hanno dimostrato una capacità minore di mobilitazione o su cui la sensibilità ha avuto maggiori difficoltà a farsi bene collettivo, anche se tutt’altro che marginali.
Per esempio: perché il 12 novembre, Giornata del ricordo dei Caduti militari e civili nelle missioni internazionali per la pace, che riguarda un impegno primario del nostro Paese, non solo non mobilita nessuno, ma non crea memoria?
Io credo che questo stesso percorso, magari più lentamente, coinvolga anche questa giornata, il 27 gennaio. Perché appunto percepita o fatta propria attraverso un elemento celebrativo.
Siamo il Paese con più date memoriali nel proprio calendario. Ha ricordato lo storico Giovanni De Luna (La repubblica del dolore, Feltrinelli) come negli ultimi dieci anni sull’Italia si è abbattuta una valanga di date. Oltre al 27 gennaio, e al 12 novembre abbiamo il 10 febbraio il «giorno del ricordo» in memoria delle vittime delle foibe; il 9 maggio come «giorno della memoria» dedicato alle vittime del terrorismo. Poi abbiamo il 4 ottobre, «già solennità civile in onore dei Patroni speciali d’Italia San Francesco d’Assisi e Santa Caterina da Siena», dichiarata anche «giornata della pace, della fraternità e del dialogo tra appartenenti a culture e religioni diverse»; il 2 ottobre giorno della Festa dei nonni.
Siamo pieni di tante date di feste e di giorni della memoria, ma abbiamo uno scarso rapporto critico con la storia.
Quella ridondanza rischia di incrementare la sacralizzazione del passato e l’irrilevanza degli eventi terribili che accadono nel nostro presente.
Credo che una delle modalità per uscire almeno in questo caso dall’elemento celebrativo sia adottare una funzione utilitaristica della memoria. Voglio insistere su questo concetto – “Memoria utilitaristica” – laddove con utilitarismo intendo, con Jeremy Bentham, ciò che produce vantaggio e che rende minimo il dolore e massimo il piacere.
Nel nostro caso la domanda verte a valutare o a misurare l’efficacia della nostra azione ora. Dunque noi ci mobilitiamo, parliamo o ci riuniamo perché?
Qual è il tema del 27 gennaio? Il genocidio.
Dunque come e in che forme la riflessione e la memoria o lo sguardo concentrato sul genocidio e lo sterminio rende minimo il dolore e massimo il piacere? L’idea che si possa agire per impedire ripetersi del genocidio è uno dei modi per misurare l’efficacia di una riflessione che connette sapere, ovvero prendere consapevolezza di ciò che è stato, e con ciò che facciamo ora o che è possibile fare ora. La condizione è dunque “sapere per fare”
Non è una condizione che appartiene al passato. Riguarda il nostro presente e ci chiama in causa da tempo. In questo senso il 27 gennaio non è un momento di rievocazione del passato, ma uno di riflessione sul passato in relazione alle domande che abbiamo nel presente In concreto riguarda noi più che i nostri nonni.
La prevenzione dei genocidi e più in generale dei crimini contro l’umanità è all’ordine del giorno della politica internazionale dopo le tragedie del Novecento in Europa e l’apertura di altri fronti di persecuzione e di sterminio nel mondo. La sensibilità intiorno agli stermini è cresciuta con l’entrata nel nuovo millennio, ma rimane ancora molto limitata e troppo spesso impotente.
Dunque la prima questione che propone la giornata della memoria è che cosa noi siamo in grado di pensare e poi di fare oggi.
Da ogni trauma della storia si esce trovando le strade per non ripercorrere quella tragedia caso mai quelle condizioni si ripresentassero.
La domanda è semplice e diretta ed è la seguente: esiste un modo o un percorso in cui i genocidi siano evitabili? Esiste una politica preventiva contro gli stermini? la sfida che abbiamo di fronte nel presnte e nel futuro prossimo è se saremo in grado di costruire una sensibilotà pubblica in grado di rispondere a questa domanda. Lì si misuraerà se avremo definito una memoria utilitaristica. Diversamente dovremo acccontentarci di una memoria conservativa. Che è sempre meglio di niente, intendiamoci, ma che non è la risposta adeguata alle domande del nostro tempo.
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