Storia

Museo del fascismo a Predappio? Perché è ora di accettare la sfida

20 Febbraio 2016

È stato sufficiente un titolo di giornale perché gli animi si scaldassero. Tre giorni fa, in un’Italia sorniona, tutta concentrata sul ddl Cirinnà scoppia il caso Predappio. A lanciarlo, appunto con un titolo “scoppiettante” è “La Stampa”: Due milioni dal governo per il museo del fascismo. Lo stesso giornale,  lancia anche un sondaggio on line col titolo: “2 milioni di euro per finanziare il museo del fascismo a Predappio. Sei d’accordo con la scelta del governo?” 2 su 3 hanno votato no. A dimostrazione che i sondaggi  premiano la furbizia della domanda, ma non l’informazione.
Era inevitabile che salisse la temperatura e così è stato. Molti storici non sono favorevoli, altri lo sono, altri hanno perplessità.
Credo che le questioni siano almeno tre.

La prima. Predappio oggi è un luogo della memoria nostalgica. Fare in modo che divenga soprattutto un luogo di riflessione su un fenomeno che ha innervato profondamente la storia d’Europa nella prima metà del Novecento e che è tornato ad affascinare porzioni di minoranza, ma consistenti, dell’opinione pubblica in Europa, è una sfida culturale e civile di grande spessore.

La seconda. Ci sono luoghi della memoria pubblica che solo in conseguenza di uno sforzo a non rimuovere il passato sono riusciti a non essere solo il mausoleo di se stessi. Non dipende dagli operatori del luogo, dipende in gran parte dalla sensibilità degli storici, di una classe politica, delle molte competenze che oggi fanno comunicazione culturale, di segmenti consistenti di società civile intenzionati a non rimuovere il passato ma a proporne lo studio e l’approfondimento apartire  anche, e significativamente, da alcuni di quei luoghi simbolici che ne hanno contrassegnato la storia o che ne hanno definito la memoria.

Penso a quanto avvenuto in Germania in questi anni: alla discussione pubblica sul nazismo e alla costruzione di musei, per esempio la sede centrale del Partito nazista a Monaco di Baviera trasformata in museo. In un altro contesto, contrassegnato da incertezze, per esempio in Spagna, il Valle de los Caidos, un luogo controverso. In ogni caso anche lì si è aperto un percorso di riflessione che sarebbe bene tenere presente. Anche per questo non c’è scandalo nella proposta del sindacio di Predappio.

La terza. Trasformare un luogo dalla sua identificazione precedente, fortemente connotata in una nuova implica non solo un investimento finanziario consistente, ma anche la costruzione di un team di lavoro che sappia produrre un luogo significativo.

Qualsiasi sia la fisionomia del luogo – museo di storia, centro di studio internazionale –  resta la questione che alla sua definizione e costruzione non possiamo concorrere solo noi storici, ma  altre competenze hanno un ruolo centrale da svolgere. Competenze che anch’esse si occupano di diffusione e comunicazione del passato.

Può essere, come molti sottolineano, che in Italia ci sia una discussione in ritardo. Questo dato, tuttavia, né elimina né accantona il problema.

I Musei del Novecento funzionano come manuali di storia, ma non sono manuali di storia. Soprattutto chiedono il coinvolgimento di molte competenze professionali.
Dunque la sfida consiste nel cogliere un’opportunità di costruire e pensare un team di lavoro e di competenze. Anzi,  chiede che  il confronto ci sia, che coinvolga competenze diverse e si misuri sulle forme della comunicazione culturale oggi.

La partita insomma non si gioca solo e nemmeno esclusivamente tra storici, ma si gioca sulle forme, le modalità con cui si costruisco luoghi della formazione e della narrazione storica, cui è richiesto che  noi storici contribuiamo.

In questi anni noi storici abbiamo perso molte occasioni per discutere e costruire, con altri, luoghi e format di discussione della storia.

A Predappio si dà una possibilità, se siamo in grado di capirla e di coglierla. Peraltro, avendo la consapevolezza che in questa impresa in cui il tema è come si racconta la storia, forse noi storici non siamo i veri gestori del prodotto, ma probabilmente una figura tra molte.

Perché la storia non la raccontiamo più solo noi e perché i libri di storia non sono più il format esclusivo che veicola il racconto della storia. Anche di questa doppia dimensione non centrale, sarebbe bene essere consapevoli.

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