Storia
Pasolini per chi non lo conosce abbastanza
Pier Paolo Pasolini, uno dei più grandi intellettuali del nostro tempo, nasceva cent’anni fa a Bologna. La sua opera, vasta, conosciuta in tutto il mondo e capace di attraversare l’ampio spettro degli studi culturali, non ha mai smesso di essere oggetto di ricerca e di speculazioni, ma più ancora di giudizi basati sull’idea che ci si fa di lui di lui. Un’idea spesso mediata da opinioni che suonano come condanne e che non tengono conto del valore dei suoi saggi, romanzi, articoli di giornale, film di finzione e documentari, opere drammaturgiche, poesie, dipinti. Volendo riassumere le ragioni di questo incompleto riconoscimento a un ventenne o a una persona cresciuta in un altro paese potremmo iniziare indicando tre tratti distintivi: innanzitutto Pasolini stava diventando un giornalista investigativo con un grosso seguito. Era comunista e omosessuale in un paese sessuofobico, e in queste tre declinazioni della sua identità era unico. Come giornalista stava per rivelare la corruzione di personalità di spicco del suo tempo, come aderente al PCI fu cacciato dal partito e come omosessuale non era disposto a nascondere il fatto di essere attratto da ragazzi molto giovani con cui esplorava pratiche sessuali come il bdsm, molto più antiche, ma che gli valgono ancora oggi il disprezzo da parte di alcuni.
Smascherare l’ipocrisia della nazione è un aspetto caratteristico di tutta la sua produzione, ma qualcuno dice che oggi Pasolini se la passerebbe male. Secondo alcuni, perché risulterebbe un alieno nei salotti televisivi in cui non si usa più argomentare ma insultare, secondo altri perché da oppositore di ogni conformismo verrebbe messo a tacere da una presunta cancel culture o dittatura del politicamente corretto (si pensi a certe sue esternazioni sul conformismo, oppure all’opposizione all’aborto, o all’attenzione oggi crescente per il tema del consenso, che diventerebbe opportunisticamente una liturgia di apertura nei discorsi degli omofobi attorno alle sue abitudini).
Pasolini non voleva essere un’icona, ma lo è diventato anche per la nebbia calata sulle sue ultime ore di vita, essendo stato ucciso all’idroscalo di Ostia il 2 novembre 1975, travolto dalla sua stessa auto. Dell’omicidio fu accusato Pino Pelosi, il diciassettenne con cui si era recato al Lido, ma i fatti dimostrano che il ragazzo non può aver commesso il delitto, come del resto lui stesso ha ammesso molti anni più tardi (in un’intervista al blog di Beppe Grillo e in tv). Pelosi è morto nel 2017 e da tempo si sa che l’auto passata sul corpo dello scrittore non era quella di Pasolini, che invece fu trovata a trenta chilometri di distanza. Probabilmente i due erano andati fino a Ostia per incontrare qualcuno: alcuni suppongono che siano stati condotti in una trappola, in quanto le bobine del film Salò o le 120 giornate di Sodoma erano state rubate e la Banda della Magliana, un’organizzazione mafiosa che operava nel Lazio, aveva detto al co-sceneggiatore del film Sergio Citti che le avrebbe fatte avere solo al regista in persona. Se oggi molti chiedono di riaprire le indagini è perché gli strumenti a disposizione della scientifica nel 2022 potrebbero individuare prove che nel 1975 possono essere state occultate.
Anche l’atteggiamento di una parte dell’opinione pubblica nei confronti di Pelosi, accusato di aver agito da solo e perciò unico condannato, è ipocrita: un minorenne non avrebbe dovuto essere approcciato da un cinquantenne, mentre che il fatto che alla sua età sia finito in carcere non desta alcuna reazione.
L’inattendibilità della sentenza contro Pelosi, innocente, ha dato quindi origine a diverse teorie, alcune delle quali assolutamente fantasiose, ma non è complottismo pensare che quanto scritto da Pasolini negli ultimi mesi di vita gli sia valsa l’ostilità di un buon numero di personalità estremamente influenti. Meno di tre anni prima, infatti, all’inizio del 1973, aveva iniziato a collaborare con il Corriere della sera. Quegli articoli si trovano riuniti nel volume Scritti corsari (pubblicato da Garzanti) e alcuni sono oggi accessibili liberamente nel web. Sono interventi profondamente incisivi, calati nella quotidianità dei cosiddetti “anni di piombo” (termine preso in prestito dal titolo di un film della regista Margarethe von Trotta, uscito nel 1981): un decennio caratterizzato da attentati terroristici, violenze, sequestri, omicidi per mafia e clima repressivo che viene fatto abitualmente iniziare con la strage fascista di Piazza Fontana a Milano nel 1969 per arrivare alla strage della stazione di Bologna del 1980.
Pasolini sostiene di essere a conoscenza di quali siano i mandanti di questa fase, inquadrata come strategia della tensione, puntando il dito in particolare contro la Democrazia Cristiana (il fratello di Aldo Moro, Alfredo Carlo, è il giudice che condannerà Pelosi), contro la loggia massonica P2 e contro dirigenti quali Eugenio Cefis (Eni, Montedison). «Io so. Ma non ho le prove» scrive nel 1974 riferendosi agli episodi più tragici degli ultimi anni di storia del nostro paese: vuole arrivare a produrre vere e proprie inchieste, ma fino a quel momento non è in grado o non può farlo in maniera compiuta. Gli articoli per il Corriere alternano allora dichiarazioni politiche a interventi su fenomeni di costume e prese di posizione su temi di grande attualità, come il diritto all’aborto (dichiarandosi contrario).
Parlare di Pasolini nel centenario della sua nascita significa dunque parlare della storia politica e culturale del nostro paese e della violenza di stato, e andrebbe fatto senza omettere dettagli.
Un altro aspetto ancora oggi oggetto di critica è la sua vita sessuale. Nel 1949, ad una sagra in Friuli Pasolini si era appartato con dei ragazzi, uno dei quali non aveva ancora sedici anni, e con loro si era masturbato in un prato. Processato, decaduta l’accusa di corruzione di minori, fu condannato per atti osceni in luogo pubblico. Alcuni mesi dopo il PCI di Udine lo espulse «per indegnità morale e politica». Fu sospeso dall’insegnamento, come successe anche ad altri docenti omosessuali (ad esempio Mariasilvia Spolato, che anni più tardi, nel 1972, si dichiarò orgogliosamente lesbica nel corso di una delle prime manifestazioni della storia lgbt+ italiana, a Roma).
È curioso, volendo fare un confronto con un altro intellettuale le cui consuetudini sessuali sono note, che quando si parla di Gabriele D’Annunzio una levata di scudi si presenti immediatamente di fronte a chi ne ricordi abitudini o parafilie, seguita dall’invito a riesaminare con attenzione tutta la sua produzione prima di esprimere qualsiasi commento, mentre quando si tratta di scrittori fieramente non eterosessuali, come Mario Mieli o Pasolini, l’atteggiamento sia spesso diverso.
A lungo la grandezza di Pasolini non è stata raccontata nelle scuole italiane. Nei libri di testo ovviamente c’era, ma dedicargli una o più lezioni avrebbe voluto dire per un insegnante parlare dell’uomo oltre che dell’artista. Avrebbe voluto dire quindi parlare di tutti quegli aspetti della sua personalità che probabilmente hanno portato chi l’ha ucciso a trarlo in inganno all’Idroscalo. Sarebbe però il caso, in questo centenario celebrato un po’ ovunque con iniziative incoraggiate dal nostro Ministero della Cultura così come dall’Unesco, di ricordare il lascito di alcune parole in particolare, quelle che scrisse il 28 settembre 1975 nel suo ultimo articolo per il Corriere, invocando un processo alla DC:
«I cittadini italiani vogliono consapevolmente sapere perché in questi dieci anni di cosiddetto benessere si è speso in tutto fuorché nei servizi pubblici di prima necessità: ospedali, scuole, asili, ospizi, verde pubblico, beni naturali cioè culturali. I cittadini italiani vogliono consapevolmente sapere perché in questi dieci anni di cosiddetta tolleranza si è fatta ancora più profonda la divisione tra Italia Settentrionale e Italia Meridionale, rendendo sempre più, i meridionali, cittadini di seconda qualità».
La società civile ha continuato a esprimere il proprio dissenso contro l’apparato statale insistendo su queste stesse contraddizioni, ma l’Italia che oggi celebra Pasolini è un paese in cui le risposte alle sue domande non sono mai state date.
[La foto che ritrae Pier Paolo Pasolini con l’attrice e amica Laura Betti è di Elisabetta Catalano – via Artsupp]
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