Storia
Resistenza è ripudio della guerra e della violenza
Caro papa’, peccato che non ci saro’ piu’ il giorno della pace. Ho sempre sperato di contribuire allora con tutta la mia forza ed energia alla ricostruzione, non soltanto materiale, ma anche spirituale. Il nostro lavoro propriamente detto non comincia che dopo la guerra: eliminare l’odio fra i popoli. Perche’, solo quando questo non esiste piu’, la vera pace puo’ venire. Solo allora il fondamento della pace – la fiducia – puo’ fare il suo ingresso nel mondo. Fa’ di contribuirvi anche tu come meglio potrai. Per rendere migliore il mondo dobbiamo cominciare da noi stessi.
Tuo figlio Henk (Partigiano olandese, ultima lettera al padre)
Le celebrazioni del 25 aprile sono sempre prodighe di memorie circa la Liberazione ottenuta dall’Italia del 1945: la libertà con la fine di una dittatura, feroce e disumana, e la fine di un’occupazione militare straniera, sanguinaria e spietata.
Meno frequente vi è chi ricordi che il 25 aprile 1945 fu anche la fine di una guerra.
“Cittadini, lavoratori! Sciopero generale contro l’occupazione, contro la guerra, per la salvezza delle nostre terre, delle nostre case, delle nostre officine”, così diceva la voce di Sandro Pertini che annunciava alla radio la fine del fascismo; la stessa voce che decenni dopo, il giorno dell’elezione al Quirinale, diceva: “Si vuotino gli arsenali, sorgente di morte, si riempiano i granai, sorgente di vita”. C’è una continuità indissolubile tra la Liberazione e il ripudio della guerra.
La generazione che fu vittima della seconda guerra mondiale era tale l’orrore che aveva vissuto, che cercò di fermarne per sempre una rinascita con la formulazione dell’articolo 11 della Costituzione: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”.
Per altro era una generazione di uomini e donne che aveva dovuto imbracciare le armi e opporre ad una violenza un’altra violenza.
La pace non può venire così.
I partigiani più attenti ne erano consapevoli.
Ci sono episodi straordinari a testimoniarlo.
Il 19 febbraio 1945, Ancilla Marighetto detta “Ora” (la più giovane medaglia d’oro per la Resistenza) in forza alla brigata partigiana Gherlenda che operava sulle montagne della Valsugana, fu catturata mentre col compagno “Raul”, che si salvò, cercava di nascondersi. Interrogata e picchiata violentemente non rivelò il nome del compagno, tra i partigiani più ricercati.
Le spararono alla testa ai piedi dell’albero su cui si era arrampicata per nascondersi. Aveva compiuto da qualche esettimana 18 anni.
Il 25 aprile i superstiti della Gherlenda, guidati dal fratello di Ancilla, Celestino Marighetto “Renato”, entrarono in Castello Tesino con trenta tedeschi catturati. “Renato” li schierò al muro e diede loro una lezione.
“Avete trucidato mia sorella, e qui fucilato mio padre e i miei compagni. Andatevene, tornatevene a casa”.
E li rilasciò.
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