Storia
Ricordiamo i nomi per ricordare davvero qualcosa
La memoria senza nomi significa ben poco. Se non si ha un ricordo diretto, tangibile di un volto, di un sorriso, di uno sguardo occorre allora un suono, un nome pronunciato. Anche un nome sconosciuto diventa così individuo, una creatura – donna uomo bambina fanciullo vecchio/a che sia. Lo abbiamo detto, e continuiamo a farlo per la Shoah. Abbiamo provato, per lo più invano, per quellʼimmenso cimitero che è il Mare Mediterraneo. Non ci è mai passato per la testa riguardo alle stragi passate e presenti perpetrate da una umanità che forse non è neppure degna di essere chiamata umanità.
Lo penso mentre leggo le parole scritte da Nadežda Mandelštam al marito Osip nellʼottobre 1938, anno in cui fu nuovamente arrestato dal regime staliniano e condannato ai lavori forzati – fu poi trasferito nellʼestremità orientale della Siberia; morì a fine dicembre nel gulag di Vtoraja Rečka, un campo di transito presso Vladivostok.
Chissà quanti milioni di lettere simili sono state vergate, pensate, “sentite” e quante ancora lo saranno. Agli scriventi e ai destinatari sconosciuti e senza nome mi permetto di dedicare le parole di Nadežda. Magari daranno coscienza anche a noi che non siamo nelle condizioni maledette di spedirle e di riceverle.
«Osja, amico mio lontano! Caro, non ho parole per questa lettera, che forse tu non leggerai mai. La affido al vuoto. Forse tu tornerai e io non ci sarò più. Allora, questo sarà l’ultimo ricordo di me. […] Osjuša, comʼè stata felice la nostra vita infantile. Le nostre liti, le nostre baruffe, i nostri giochi e il nostro amore. Ora non guardo nemmeno più il cielo. A chi mostrare le nuvole che scopro? […] Ricordi com’è buono il pane quando compare per un miracolo e lo si mangia in due? [ … ] Ogni mio pensiero è per te. Ogni lacrima e ogni sorriso è per te […] Deve essere difficile e lungo morire da solo, da sola. Possibile che proprio a noi inseparabili dovesse capitare tutto questo? […] Non so se sei vivo. Non so dove sei. Se mi senti. Se sai quanto ti amo […] Sei sempre con me e io, selvaggia, io che non ho mai saputo piangere, adesso piango, piango, piango. Sono io, Nadja. Tu dove sei?».
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