Storia
Muri di ieri, muri di oggi
Negli ultimi trenta anni, ovvero dopo la caduta del muro di Berlino, i muri di divisione, sottolinea Claude Quétel, nel suo libro Muri che Bollati Boringhieri ha mandato di nuovo in libreria in queste settimane) non sono scomparsi. Anzi.
Non solo. I muri non hanno avuto sempre lo stesso significato. Bisognerebbe dircelo, oggi che celebriamo la caduta del Muro di Berlino e, contemporaneamente, conviviamo con molti più muri di allora.
Ci sono muri che indicano una coabitazione guardinga più che una distanza. Così accade nell’antichità. È per il esempio il caso del tracciato fortificato che segue il Reno e che divide Roma dai Germani. Finalità simili ha la muraglia cinese, volta più al contenimento che non alla separazione.
Diversa la funzione e la natura del muro di separazione. Per esempio, quello del vallo danese costruito nell’alto medioevo per impedire ad altri di invadere la Danimarca. Il timore è quello che giungano dei barbari da Sud, salvando il proprio livello di civiltà. Nel tempo il risultato sarà opposto, decretandone l’isolamento rispetto ai ritmi dello sviluppo europeo (questa storia forse potrebbe insegnarci qualcosa oggi, nel 2019)
Muro di separazione che indica una regola: si erge un muro di separazione, una muraglia che è di difesa e di frontiera, quest’ultima sempre per iniziativa unilaterale, perché non si vuole frequentare chi sta dall’altra parte. Accade a Manhattan già nel ‘600 in quella che è oggi Wall street, un luogo che al momento dell’insediamento olandese segna lo spartiacque tra nuovi arrivati e la popolazione indigena che viene collocata dall’altra parte.
Diverso il caso dei muri di prescrizione.
Il fine non è non frequentare qualcuno, ma controllarlo. I muri dei lazzaretti, le zone di reclusorio isolate dal resto della città negli episodi di epidemie sono esempi di questo tipo.
Lo stesso vale per i ghetti ebraici che si diffondono in Europa a partire dal ‘500. Spazi urbani che servono a controllare una popolazione, ma che talora sono anche dei territori di rifugio per i loro abitanti (è ciò che accade nei giorni di Carnevale, quando per gli ebrei il ghetto diventa una protezione, più che una prigione perché li sottrae al possibile linciaggio ella folla). Il ghetto così non è solo una struttura di costrizione, talora è anche uno scheletro che “salva” e, nel tempo, fornisce identità. È uno dei motivi per cui l’abolizione del ghetto non significa automaticamente fuoriuscita dei suoi abitanti/reclusi da quel territorio. Spesso, al contrario, si traduce in ulteriore radicamento in quel luogo.
Ma i muri hanno anche altre funzioniPéer esempio una funzione fiscale, oppure rappresentano un luogo di memoria. In entrambi i casi è emblematico il caso di Parigi. Il disegno del perimetro murario a fine ‘700 stabilisce il regolamento daziario e distingue chi cade dentro la fiscalità e chi ne è esente. A fine ‘800 il Muro dei federati, il luogo dove migliaia di insorti della Comune di Parigi (marzo-maggio 1871) sono uccisi a migliaia tra il 24 e il 28 maggio, diventa mèta di pellegrinaggio dei cortei della sinistra, dall’inizio del Novecento a oggi. Ovvero un luogo di memoria come tutti quei luoghi in cui si consuma una strage.
Il Muro di Berlino radunava tutte le funzioni illustrate finora: muro di costrizione, frontiera, luogo di esclusione, luogo di memoria Una icona della divisione che nel momento in cui si disintegra, la notte tra il 9 e il 10 novembre 1989, con centinaia di migliaia di persone che l’attraversano, sembra decretare la fine dell’idea stessa di separazione.
Momento che per alcuni significa anche il ritrovamento di una parte della propria vita come dirà Mstislav Rostropovich che l’11 novembre in mezzo alla folla si presenta di fronte al muro per suonare il suo violoncello per ritrovare in quel luogo, come dirà, l’altra metà della sua vita spezzata in due dall’esilio.
I muri non sono finiti allora. Nei 30 anni che ci separano da quella scena, nuovi muri sono sorti in molte parti: muri di separazione che dividono popolazioni in conflitto (a Gaza e in Cisgiordania, a Hong Kong, per esempio) ma soprattutto di protezione.
Sono ora i ricchi che si isolano in nome della sicurezza, della tranquillità, del silenzio, del diritto alla propria privacy. Con ciò segnando anche un differente significato delle parole. Pubblico significa “invasione di campo”, privato diventa sinonimo di salvaguardia.
Dunque è cominciata un’altra storia.
I muri di oggi sono destinati ad avere un futuro, più che essere un residuo del passato: non più segno della vergogna o dell’offesa, ma della tutela. Per questo, suggerisce, la loro abolizione non è più una priorità. Magari teorizzando che ognuno ha diritto al suo muro. Una condizione che propone spazi per tutti, ma senza contaminarsi. Coabitando, ma senza mescolarsi. Ciascuno «a casa sua».
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