Storia

Perché l’epurazione non poteva non fallire

29 Aprile 2023

Siamo nel 1946, il provvedimento varato dal governo Bonomi il 27 luglio 1944 dal roboante titolo “Sanzioni contro il fascismo” registra un clamoroso fallimento. La Corte di Cassazione, presieduta dal presidente Vincenzo De Ficchy, infatti, proscioglie ben 8.000 alti pubblici funzionari che, in base a quel decreto. erano stati accusati di complicità col defunto regime fascista.

Quelle sentenze di proscioglimento costituiscono, dunque, uno scacco intollerabile per un governo, animato da grandi passioni politiche che si era ripromesso fra gli altri obiettivi di far pulizia degli elementi filofascisti di cui era permeata l’amministrazione.

Palmiro Togliatti, a cui era stata assegnata, e non era un fatto casuale, la responsabilità del ministero della giustizia – che peraltro aveva scelto come capo di gabinetto già presidente di una delle più odiose istituzioni fasciste come la Commissione sulla razza – è in grosso imbarazzo e decide di prendere il toro per le corna convocando, per un chiarimento, il presidente De Ficchy.

Il ministro accoglie l’alto magistrato con studiata cordialità e con fare scherzoso rompe il ghiaccio con questa frase così registrata dallo agiografo.del De Ficchy: “Eccellenza, cosa mi va facendo, mi mette il libertà i fascisti?”.

Il Presidente De Ficchy, stupefatto per quell’approccio quasi confidenziale e visibilmente irritato per quella frase che ritenne estremamente offensiva per il ruolo che rivestiva, si alza di scatto dalla poltrona in cui era stato fatto accomodare, riprende il cappello grigio, e con arroganza si rivolge al ministro della giustizia con queste altre parole:” Eccellenza, lei continui a pensare alla politica; a come amministrare la giustizia ci penserò io, fino a quando mi sarà consentito di occuparmene”. Dopodiché, senza neppure curarsi di stringere la mano in segno di saluto al suo ospite, si avvia impettito alla porta lasciando di stucco Togliatti.

Quest’episodio, peraltro abbastanza noto agli storici, dimostra come il grande ripulisti auspicato dai governi succedutisi dal 1943 fino al 1949, non poteva che fallire, anche per la ferma opposizione della lobby dei magistrati, punta di diamante nella resistenza ai cambiamenti che il governo intendeva avviare.

D’altra parte bisognava, a monte, prendere atto che, come scrive Mimmo Franzinelli, “la fascistizzazione dell’Italia [era] stata profonda, e aveva innervato le istituzioni pubbliche, gestite da decine di migliaia di funzionari sostenitori – tranne isolate eccezioni – del regime.” Ma allargando lo sguardo al di là dell’amministrazione pubblica, ancora Franzinelli scrive che “la maggioranza degli italiani è stata complice del fascismo, e non certo vittima come si è voluto credere e far credere con versioni autoconsolatorie sull’esistenza di una estesa opposizione al regime poi sfociata nella lotta di popolo 1943-45”.

Due esempi per tutti, quelli di Giorgio Bocca e Dario Fo, il primo da fascista divenuto antifascista dopo l’8 settembre, il secondo, molto più giovane, arruolatosi nelle Brigate nere come altri giovani che diversamente da lui non negarono quel terribile errore dettato da fervore giovanile, poi inabissatosi per risorgere feroce antifascista dopo l’insurrezione nazionale.

 

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