Storia
Ricerca della nazione come nostalgia. Ernest Renan, per esempio
Ernest Renan, in Italia e in particolare negli anni dell’Italia repubblicana, ovvero a partire dal 1945, ha avuto varie stagioni e alterne fortune. in questi ultimi anni è tornato spesso tra le proposte di lettura volte a ripensare le possibili risposte alla crisi. Se a lungo nella prima fase del secondo dopoguerra, la proposta di tornare a rileggerlo riguardava la sua ricerca sul cristianesimo e sulla vita di Gesù, a partire dagli anni ’90 quel tema ha invece in gran parte riguardato la questione di come una identità nazionale in crisi possa essere ripensata – e soprattutto «rifondata» a partire da una categoria, quella di «riforma intellettuale e morale» che per molti aspetti inaugura un capitolo, quello legato alla conferenza che Renan tiene nel marzo 1882 intorno all’idea di nazione.
Su quel profilo con acume aveva lavorato tra anni ’70 e anni ’80, in solitudine, Regina Pozzi. La sua riflessione nella discussione pubblica che ha visto riproporre Renan è stata completamente dimenticata.
Peccato perché il nuovo libro che lo storico François Hartog ha dedicato alla figura e alla cultura di Renan uscito in queste settimane in versione italiana (La nazione, la religione, l’avvenire. Sulle tracce di Ernest Renan, Cortina) di fatto si pone più in dialogo con i temi sollevati da quel laboratorio dimenticato – a lungo coltivato – di Regina Pozzi, che non con le letture che in questi anni, almeno in Italia, si sono venute accumulando sullo storico delle religioni Ernest Renan.
Il nucleo generativo e inovviabile sta nella breve riflessione dal titolo Réforne intellectuelle et morale de la France, che Renan scrive nella primavera 1871 e poi pubblica nel dicembre dello stesso anno per l’editore Michel Lévy (una edizione italiana di questo scritto di Renan, Regina Pozzi la edita nel 1991. La stessa edizione con identica presentazione è stata poi riproposta meritatamente da Aragno editore nel 2018).
È proprio con Réforne intellectuelle et morale de la France che Renan compie una prima sintesi che recupera le sue riflessioni in merito alla religione che ha a lungo coltivato tra anni ’40 e anni ’60 e a cui Hartog dedica il secondo capitolo del suo libro, con quelle che sono le sue riflessioni sul tema della nazione, a cui dedica la sua lezione del 1882 (in Italia ne sono state pubblicate due edizioni distinte, una curata da Silvio Lanaro per Donzelli e una curata da Giovanni Belardelli per Castelvecchi).
Insieme è importante riprendere le considerazioni sul tema della crisi della comunità nazionale che Renan formulava proprio in Réforne intellectuelle et morale de la France, perché quello è il testo generativo dove Renan, rilegge ilconmcetto di nazione sia come possibilità di nuovo corso per la Francia – sconfitta dal confronto con la Germania guglielmina nel 1870- sia, soprattutto, come replica alla esperienza della Comune. L’idea di sottofondoè l’auspicio a un un ritorno alla società «ordinata» pre-1789.
È importante tenere il punto sulla connessione tra il testo del 1871 e la lezione del 1882. Non per puntiglio filologico, ma proprio perché solo tenendo ferma quella connessione, culturale ed emozionale è possibile cogliere la forza, ma anche l’intreccio che Renan costruisce.Quell’intreccio non casualmente tornerà ad essere riletto per ristabilire un filo identitario negli anni della Francia di Vichy del maresciallo Philippe Pétain, tra 1940-1944.
La lettura della nazione che Renan propone – come comune esperienza storica che tiene uniti i suoi abitanti, unita alla volontà continuamente rinnovata di voler vivere insieme – si incontra poi con il tema della razza ambito con cui Renan si confronta ma da cui non prende le distanze.
In quel percorso la razza rimane come chiave identitaria. Renan non la lega a un dato cromosomico o genetico, anche se rimane che la razza consenta la costruzione della comunità.
Non è un principio, ma è un fattore che Renan né scarta, né rifiuta. Piuttosto lo include, osserva Hartog, in quella che poi nel corso del ‘900 siamo soliti far rientrare nella categoria di “memoria collettiva”, come poi avrebbe affermato Maurice Halbwachs nel suo I quadri sociali della memoria (Meltemi). Ovvero, il fatto che “gli individui, quando si ricordano, utilizzano sempre dei quadri sociali”, e, contemporaneamente, “che l’individuo si ricorda collocandosi dal punto di vista del gruppo, e che la memoria del gruppo si realizza e si manifesta nelle memorie individuali”.
La ragione di ciò sta sia nel punto di partenza della riflessione di Renan, cioè il rifiuto del principio della razza e della lingua come fondamento della nazione moderna, sia nel punto di arrivo: gli Stati moderni si fondano sulla comune esperienza storica che tiene uniti i loro abitanti, ma anche sulla volontà continuamente rinnovata di voler vivere insieme.
La nazione, quindi, si presenta come una casa secondo una prospettiva che Georges Sorel non farà fatica a recuperare quando negli anni ’10 del ‘900 riflette sul cristianesimo delle origini come comunità organica. Lì riprende le sue riflessioni sviluppate nel 1908 nelle sue Illusioni del progresso.
La messa a terra di quella idea della comunità proletaria in marcia, tradita dal socialismo e che va a cercare casa e protezione nella versione nazionalista dell’idea nazione che si carica di un lessico sovranista, diremmo oggi. La nazione si accredita come l’ancora di salvezza per il futuro di una «Europa rinnovata».
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