Giustizia
Salvatore Giuliano, un bandito tutt’altro che gentiluomo
L’aureola del bandito gentiluomo, del Robin Hood in salsa siciliana, gliel’ha cucita addosso la solita retorica sicilianista che, dal delitto Notarbartolo in poi, ha spesso messo sull’altare come modelli di virtù eroiche delinquenti e criminali.
Salvatore Giuliano non è stato infatti un eroe da mettere sugli altari, ma solo un assassino ossessionato da un patologico delirio d’onnipotenza.
A costruirne il mito ci si è anche messa certa la letteratura romantica – ma, anche, quella complottista – che si è sbizzarrita a farne ora il simbolo del coraggio ora una sorta di strumento di disegni che andavano oltre la sua persona.
In questo modo si è subdolamente accreditata l’idea di assolverlo per le sue efferate imprese, a cominciare dalla vile strage di Portella della Ginestra.
Possiamo dire che, probabilmente nel clima arroventato del dopoguerra siciliano, ci saranno stati coloro, e in questo caso si tratterebbe sempre dei soliti agrari e mafiosi collegati all’indipendentismo siciliano, che approfittando della sua vanità l’avranno spinto a compiere qualcuna delle sue azioni indegne, ma questo non può farne un mero esecutore né può essere assunto come esimente dalle sue gravissime responsabilità personali.
Proprio Portella della Ginestra, il delitto più esecrabile di cui si rese reo, testimonia il clou di questo gioco interpretativo teso allo scarico delle colpe di Giuliano per caricarle su fantomatici mandanti.
Pare infatti evidente che Giuliano non si fosse recato su quelle montagne, dalle quali partirono i colpi che falciarono tante vite umane, per assistere alla parata del 1° maggio, ma che ci fosse andato per consumare un nuovo delitto da aggiungere a quelli di cui era stato autore anche nei giorni antecedenti la strage, attaccando le camere del lavoro e le sezioni comuniste, le stazioni dei carabinieri etc. etc., e uccidendo, senza pietà, militari, militanti politici e cittadini inermi.
In quanto alla sua oscura eliminazione nel famoso cortile Di Maria a Castelvetrano, una vicenda che ha appassionato in tanti e sulla quale si sono costruiti castelli di dietrologie, senza scomodare i massimi sistemi potremmo immaginare che l’omicidio fosse stato probabilmente ordito dalla mafia, ma non certo per eliminare un testimone scomodo ma solo per meri motivi pratici, cioè dettati dalla opportunità di levarsi dai piedi un personaggio che metteva in difficoltà i mafiosi nello svolgimento delle loro losche trame, e questo perché, attirava sul territorio da essi controllato, una consistente presenza di forze dell’ordine destinate a contrastare le azioni criminali di questo delinquente deificato.
E a proposito delle dietrologie, non è senza significato il fatto che, per andare dietro a alle solite farneticazioni, quello che oggi è un ex magistrato avesse dato il consenso all’apertura di quella specie di tomba mausoleo nella quale il bandito giace dal 1950, perché qualcuno aveva insinuato che il cadavere che vi era sepolto non corrispondesse a quello Salvatore Giuliano. Un’operazione costosa che, com’era prevedibile, si risolse con la clamorosa smentita di quella ridicola supposizione.
Oggi, ricordando le vittime di Portella della Ginestra, sicuramente sentiremo ancora l’abusato e fantasioso racconto della Strage di Stato, una tesi che ha trovato tanti sostenitori, alimentata da chi, come oggi nel caso dell’altra impostura sulla cosiddetta Trattativa, non si rassegna a desistere dal tentativo volgare di strumentalizzazione politica della giustizia.
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