Russia
Possiamo discutere di liberazione e considerare estinto il fascismo?
“Avevo un paesaggio. Ma per poterlo rappresentare occorreva che esso diventasse secondario rispetto a qualcos’altro: a delle persone, a delle storie. La Resistenza rappresentò la fusione tra paesaggio e persone” (Calvino, Il sentiero dei nidi di ragno)
Dovrei iniziare questo pezzo parlando di liberazione, in realtà la mai coscienza è riluttante. Ho un’immagine del fascismo che somiglia un po’ al film “L’esorcista” per la sua capacità di trovare sempre nuove forme di reincarnazione.
Il fascismo, la guerra, l’ora delle decisioni irrevocabili, ha rioccupato l’Europa, ridando corpo ad archetipi e fantasmi. Putin, che ha attaccato l’Ucraina col pretesto di “denazificare” un Paese che ritiene essere guidato da una banda di drogati e nazisti, è in realtà come Hitler.
Quel che appare certo è che dietro il cinismo armato russo, e alla sua propaganda orwelliana, emerge il grande disegno di un leader autocratico: testare i limiti del proprio potere non tanto, o almeno non solo, per concretizzare il vecchio sogno dell’impero zarista, ma per dimostrare che una forma di potere alternativa a quella malattia morale che ha corrotto l’Europa e gli Stati Uniti, la democrazia, non solo esiste, ma è anche vincente, ed è la sua.
Ancora oggi, perciò, ha senso parlare di fascismo. Ha senso proprio perché idee e forme di potere che insidiano i principi delle democrazie soffiano ancora. E perché le democrazie vivono da tempo una profonda crisi di senso e di consenso partecipato.
I leader nazionalisti con cui si fanno affari e che dettano regole, il vento di dottrine sovraniste, l’erosione dei diritti, le crisi energetiche, i mercati interconnessi, le migrazioni umane, il bisogno d’identità non come autoaffermazione ma come protezione, caratterizzano un tempo in cui si preferisce cedere pezzetti di libertà in cambio di sicurezza, vera o presunta che sia. Dinanzi a questi scenari, riemerge una tentazione mai totalmente sopita: credere a chi spiega la complessità del mondo in modo semplice e semplicistico: all’uomo forte.
L’Italia, poi, è il Paese in cui i fantasmi del passato non sono mai fantasmi davvero. In cui la fine dell’URSS e i crolli dei muri hanno creato crisi ideologiche irrisolte e certe ideologie le hanno addirittura rinverdite. In cui la democrazia e la rappresentatività sono parse un’avventura troppo complessa da vivere fino in fondo, perché richiedono impegno quotidiano e capacità, voglia di confronto e mediazione.
Se Mussolini è diventato mainstream, se a più riprese si tenta di ripristinare da Nord a Sud la toponomastica fascista, se sui social anche chi è nato sul crinale del nuovo millennio occhieggia al Ventennio o ne condivide la retorica e i simboli, se movimenti e gruppi attaccano organizzazioni e istituzioni, è perché a settantasette anni dalla liberazione, di Mussolini ancora non ci si libera.
Eroe per molti e criminale per altrettanti, Mussolini è stato una figura multiforme che ha avuto da sempre una grande presa sull’opinione pubblica italiana, ha forse contribuito a inventarla lui l’opinione pubblica in quanto simbolo del primo vero partito di massa. Lui: il dittatore e l’eroe delle folle.
Sono chiari a tutti, e non sfuggono certo ai rappresentanti dei combattenti nella seconda guerra mondiale per la liberazione dei loro popoli e dell’Europa dalla oppressione nazista e fascista, i pericoli e i rischi che l’Europa corre per la regressione dei valori di giustizia sociale, democrazia, libertà per i quali furono fatti tanti sacrifici nella lotta contro il nazifascismo. Questi valori, comuni ai popoli che si opposero con la resistenza e la guerra di liberazione al nazifascismo, costituivano il seme e la consapevolezza da cui nacque quel grande moto popolare europeo che attraverso menti illuminate e lungimiranti seppe individuare le basi per avviare il percorso verso un’Europa democratica e libera, basata sulla solidarietà, sull’uguaglianza, sulla pari dignità di ogni cittadino.
L’Italia è un paese che ha recepito un po’ troppo superficialmente i valori della democrazia e il principio di “libertà” garantito dalla Costituzione e che nei momenti più difficili ripensa a chi, forzando le istituzioni, riscrivendo regole e leggi, usando la violenza e schiacciando ogni forma di dissenso, alimentando corruzione e clientelismo, trascinando l’intera nazione in una dittatura e infine partecipandola al disastro della guerra, accese, seppure in modo artificioso e coatto, un barlume di sentimento di “appartenenza”. Era questo il sentimento che più di ogni altro mancava all’Italia di cento anni fa. Italia solo sulla carta, divisa in tutto, a partire dalla lingua, spaurita e ignorante.
Il fascismo di oggi è diverso da quello di un tempo, i fascisti si travestono da populisti, si autoproclamano destra alternativa, negli Stati Uniti, o “fratelli d’Italia”. Etichette che cercano di offuscare la continuità tra fascismi vecchi e nuovi e non si rifanno esplicitamente a Hitler, a Mussolini, a Franco, la loro strategia è diversa: stabilire ponti con l’ideologia razzista del sovranismo populista. Gli obiettivi comuni di fascisti e populisti sono promuovere la xenofobia, senza trascurare la violenza politica. Il nuovo populismo incorpora la violenza e la rende di nuovo alla moda.
Basti pensare che a fondamento della protesta No Vax, secondo cui il green pass e lo stesso vaccino contro il Covid19 sarebbero state una violazione della libertà personale, c’è l’invenzione della dittatura sanitaria, lo strumento con cui governi oppressivi avrebbero cercato di uccidere la volontà del popolo. Spauracchio, questo, ideato da Forza Nuova e da altri movimenti di estrema destra. Una delle frasi che si leggono nel panorama fascista è “siamo contro il pensiero unico”. Il pensiero unico sarebbe l’arma usata dalle élite corrotte contro un popolo che invece vuole mantenere la propria libertà. Un popolo sovrano diffidente, contro l’estabilishment e l’autorità, in antitesi con lo Stato di diritto e la democrazia, fino a invocare un leader, espressione diretta e immediata della massa. È la deriva populista. Eppure basta ricordare il secondo comma dell’articolo1 della nostra Carta costituzionale: “La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”. La Costituzione garantisce la libertà di tutti non la pretesa di togliere ad altri la propria libertà.
In un più recente ventennio, un politico ritenuto un unicum, un grande lavoratore e produttore, ma anche un instancabile consumatore di beni che possono attestare che ha conseguito uno status invidiabile, ha incarnato il culto del capo: Silvio Berlusconi. Poiché non dà importanza all’integrità, alla trasparenza, all’onestà dei leader politici, non è neppure interessato al rinnovamento morale del Paese e a una legge che bocci il conflitto di interessi. Opera una completa rimozione del passato fascista, razzista, colonialista, ma si guarda bene dal minimizzare il pericolo comunista, anche se è svanito con il crollo del Muro di Berlino.
Sul piano delle emozioni il fascismo nelle sue forme antiche e moderne potrebbe sintetizzarsi col “me ne frego”. Col principio dell’individualismo per cui io sono il primo e la mia libertà viene prima di tutto. E, ancora, con la violenza, la forza impositiva che prescinde ogni tipo di dialogo. Un’antitesi al fascismo è lo slancio di uomini capaci di sostituire ogni forma di “me ne frego” col “si, mi importa, mi sta a cuore”, come diceva Don Milani.
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