Storia
Ripensare la Shoah nella Giornata della Memoria
Come è potuto accadere il genocidio del popolo ebraico? Ferocia atroce o lucida razionalità da parte del regime nazista? A 80 anni dalla fine della Shoah, un libro appena uscito cerca delle risposte
La ripresa annuale di un evento commemorativo rischia di cadere nella ritualità e di far disperdere nel corso del tempo la sua valenza originaria. Potrebbe incorrere nella stessa evenienza la Giornata della Memoria istituita dal Parlamento italiano nel Luglio del 2000 in riferimento al giorno della liberazione del campo di Auschwitz dai nazisti avvenuta il 27 Gennaio 1945 ad opera della Armata Rossa. Tuttavia, nell’anno appena trascorso la diffusione nel mondo di eventi politico-militari con conflitti di efferata violenza induce a ritornare con la mente e a riflettere con una rinnovata attenzione su una vicenda peculiare nei suoi caratteri come la Shoah.
Sull’argomento ho inteso offrire un contributo con il libro pubblicato da pochi giorni, “Vita e morte nei campi di sterminio. Dall’ascesa del nazismo al compimento della Shoah” (Mimesis, 2025): l’opera descrive e pone gli snodi del tracciato storico che intercorre tra la presa del potere di Hitler il 30 gennaio 1933 e il 1942, anno di inizio del genocidio degli ebrei fino alla liberazione dei campi di sterminio nei primi mesi del 1945.
Testimonianze e immagini delle atrocità commesse in quei campi sono ben note e diffuse e ridarne una descrizione dettagliata e complessiva rimane un compito imprescindibile, ma ritengo altrettanto utile fare chiarezza sulle motivazioni storiche e politiche che hanno portato a quella che è stata definita la “soluzione finale”.
In primo luogo, è da sottolineare che la svolta decisiva per le operazioni di sterminio di massa degli ebrei si ha in un momento puntuale, nella conferenza di Wannsee del 20 Gennaio 1942, alla presenza degli alti gradi del regime nazista. In precedenza, erano circolate proposte riguardanti il trasferimento fuori della Germania degli Untermenschen (sub-uomini), ovvero gli uomini inferiori di razza infetta, quali non solo degli ebrei, ma anche di zingari e omosessuali, in modo da chiudere definitivamente l’“inquinamento” della pura razza ariana, ma che non si erano concretizzate. La conferenza di Wannsee, invece, si concluse con la pubblicazione di un documento decisivo per l’inizio dello sterminio. Questa data si lega strettamente all’andamento della seconda guerra mondiale per i tedeschi, che stava avendo una brusca accelerazione con la dichiarazione di guerra alla Unione Sovietica del Giugno 1941 in seguito all’avvio della cosiddetta “operazione Barbarossa” e nel Dicembre 1941 e all’entrata in guerra contro gli Stati Uniti.
Perché mettere in atto, proprio in quel momento, una macchina organizzativa così complessa e costosa come l’ampliamento dei campi di concentramento già esistenti e l’istituzione di nuovi destinati specificamente allo sterminio? Perché concentrarsi in primo luogo sugli ebrei? Deve essere chiaro che per Hitler e i suoi gerarchi l’operazione andava fatta soppesando i benefici e i costi dovuti. Si ritenne che i benefici della messa in opera della “macchina della morte” sarebbero stati molteplici e i fatti confermarono queste previsioni. In primo luogo, nel momento in cui la guerra si profilava densa di minacce su molteplici fronti, la persecuzione degli ebrei, quale pericoloso nemico interno da eliminare, era un gesto con il quale il governo si proponeva di compattare e di rafforzare lo spirito del popolo tedesco di razza ariana, così da giustificare le privazioni ed i maggiori sacrifici umani che esso doveva mettere in conto con l’inasprimento del conflitto contro i nemici esterni.
Ma, soprattutto, i vantaggi economici erano determinanti per far ritenere congrue le spese e l’impegno di personale nei Lager. Nel libro descrivo la vicenda della ricerca da parte dei nazisti di lavoratori a bassa retribuzione nei paesi europei conquistati e per questo diretti da governi collaborazionisti (Francia, Belgio, Olanda, Lussemburgo, Norvegia) che, tuttavia si rivelò poco fruttuosa, e determinò quindi un cambio di passo con il reclutamento forzato, ovvero l’imposizione del lavoro coatto. Neppure questo risultò sufficiente per le esigenze crescenti in Germania di forza lavoro nelle fabbriche e negli uffici compensativa del richiamo alle armi di milioni di operai, di impiegati e di tecnici specializzati e neanche bastò l’utilizzo dei prigionieri russi. I 12 milioni di ebrei si presentarono così una preziosa forza lavoro a costo zero a cui attingere dopo la selezione tra gli abili e gli altri da eliminare nell’immediato. A questo servivano i campi di sterminio. Che poi lo sfruttamento sui posti di lavoro dei detenuti fosse portato all’estremo tanto da determinare in tempi piuttosto ristretti la loro morte era un costo calcolato. Grazie alle ricorrenti deportazioni di ebrei prelevati dai ghetti e dai centri delle varie parti di Europa, il ricambio di forza lavoro era garantito. La doppia catena di montaggio del lavoro forzato e delle morti nelle camere a gas si accoppiò in perfetta sincronia.
I vantaggi economici portati dai deportati non finiva qui. Essi, infatti, liberavano case da offrire in primo luogo alle famiglie tedesche che le avevano perse per i bombardamenti alleati; si raccomandava, inoltre, di portare con sé denaro, oro, gioielli e strumentazione di valore che venivano sequestrati all’arrivo nel campo, classificati e accumulati in appositi depositi.
Anche i cadaveri dopo la gassazione offrivano ulteriori risorse. I Sonderkommando erano preposti a strappare da essi con appropriate tenaglie denti d’oro e protesi dentarie, e infine le ceneri ricavate dal successivo passaggio nei forni crematori divenivano utile concime da spargere nei campi agricoli delle zone circostanti.
A questa argomentata razionalità sembra contrapporsi l’irrazionale ferocia nella disciplina quotidiana di violenze gratuite, di innumerevoli pratiche di morte, e la follia di efferate torture e sadismi dei campi di sterminio. Non ritengo sufficiente rispondere che ciò era dovuto all’inveterato odio per gli ebrei diffuso nella società tedesca. Torna in mente la celebre battuta di Polonio nell’Amleto: “È folle tutto ciò ma in questa pazzia c’è del metodo”. La follia dei comportamenti delle SS aveva, in realtà, una ragione: a partire dall’accesso al lager gli ebrei venivano umiliati, bastonati, denudati, marchiati così che il loro asservimento divenisse fin da subito totale nello spirito e nel corpo. Questo comportamento degli aguzzini rispondeva ad una logica stringente: ottenere a poche centinaia o, al massimo qualche migliaia di SS, l’obiettivo di dominare milioni di detenuti prostrandoli ad uno stato di totale e assoluta abiezione morale e fisica, scoraggiando così insubordinazioni, che nei fatti furono poche e concluse con il sangue dei cospiratori. Rimane da aggiungere che questa logica è stata sì dissimile nel grado ma non nel genere dai bombardamenti degli anglo-americani, i quali, solo per fare un esempio, nel Febbraio 1945 rasero quasi totalmente al suolo la città di Dresda causando almeno 30.000 civili, senza alcun obiettivo militare ma con la sola deliberata intenzione di deprimere il popolo tedesco e renderlo acquiescente alla loro avanzata. Va infine tenuto conto che la liberazione nei campi di sterminio non chiuse la tragedia degli ebrei: non pochi continuarono a morire per gli stenti subiti, e centinaia di migliaia di sopravvissuti senza più parenti, case, denaro e qualsiasi appoggio cominciarono a vagare sperduti per un’Europa disastrata fin quando per molti di essi si aprì la prospettiva di essere ingaggiati da organizzazioni ebraiche di assistenza con l’offerta del viaggio alla volta del nascente stato di Israele e l’inserimento nella vita spartana dei kibbutz.
In questa riflessione sulla Giornata della Memoria è quindi da porre in evidenza la corrispondenza del compimento della Shoah con la fase più aspra del conflitto nel corso della Seconda guerra mondiale, dai primissimi mesi del 1942 agli ultimi momenti della primavera del 1945.
Non è un caso che le atrocità peggiori legate ai genocidi si siano verificate proprio all’interno di un contesto di guerra. Si pensi ad esempio allo sterminio degli armeni che provocò circa tre di milioni di morti nel corso della Prima Guerra Mondiale tra il 1915 e il 1916 da parte della Turchia. Gli armeni vennero accusati di collusione con l’Impero Russo proprio nel momento in cui esso era in conflitto con la stessa Turchia.
La stretta connessione tra guerra e lo sterminio di un popolo quale evento di massima disumanità nel corso della storia è riportato con queste parole a conclusione del mio libro in quarta di copertina: «Occorre una rinnovata coscienza degli avvenimenti passati e un impegno nella vita quotidiana per combattere i germi di nuove sopraffazioni, di nuovi sfruttamenti, di nuove efferate violenze, ovunque e in qualsiasi forma essi compaiano. Con la consapevolezza che questi germi trovano nella guerra il terreno più favorevole per radicarsi e diffondersi con le peggiori atrocità e che pertanto il primo antidoto a ciò è la promozione della pace in ogni momento e in ogni spazio del pianeta che abitiamo».
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