Storia

Radici. La politica della fedeltà al passato sognato, rimpianto e mai esistito

2 Maggio 2016

“Verso la fine del secolo XVI, a Roma, un gruppo di spagnoli e portoghesi aveva formato una sorta di confraternita che si riuniva presso al Chiesa di San Giovanni a Porta Latina. Fonti diverse (fra cui il Giornale di Viaggio in Italia di Michel de Montaigne) ci informano che costoro, oltre a fare la comunione, leggere il Vangelo, mangiare e dormire assieme, celebravano anche nozze di «maschi con maschi»  secondo il rituale della Chiesa.”

Così Maurizio Bettini nel suo Radici (il Mulino)

E conclude: “Dunque oltre quattro secoli fa queste persone avevano – sia pur discretamente – reclamato per sé lo stesso diritto che oggi in molti paesi, dagli Stati Uniti, all’Europa, viene riconosciuto a gay uomini e donne; lo stesso diritto contro il quale si battono i sostenitori del «Family day», nonostante che la Corte dei Diritti Umani, a Strasburgo, abbia già multato l’Italia per il mancato riconoscimento” .

Forse fa un certo effetto, comunque non è questo il dato che mi sembra importante e che questo libro di Bettini ci aiuta a dipanare.

Il dato è che il nostro sentimento ci porta “naturalmente” ad accentuare l’elemento della mixofobia.

Un sentimento di disagio che nasce dalla paura, dall’ansia che si manifesta alla vista di ciò che è straniero,  sempre più spesso tradotto come “nemico”,  cui segue una diffusione sempre più capillare di un atteggiamento volto  a detestare il mescolarsi con gli stranieri, considerati come coloro che portano il pericolo.

Un atteggiamento, spiega Bettini, che nasce appunto dal ritenere che nelle «radici» risiedano autenticità e purezza.

Ma le culture, precisa ancora Bettini, sono mutevoli e complesse, non musei di sopravvivenze imbalsamate. Hanno una storia che è fatta di accumuli, di sovrapposizioni, e spesso, per quanto sia sempre più difficile ammetterlo, di abbandoni. Senza questa continua selezione e “espulsione” e  in alcuni casi “riammissione” non si hanno tradizioni.

Con una frase a effetto si piotrebbe dire: “niente tradizione senza dissacrazione”.

Un processo che è doppio:

Da una parte ciò che ciascun di noi oggi chiama le sue radici, è il risultato di una selezione, e di un rimescolamento, di una sovrapposizione, in cui l’autenticità non c’è

Dall’altra come aveva già Eric Hobsbawm molti anni fa, e Maurice Halbwachs ancor prima di lui,  la tradizione è invenzione. Fuori dall’immagine:  la storia è la materia prima per le ideologie nazionalistiche, etniche o fondamentaliste, così come i papaveri sono la materia prima per la produzione dell’eroina. In quelle ideologie il passato è  l’elemento essenziale. Se non c’è a disposizione un passato confacente, si può sempre inventarlo.

E’ un  primo elemento d riflessione che dice che la costruzione di una tradizione nel presente che cerca legittimità nel passato costituisce la spia indiziaria di una crisi che preesiste ai fenomeni che intende contrastare, e che anzi quel panico che mette in essere il concetto di radici è la conseguenza di non avere una solidità e dunque di andarsela a costruire nel passato per dire a se stessi che si è qualcosa (oltreché qualcuno).

E tuttavia questo aspetto non è meno vero in chi oggi riscopre la virtù del religioso come enunciazione di un attaccamento all’identità che resiste al tempo. E che anzi si oppone al tempo presente.

E’ il fondamentalismo, versione teologica del sentimento che fa delle radici l’ossessione del presente, che costituisce la immagine a specchio dello stesso fenomeno.

“Contrariamente a ciò che in genere credono gli stranieri – ha scritto anni fa Ernest Gellner in forma caustica quanto efficace – una tipica donna musulmana non indossa il velo perché così faceva sua nonna, ma perché sua nonna non lo faceva (..). Col velo la nipote festeggia la propria appartenenza a quel gruppo, e non la propria lealtà nei confronti della nonna”.

Ne consegue che il fondamentalismo non è la rivincita della tradizione contro la modernità, né il recupero di un codice scritto, ma la decisione di aderire a una civiltà, in altre parole la contrapposizione con la modernità non è giocata né su un piano filosofico, né su quello economico (anche se si danno ricadute su entrambi i piani), bensì su quello etnico.

Il che appunto risponde alla logica della ricerca delle radici così come si presenta nelle ideologie politiche che inventano tradizioni, che riscoprono l’idolatria per il patrimonio immateriale  per darsi radici e costruire il mito della eternità di sé  e gridare contro la tirannia dell’intercultura, rinnovata forma del complotto.

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