Storia

PIlato e Gesù, un processo senza sentenza. La vacuità del potere

20 Aprile 2025
Due uomini erano di fronte, l’uno in catene, l’altro nell’incontrastata pienezza del suo potere.
Nessuno dei due rappresentava solo se stesso; Pilato configurava l’imperatore, padrone del mondo. Gesù, nel nome del Padre suo, era portatore di una certezza solitaria, quella di essere il Re di un altro mondo e di professare la verità del cielo.
Erano al cospetto la tracotanza sia pure formale del potere imperiale con tutta la sua ostentata liturgia e la mitezza spogliata di ogni regalità, sobria, cruda nella sua limpida semplicità: il silenzio dell’innocenza.
Pilato poneva domande, lo commiserava, scrutava nei suoi misteriosi silenzi e non si spiegava il suo sicuro e fermo tacere.
Disse Pilato: “Cosa tu hai fatto?”
Più che disprezzo verso Gesù, vi era nelle parole di Pilato una presa di distanza.
Se ne lavò le mani, per declinare e lasciar cadere ogni sua correa responsabilità.
Pilato pone un’altra domanda: “Dunque tu sei re?”
Gesù risponde:”Tu lo dici, io sono re.
Ma la mia regalità non è di questo mondo”.
Questa confessione di Gesù mette Pilato in difficoltà, perchè il Cristo sostiene un’altra regalità.
Infatti il regno di Gesù non ha alcun potere militare, non dispone di alcuna legione.
Gesù al cospetto di Pilato parla poco, si dissocia con il pensiero e contempla il Padre suo che è nei cieli, il cui disegno va inesorabilmente ed ineluttabilmente attuato: il governatore lo incalza, con domande pervasive, tese a provocare la reazione dell’innocente, come suo legittimo istinto di autoconservazione.
Ma Gesù tace ed il suo volto è pieno di sofferenza, misto a malinconia e tristezza.
Non recita, sente la forza bruta del potere, sa che andrà incontro ad una folla impazzita che ne declamerà la morte, come una moltitudine cieca ed irrazionale che sfoga la sua violenza inaudita, liberando l’istinto manicheo che cerca a tutti i costi il colpevole.
La furia dissennata ed impetuosa deve avere il suo capro espiatorio per sedare il suo istinto di sangue: e quello era di un innocente.
Ma Pilato tuona: “Ma che cosa è la verità?”
Di fronte alla condotta del prigioniero Pilato rimane spiazzato, ne è sorpreso, comprende e sente fortemente che Gesù sia innocente:le domande di Pilato trasudano ammirazione, la vittima provoca meraviglia.
Sua moglie Procla aveva sognato Gesù e gli riferì di “non toccare quell’uomo giusto”.
Questa rivelazione celeste gli fece comprendere che Gesù non aveva commesso alcun delitto.
Come ha scritto magistralmente il filosofo Giorgio Agamben- “Pilato e Gesù “-il giudice consegnò – paredoken – l’imputato al popolo in tumulto.
La deduzione è del teologo Karl Barth.
Paredoken in greco significa consegnare, non giudicare.
Fu, dunque, un processo senza sentenza.
E nel processo senza sentenza, non c’è il diritto.
Non c’è “krisis”, ossia “scelta”, “decisione”.
Questo è il delitto della Storia: il potere senza giustizia è vuoto.
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