Storia
Pilato e Gesù: la tracotanza del potere ed il silenzio dell’innocenza
Due uomini erano di fronte, l’uno in catene, l’altro nell’incontrastata pienezza del suo potere.
Nessuno dei due rappresentava solo se stesso.
Pilato configurava l’imperatore, padrone del mondo.
Gesù, nel nome del Padre suo, era portatore di una certezza solitaria, quella di essere il Re di un altro mondo e di professare la verità del cielo.
Erano al cospetto la tracotanza, sia pure formale del potere imperiale, con tutta la sua ostentata liturgia, e la mitezza, spogliata di ogni regalità, sobria, cruda nella sua limpida semplicità: il silenzio dell’innocenza.
Pilato poneva domande, interrogava, lo guardava, lo commiserava, scrutava nei suoi misteriosi silenzi e non si spiegava il suo sicuro e fermo tacere.
Disse Pilato: “Cosa tu hai fatto?”
Più che disprezzo verso Gesù, vi era nelle parole di Pilato una presa di distanza totale rispetto all’ambiente e alla religione del paese che governava.
Se ne lavò le mani, per declinare e lasciar cadere ogni sua correa responsabilità del più grande delitto della storia, perché si uccide sulla croce chi ha portato l’amore ed ha mediato, passando nel fuoco del male, senza essere lambito, bruciato, per la riconciliazione di Dio Padre con le creature del suo mondo.
Pilato pone un’altra domanda: “Dunque tu sei re?”
Gesù risponde:”Tu lo dici, io sono re. Per questo io sono nato e per questo io sono venuto al mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce. La mia regalità non è di questo mondo”.
Questa confessione di Gesù mette Pilato in difficoltà, perchè il Cristo sostiene un’altra regalità.
Infatti il regno di Gesù non ha alcun potere militare, non dispone di alcuna legione. Mentre viene umiliato dal potere mondano, è maestoso nel regno dei cieli che non ha la forza delle armi.
Gesù al cospetto di Pilato parla poco, si dissocia con il pensiero e contempla il Padre suo che è nei cieli, il cui disegno va inesorabilmente ed ineluttabilmente attuato: il governatore lo incalza, con domande pervasive, tese a provocare la reazione dell’innocente, come suo legittimo istinto di autoconservazione.
Gesù tace ed il suo volto è pieno di sofferenza, misto a malinconia e tristezza.
Non recita, sente la forza bruta del potere, sa che andrà incontro ad una folla impazzita che ne declamerà, ignominiosamente, la morte, come una moltitudine cieca ed irrazionale che sfoga la sua violenza inaudita, liberando l’istinto manicheo che cerca a tutti i costi il colpevole, anche se è innocente.
La furia dissennata ed impetuosa deve avere il suo capro espiatorio per sedare il suo istinto di sangue: e quello era di un innocente che aveva portato amore.
Ma Pilato tuona: “Ma che cosa è la verità?”
Di fronte alla condotta del prigioniero Pilato rimane spiazzato, ne è sorpreso, comprende e sente fortemente che Gesù sia innocente e non si spiega perché sia stato accusato ingiustamente; le domande di Pilato trasudano ammirazione, la vittima provoca la sua meraviglia.
Capì il Governatore, profondamente, che le accuse del Sinedrio erano inconsistenti.
Sua moglie Procla aveva sognato Gesù e gli riferì di “non toccare quell’uomo giusto”.
Questa rivelazione celeste gli fece comprendere che Gesù non aveva commesso alcun delitto ed ingiustizia e per tre volte replicò ai Giudei : “Non ho trovato nulla che in lui meriti la morte”.
Il silenzio di Cristo non è la dimostrazione dell’impotenza di fronte al male, ma la terribile e devastante consapevolezza che bisogna portare a compimento le Scritture.
Sapeva che doveva morire.
Non avrebbe mosso un dito per volgere al meglio la sua condizione; non aveva una strategia per districarsi dall’interrogatorio del suo accusatore: anche Pilato capì che Gesù si muoveva in uno scenario predestinato, come se avesse dovuto seguire un copione, realizzare un disegno, senza poter far nulla, sovvertire la trama.
Non spinge il Governatore Romano la libertà di Gesù a dissociarsi dal Padre, perché era stato già stabilito, irreversibilmente, che doveva scontare il sacrificio della sua carne, flagellata, frustata, scuoiata, come quella di un animale da macello.
Era un ordito imperscrutabile, che solo Lui e Dio sapevano, conoscevano in un legame indissolubile che prevedeva, nel suo tratto distintivo, che sulla Croce, doveva apprendere tutti i peccati dell’umanità ed essere tosato ed ucciso, come agnello muto al supplizio.
Gridò nella sua profonda, lancinante, commovente umanità : “Padre perché mi hai abbandonato?”
Ma disse anche: “Affido nelle tue mani il mio spirito”, perché, nel silenzio assordante di Dio doveva andare così : “Tutto è compiuto”.
La pietà e la misericordia di Dio questa volta non c’erano.
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