Storia
Processo al ‘68: Paolo Ercolani e Diego Fusaro a confronto
Il 3 maggio prossimo, presso il Chiostro di Sant’Agostino a Pietrasanta, in Versilia, alle ore 21.00 si terrà l’atteso “Processo al ‘68”. Nei panni dell’avvocato dell’accusa, il filosofo Diego Fusaro (docente presso lo Iassp di Milano), mentre in quelli della difesa ci sarà il filosofo Paolo Ercolani (docente presso l’Università degli studi di Urbino).
Dopo le arringhe dei due “avvocati”, il verdetto verrà espresso dallo stesso pubblico tramite una votazione a scrutinio segreto.
La manifestazione è organizzata dall’Associazione “Libro Polis”, che nel mese di ottobre organizza l’omonimo festival dedicato all’editoria e al giornalismo indipendente (www.libropolis.org).
Qui di seguito, alcune domande che sono state rivolte a Paolo Ercolani e Diego Fusaro, di cui fin da ora si evince la marcata differenza di vedute rispetto al Sessantotto (e non solo).
1) Come potrebbe definire in poche, semplici parole il fenomeno del ’68? Inoltre, secondo lei possiamo parlare del ’68, inteso come annata, o di un arco più lungo che parte dal ’67 e arriva fino al ’79?
FUSARO: In poche parole io considero il ’68 come un momento di ammodernamento del capitalismo, e dunque, come una fase di emancipazione non dal bensì del capitalismo, che passa da una fase borghese, conservatrice e repressiva ad una fase caratterizzata da una liberalizzazione integrale dei consumi e dei costumi. Si tratta di un capitalismo pemissivo e lasco, gauchiste e di sinistra, dove tutto diventa possibile. Sono i prodromi della società di consumo integrale di cui oggi siamo abitatori. Il ’68 ha spianato la strada a un nuovo capitalismo. Il ’68 coincide non con un anno, ma con un arco di tempo molto diversivicato a seconda della città considerata.
ERCOLANI: È stato l’ultimo grande moto rivoluzionario internazionale. Il 1848 del XX secolo. Come tutti i fenomeni della Storia, che Hegel definiva come il letto di un fiume, non può essere letto a mo’ di medaglione staccato da ciò che lo ha preceduto e che è venuto dopo. Per comprenderlo appieno bisogna partire almeno dal 1956 (e dal fallimento del comunismo ortodosso), per poi arrivare fino agli anni Settanta, certo, con la crisi economica, il ritorno del neoliberismo e il Pci che appoggiava i governi di unità nazionale, quelli che imponevano austerità e sacrifici soltanto alle classi sociali più povere, per capirsi.
2) Lo scorso anno Pierluigi Bersani ha rilasciato un’intervista in cui si dichiarava stupito dell’assenza di un nuovo sessantotto. Quanto, aldilà del giudizio storico, è presente la spinta movimentista di quegli anni e quanto è possibile un fenomeno di simile portata?
FUSARO: Resto allibito dalle parole di Bersani, dato che oggi viviamo in un pieno ’68 di liberalizzazione individualistica integrale, in cui la nuova figura dell’emancipazione non è più quella marxiana dell’emancipazione di classe contro il capitalismo, ma è la figura, dal ’68 ad oggi – e siamo ancora nel ’68, questo il mio punto di vista – dell’oltreuomo nietzschiano post-borghese e post-proletario a volontà di potenza consumistica illimitata. Quindi siamo nel ’68, e mi spiace che Bersani non l’abbia capito ancora, ma forse in ragione del fatto che il partito che la sua area politica di riferimento rappresenta è fautrice e vettore di questa liberalizzazione individualistica e privatistica dell’esistenza.
ERCOLANI: Oggi è impossibile. E questa impossibilità si spiega proprio con la sconfitta del Sessantotto. Non c’è una teoria critica, manca un’analisi delle contraddizioni sociali, e soprattutto la mente e la mentalità collettiva è stata omologata e addormentata da decenni di tv e di industria della comunicazione. Ha trionfato il “sonno della ragione” di cui parlava Horkheimer. Un popolo addormentato non può risvegliare alcuna rivolta.
3) Per Toni Negri il sessantotto ha avuto il merito di aver rivelato le contraddizioni insite nella società capitalista di un’Italia in pieno sviluppo, si ritrova in questa affermazione?
FUSARO: No, non mi ritrovo affatto in questa come in altre considerazioni di Toni Negri. Mi pare anzi che il ’68 abbia contribuito a nascondere le contraddizioni, nella misura in cui la contraddizione per i sessantottini era non la società classista capitalistica ma il mondo borghese dove c’era un’autorità, un mondo valoriale, la figura del padre che vennero abbattuti. E che cosa trionfò? Trionfò la merce come sola autorità rimanente, quindi si apri la strada al turbo-capitalismo liberal libertario odierno. Quindi, non sono affatto d’accordo con Toni Negri.
ERCOLANI: È una delle poche affermazioni di Toni Negri con cui mi trovo d’accordo. Ma credo sia riduttiva. Basti solo pensare che il Sessantotto è stato il primo grande movimento, nonchél’unico, ad aver pesantemente contestato da Sinistra un Pci che si era genuflesso alla logica capitalista e alla spartizione del potere con la Dc e con i partiti della prima repubblica. Abbandonando fin da allora le classi sociali più deboli al loro destino. Oggi ne vediamo i risultati.
4) Qual è il rapporto tra la contestazione giovanile del ’68, e soprattutto la sua componente libertaria, e l’attuale società post-moderna che, per dirla con De Benoist, ha rimosso ogni senso e forma del limite?
FUSARO: Lo diceva, oltre a De Benoist, anche il mio maestro Costanzo Preve. Il ’68 ha aperto all’odierna società liberal-libertaria in cui non c’è più alcun limite, ogni inviolabile viene violato e tutto deve essere rimesso alla volontà di potenza consumistica dell’individuo che non ha più autorità ed è nietzscheanamente vivente nell’epoca della morte di Dio.
ERCOLANI: Ci sono delle similitudini di facciata, ma niente più. Il Sessantotto è stato l’ultimo grande movimento moderno. Per esempio nella misura in cui si ispirava a pensatori seri e sistematici, pensiamo alla Scuola di Francoforte. Ma anche nella misura in cui ha cercato un alleanza col movimento operaio. Il postmoderno è una sciagura che si è imposta anche sul Sessantotto, non un suo prodotto.
5) Considera importante, nell’ottica del ’68 la cosiddetta battaglia di Valle Giulia? È per lei un fatto di importanza relativamente limitata, un’occasione mancata o qualcosa di più?
FUSARO: Se per Valle Giulia intendete lo scontro tra forze dell’ordine e studenti, non lo vedo affatto come un momento importante. Credo che Pasolini avesse ragione e torto insieme. Ragione perché coloro che manifetsavano erano dei libertari ultra capitalisti pronti a integrarsi nella società dei consumi, nel torto perché i poliziotti, che certo erano figli di proletari, non stavano certo difendendo il passaggio ad una società emancipata, ma stavano difendendo il vecchio capitalismo repressivo di tipo borghese. Quindi da questo punto di vista non sto con Pasolini, per quanto capisca quanta ragione vi sia in quello che diceva.
ERCOLANI: Valle Giulia è stato un episodio come altri. Nel paese delle stragi di Stato, dell’accordo mafia-grande industria del Nord fin dall’unificazione italiana, delle evidenti collusioni fra politica, criminalità organizzata e poteri deviati (nazionali e internazionali), concentrarsi sugli episodi di indubbia violenza che caratterizzarono il Sessantotto mi sembrerebbe alquanto riduttivo, per non dire pretestuoso. Non voglio sembrare cinico, ma ditemi voi se c’è stato un solo grande movimento rivoluzionario che non abbia contemplato episodi di violenza. Cristianesimo compreso.
6) che cosa è mancato affinché studenti e operai d’avanguardia si unissero in un autentico partito marxista-leninista per dare l’assalto decisivo al sistema e allo Stato capitalista?
FUSARO: è mancato un quadro teorico generale di orientamento. Non si è compreso, salvo rari casi, come Pasolini in Italia e Clouscard in Francia, che cosa realmente fosse il ’68, cioè un momento di ammodernamento ultra-capitalistico della vecchia società borghese, in cui il riferimento non era più Marx, Lenin, Gramsci ma diventava Nietsche inteso come teorico dell’oltreomo a consumo illimitato.
ERCOLANI: Fondamentalmente due cose. La prima riguarda la teoria. Nelle decine di volumi di opere di Marx ed Engels mancava la “pars construens”, cioè come si sarebbe dovuta organizzare una società comunista dopo che il comunismo avesse trionfato. Lo stesso Lenin, dopo aver preso il potere in Urss, dichiarò che non vi erano istruzioni in tal senso. La seconda riguarda il contesto internazionale: l’Italia era una colonia americana, il frutto di una spartizione del mondo avvenuta fra Urss e Usa. Questi ultimi non avrebbero mai consentito la presa di potere da parte di un movimento comunista o socialista. Il Pci lo sapeva bene, infatti si adeguò fin dall’immediato dopoguerra, limitandosi a un ruolo di puntello critico e, per quello che era possibile, migliorativo del sistema capitalista.
7) Paolo Mieli e Lanfranco Pace (ex Potere Operaio), Lucia Annunziata, Renato Mannheimer e Michele Santoro (ex UCI (m-l) – Servire il popolo), Pierluigi Battista, Gianni Riotta, Giampiero Mughini e Riccardo Barenghi (ex “Manifesto”), Adriano Sofri, Enrico Deaglio, Gad Lerner, Paolo Liguori, Toni Capuozzo, Carlo Panella e Lidia Ravera (ex Lotta Continua). Alberto Asor Rosa, Mario Tronti e Massimo Cacciari (ex “Quaderni Rossi” e “Classe operaia”), Mario Capanna (ex MS), Paolo Flores D’Arcais (ex sedicente “IV Internazionale”), e Toni Negri, Oreste Scalzone, Franco Piperno e Massimiliano Fuksas (ex Potere Operaio). Paolo Gentiloni, Pier Luigi Bersani, Aldo Brandirali, Barbara Pollastrini e Nicola Latorre, tutti e tre ex UCI (m-l) Servire il popolo: come si spiega il fatto che i protagonisti di quella stagione siano oggi nei posti di comando di quell’apparato che volevano distruggere.
FUSARO: Guarda, non saprei come commentare questi personaggi. Citerò i versi di Shakespeare “più delle erbacce puzzano i gigli marciti”
ERCOLANI: Ce lo spiegò a suo tempo il sociologo Roberto Michels con la sua “teoria ferrea dell’oligarchia”, quella per cui in ogni movimento, anche il più egualitario e democratico, tende necessariamente a prodursi un’oligarchia di leader e figure carismatiche. È fisiologico. Il fatto che molti di questi occupino oggi posizioni di potere, ha a che fare con le vicende personali, che non sono mai un buon metro per giudicare i fenomeni storici. Possono solo servire a valutare la coerenza dei singoli, ma non mi risulta che la coerenza sia una delle virtù umane più diffuse…
8) L’autonomia teorizzava la distruzione di ogni forma di mediazione: la rappresentanza parlamentare, la rappresentanza sindacale e così via. Tutte queste cose – secondo i teorici dell’autonomia – imbrigliavano e sottomettevano le spinte proprie di autovalorizzazione e autorganizzazione della classe lavoratrice. Non crede che, in una sorta di eterogenesi dei fini, queste teorie abbiano in qualche modo aperto alla cancellazione di qualsiasi forma di potere politico detenuto dalla classe lavoratrice e la distruzione del welfare state?
FUSARO: Certamente, il ’68 è stata una grande rivoluzione colorata, la prima rivoluzione colorata. L’esempio massimo dell’eterogenesi dei fini di vichiana memoria. Nella sua essenza ha favorito il superamento del capitalismo borghese, ma non in vista della società emancipata gramscian-marxiana, bensì in vista dell’open society popperiana e sorosiana a scorrimento illimitato delle merci senza più radici etiche, per dirla con Hegel, come i sindacati e tutte le altre forme di corpi intermedi che limitavano e contenevano la bestia selvaggia del mercato. In definitiva, il ’68 ha aperto la strada alla società liberal-lbertaria integrale odierna.
ERCOLANI: A me viene solo in mente che la Storia si ripete sempre due volta, la seconda in forma di farsa. Basti pensare che, oggi, il primo partito italiano si fonda proprio sulla “disintermediazione” e sulla presunta eliminazione di ogni forna di mediazione fra i cittadini e il governo. Per il resto, la vostra domanda mi fa solo pensare che la classe lavoratrice non ha mai detenuto il potere, nè mi sembra possibile che possa mai detenerlo. A meno di non diventare un’altra cosa, perchè il Potere è un virus potentissimo che trasforma anzitutto chi lo detiene.
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