Storia

Oblio della memoria o assenza della storia?

20 Settembre 2022

Il problema – a pochi giorni dal voto che molto probabilmente consegnerà il paese a una coalizione di centro destra a guida ‘fratellista’ (riprendo il neologismo da Roberto Saviano)  – sarà riflettere sul come mai in Italia a cento anni dalla Marcia su Roma non ci sia ancora una sufficiente repulsione verso il fascismo, i suoi derivati e i suoi postumi. Ignoranza, oblio, autobiografia della nazione, o assenza della storia?

Qualche amico risponde: indifferenza e ignoranza. Qualcun altro incolpa la scuola, che non spiegherebbe sufficientemente il periodo 1922-1945. Ora, posso assicurare, da insegnante di storia e filosofia, che a scuola se ne parla eccome, e i ragazzi la studiano e sono interessati, e quasi nessuno, dopo aver capito le vicende e le loro cause, ha più pulsioni identificatorie col fascismo e derivati. Anzi, in genere, i ragazzi di 19 anni ne sanno molto più dei loro padri e dei loro nonni, a patto ovviamente che studino. Quindi la scuola attuale, visto anche il rinnovamento dei programmi puntati molto sul Novecento, è fuori questione. Altro problema sarebbe che le ore di storia sono sempre meno, e anche questo è drammaticamente vero.

L’oblio ha a che fare con la memoria collettiva, e come insegnano gli storici, la memoria dipende molto dalle narrazioni e dai racconti familiari. Ma ormai i quaranta-sessantenni non hanno più diretta memoria del regime, e i loro genitori, che la avevano, sono defunti. I pochi novantenni ancora viventi rappresentano un’ esigua minoranza del corpo elettorale, e quand’anche la loro memoria fosse di prima mano, non avrebbero spesso sufficiente energia né spazio pubblico per far sentire la loro voce. Inoltre la memoria è sempre soggettiva, esposta a distorsioni, a revisioni, ad accomodamenti, secondo  i bias cognitivi molto studiati dalla psicologia sociale.

Resta il concetto di “autobiografia della nazione”, per riprendere una locuzione di Piero Gobetti, che nell'”Elogio della ghigliottina” scriveva «Il fascismo è stato qualcosa di più; è stato l’autobiografia della nazione»

Un misto di «apoliticità, immaturità politica, esaltazione cortigiana, parassitismo», abitudine alla servitù volontaria, alla delega, al clientelismo, al servo encomio verso chi si presenta come nuovo,  come risolutore di problemi di cui non è responsabile, spacciando frasi retoriche e semplificatrici come panacea per tutti i problemi correnti.

Forse il vero punto è un altro: l’assenza reale di conoscenza storica. E non perché a cento anni dalla Marcia su Roma, la storia si ripeta esattamente nella medesima maniera, né perché il fratellismo sia una riedizione del fascismo degli anni ’20-30 del secolo passato. Ma perché conoscendo esattamente ciò che accadde allora,  si possono istituire analogie, immaginare somiglianze, riconoscere strutture social- politiche comparabili.

Forse è proprio la storia la grande assente dal discorso pubblico. E non solo da quello dei giovani, tutti presi dalle loro app, dalle loro ansie, e dalle loro naturali aspirazioni vitali: da quello degli adulti,  ma soprattutto dei giornalisti, dei politici e delle classi dirigenti di questo paese, che ai loro tempi a scuola, anche a causa della diversa scansione dei programmi, non hanno studiato sufficientemente il Novecento, oppure da adulti non hanno mai preso in mano un serio libro di storia.

Ottimi libri non mancavano, e anche ottimi programmi televisivi. Ad esempio ritengo che questo di Raistoria sia molto utile per chi davvero ignora tutto o vuole rinfrescarsi le nozioni (non) apprese da giovane.

 È del tutto prevedibile comunque che per i prossimi mesi questo sarà il dibattito sui giornali e sui social più avanzati.

Ma forse ormai è troppo tardi per cambiare decisione elettorale. Ci aspetta una catastrofe?

 

PS. VIVA PEPPA PIG

 

 

 

 

 

 

 

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