America

Millenium Falcon. Ontologia semiseria dell’era Trump

22 Gennaio 2017

20 Gennaio 2017. Whashington. Trump è il 45° president of the United States of America. Guardo la big-Celebration su Youtube. Melania in cappottino fasciante azzurro cielo, Ivanka, Jared Kushner, Jennifer e il giovane Barron sono il poveropopolo contro il ricco eshtablisment. Donald è il rivoluzionario outsider che strappa al Capitalismo-globale il Palazzo. D’inverno. …Svegliatemi. Cosa mi è sfuggito?

Per comprendere il non-compreso, ritorno al futuro di qualche mese fa, dentro il 2016, fino alla sorpresa che mi si è dipinta sul volto vedendo accadere (all’ inglese: to Happen) prima il Brexit, poi il Trump, oltre alla rottamazione del rottamatore Renzi (all’italiana: to Rnosubito). Vero, a bocca aperta, afoni, son rimasti soprattutto gli sconfitti dagli eventi. Come me. Ma diciamocelo: anche fra i vincenti (quelli che stavano con la Brexit, con Trump, con il No al Referendum Costituzionale in Italia) la moltitudine ha “sentito” più che “capito” il cambiamento e ora si interroga – se si interroga – sui destini suoi, come noi sui loro. Un amico mi aveva consigliato un bel film per le feste di Natale: l’ultimo di Clint Eastwood dove un eroico pilota d’aereo salva la vita ai suoi passeggeri grazie a un rocambolesco atterraggio sul fiume Hudson. Atterraggio miracoloso di cui però poi lo si accusa, perché ha distrutto l’aereoplano. Capito il messaggio: nel 2017 tutti atterriamo fuori pista. Come il comandante Sully Sullenberger siamo costretti a sfidare il destino per impellenze di forza maggiore. E se Clint Eastwood non vi convince, passo la mano a Omero: sentiamo di non poter più stare dove stiamo, ma prendiamo il mare come Ulisse dall’isola di Ogigia: salutata la bella Calypso, saltiamo su una zattera e andiamo al naufragio. La demo-crazia della partecipazione si è tramutata nel voto per disperazione, e per imprecazione in molti(ssimi) casi. Ma chi è più timido non vede più chiaro: votiamo pensando “mah… poi si vedrà…” E non è una bella cosa. L’incertezza è l’unica certezza (come sul lavoro) mentre avverti che cervello, volontà e coraggio contano meno della Fortuna cieca. Con la Sfiga che ci vede benissimo.

Una volta intervistai uno che si giocava l’intero stipendio alle macchinette. Di spalle. La moglie l’aveva lasciato, e lui non voleva farsi riconoscere. Ma perché aveva iniziato? In ogni fase di Crisi l’Uomo si affida all’inaffidabile. Ma ora la buttiamo via. Dovremmo farlo con più rispetto: gli Antichi, persone pratiche e razionali, prima di ogni decisione importante consultavano con grave serità gli indovini, i Romani gli Aruspici della tradizione etrusca, acciocché tastando le viscere di una pecora o di un bue  rivelassero loro se l’azione intrapresa sarebbe risultata gradita o sgradita agli dei onnipotenti.

Fa strano, oggi. Ma  parliamone: e se fosse più strana ancora l’idea di salvarsi la vita nel mini-casinò del baretto sotto casa? E allarghiamo il focus: se fosse più strana la nostra scienza politica che dà previsioni sbagliate? E i sondaggi smentiti dai sondati? E le Banche coi forzieri pieni di spazzatura?  E un modello sociale vincente che crea  sempre meno ricchi circondati da moltissimi poveri? O un preteso Califfato islamico medioevale nel terzo millennio dopo Cristo? O la vendita di Inter e Milan ai Cinesi?

Insomma: se il nostro Reale non è più razionale, significa che ragioniamo in modo errato. Manca qualcosa in noi, non nel Mondo.

L’immensa cultura dei Greci e dei Latini, dalla quale pure abbiamo ricevuto i fondamenti della logica e della scienza esatta, appunto usciva da questa impasse concedendo una chance alla fantasia. All’iperreale, all’irrazionale, al magico, al divino, all’Olimpo degli dei capricciosi. A una forza incontrollata e incontrollabile dai nostri pensieri e dalle nostre azioni, che ha il potere di cambiarci la vita. Ah! Ecco il piccolo uomo che si figura un “mondo che sta dietro il mondo” avrebbe poi ridacchiato – sarcasticamente – lo Zarathustra di Nietzsche pensando, più che ai Greci, alla dimensione cristian-cattolica della fede in Dio. Le Benedizioni, le preghiere al Santo, o i per-Grazia-ricevuta hanno una dinamica diversa ma paragonabile al sacrificio rituale propiziatorio. Ancora nella nostra contemporaneità, nelle chiese, i parroci coi radiomicrofoni appuntati sui paramenti sacri mangiano il corpo e bevono il sangue dell’ Agnus Dei: mistero della fede. Non siamo poi così distanti dagli Antichi. O, meglio: ci siamo solo illusi di essere diventati un’altra cosa. Perché, nei fatti, la questione dei limiti della conoscenza, e della scienza, è sempre rimasta aperta, è sempre attuale: c’è un quid che sfugge ai pensieri dell’uomo, la nostra Razionalità non vede l’intero spettro del possibile. Un modem più potente potrebbe captare, in wi-fi, una banda più larga? Anche qui il sarcasmo a-teo di Nietzsche picchiava duro: c’è un umano troppo umano (Menschliches, Allzumenschliches) che ha paura di sentirsi libero. E diventa ridicolo quando cerca protezione –  come accade, eccome, ancora – nel folclore dei Miracoli da quattro soldi, nei Maghi prezzolati e negli Astrologi da fine anno. Ma insieme e tuttavia, il tentativo di superare i limiti della pura Ragione viaggia anche su un’orbita altissima, che incrocia la Fede, certo, ma non solo: anche il  quadro astrale di Immanuel Kant.

Nato sotto il segno del Toro, come George Clooney e Penelope Cruz, ma sotto l’ascendente dell’ Illuminismo, il grande filosofo di Königsberg precisò (era un tipo molto preciso) che il cervello umano è un motore troppo potente e va autolimitato. Come succede nelle gare di Formula Uno con il regolamento FIA: max 15.000 giri/minuto. Dentro i limiti individuati da Kant nella sua celeberrima Critica della Ragion pura, il motore gira che è un amore, funziona la Ragione, e noi sappiamo essere razionali. Quindi sappiamo trarre da ipotesi veritiere conseguenze esatte, prevedere ciò che accadrà e costruire teorie scientifiche che funzionano. Quelle che poi costruiscono Progresso, Innovazione e magari anche nuovi posti di lavoro (oggi se non fai un po’ di illusionismo sui posti di lavoro non ti si fila più nessuno…).

Tornando al punto: come noto i limiti Kantiani sono Spazio e Tempo, dal che si deduce che la dimensione spazio-temporale è la dimensione propria dell’esperienza intellettiva umana. Banalizziamo: date a un contadino un pezzo di terra (Spazio) e un anno diviso in stagioni (Tempo) e il contadino produrrà, con scienza e buon senso, ottima frutta e ottima verdura. Già  …Ma ora le Stagioni non sono più quelle di una volta!  Così il cambiamento climatico finisce in fatica, perché ora dobbiamo arrampicarci a mani nude dal luogo comune delle stagioni e delle mezze-stagioni fino a una domanda importante, complessa, che va posta al centro di tutto il suo sguardo sul presente e sul futuro: se Spazio e Tempo cambiano, che succede alla Ragione umana?

La risposta la viviamo. Noi terrestri del terzo millennio siamo le cavie di questo esperimento. Lo Spazio e il Tempo nella Società-connessa della Globalizzazione sono evanescenti, scompaiono. Sono Spazio-zero e Tempo-zero. Un bel salto. In Guerre Stellari il salto gravitazionale permesso da una falla nel sistema difensivo dell’Impero porta l’astronave  ribelle Millenium Falcon ad anni luce di distanza dalla Morte Nera, in Tempo-zero, mettendo così in salvo Ian Solo, la principessa Leila (R.I.P.) Lando Carlrissian e lo Wookiee Chewbecca. Similmente io, in Spazio-tempo-zero, ho fatto un salto su Wikipedia per sincerarmi di non sbagliare qualche nome dei Guerrastellati appena citati, e mi sono anche rivisto on-line quella scena del film di George Lucas uscito nelle sale quando avevo sedici anni.

 

 

La tecnologia ci ha cambiato la vita, l’Essere-in-Rete ci ha cambiato la vita, la Globalizzazione diffusa ha invaso il nostro fare quotidiano e ci ha cambiato la vita. E una nuova vita ha bisogno di una nuova testa. Di questa cosa ce ne siamo accorti troppo poco, pretendendo di semplicemente usare le nuove tecnologie a servizio di vecchie idee e accomodanti tradizioni. Sbagliato, il rapporto uomo-τέχνη non è un rapporto inerte, innocente. E’ coinvolgente, è acuminato, è rischioso. Utilizzi e vieni utilizzato. Utilizzato non significa abusato, si può usare e farsi utilizzare con piacere. Con amore? Anche. E c’è profondo amore, o piacere, nell’utilizzo della tecnologia che ci è dato di fare. Ma, si cambia. Perché lo strumento è parte dell’esito. In qualche modo il fine dipende dai mezzi. Pensate a come le invenzioni di Steve Jobs hanno cambiato la nostra socialità, ma anche il nostro gusto,  le nostre possibilità, il nostro pensiero: think different!

La cosa del resto è ben nota, da oltre un secolo. Non è la fantascienza di George Lucas, è l’ archeologia della modernità: Max Plank iniziò a descrivere i principi di complementarietà e indeterminatezza della Meccanica quantistica in un testo del 1900, Einstein visse al tempo delle foto in bianco e nero e ancora non lo abbiamo relativizzato alla nostra esperienza quotidiana. McLuhan scrisse “Understanding Media: The  Extensions of Man” con incluso il detto che tanto piace ai tempi nostri “Il medium è il messaggio” nel 1964: cinquantatré anni fa. Ma, se volete, i ricordi del bel tempo andato potrebbero allungarsi di parecchio: fino al pollice opponente, che ci permise di afferrare un sasso e un bastone e di decidere che farne, quando eravamo ancora mezze scimmie. A meno che non se ne discuta con dei Creazionisti, che pure ritornano in qualche modo contemporanei (hanno votato Trump) ad anni-luce di distanza spirituale da Adamo e da Eva.

In ogni caso, di che siamo venuti a parlare –  al dunque – partendo dalla cronaca politica dell’anno scorso? Di ANTROPOLOGIA. Sopra vedete una foto di Louis Leakey, uno dei padri della paleoantropologia moderna, mentre misura dei crani fossili di ominidi provenienti dal giacimento di Olduvai. Ecco, stiamo facendo una cosa del genere. Ma non su crani fossili. Sui nostri. Quindi dobbiamo, contemporaneamente, essere i misurati e i misuranti, e cercare “la misura di tutte le cose” che ora è un altro tipo d’Uomo. No, nessuno ha mai detto che è la mission è easy. Ma è possible. Must be. Torniamo in Guerre Stellari.  E ripartiamo dalla constatazione più elementare:in un mondo connesso, a Tempo e Spazio zero, quello che innanzitutto salta sono le distanze.

La distanza fra Gente (Popolo) e Politica, di cui ancora si va parlando, in realtà da anni non c’è più. C’è, invece, una gran voglia di partecipazione diretta alle scelte politiche, semplicemente perché la Gente ha in mano, in tasca, sul tavolo di studio o di  cucina, gli strumenti tecnici che quella partecipazione rendono possibile: il cellulare, il tablet, il computer, che connessi al Web creano un mondo Social. Lì, si lamentava il professore Umberto Eco “legioni di cretini hanno lo stesso diritto di parola dei Premi Nobel”. Ok, professore (R.I.P.), il popolo è bue. Ma il Social Network non è il Bar dello Sport, è la forma di una nuova mutazione dell’Umanità, importante come la stampa a caratteri mobili inventata da Johannes Guthemberg. Gli intellettuali dovranno pur interessarsi di questo, against all odds. Altrimenti, che ci stanno a fare? C’è anche una nuova energia in mezzo all’idiozia, corroborante, intrigante, diffusa. Casaleggio e Grillo sono partiti da questa coscienza (energia+idiozia), e anche l’Obama che fu, e anche Trump. Esempi di successo, sì. Ma di segno differente. Grillo, Obama e Trump sono soggetti politici fisiognomicamente molto distanti. Non si somigliano per nulla. Dunque, cosa vuole la Gente? La domanda è ingenua. O troppo furba. Nessuno ha mai fatto politica per corrispondere alle voglie della gente, in verità. E nemmeno nel mondo connesso della partecipazione popolare di massa questo accade. Il Populismo è pericoloso perché strumentalizza la domanda popolare alla sua volontà di potenza e di comando, non perché fa quello che la gente vuole. Anzi, ha bisogno che alla domanda non corrisponda una risposta risolutiva, sennò la rabbia che regge la domanda calerebbe. Il Populismo lavora insomma sul problema, non sulla soluzione del problema. Ma, sospendendo il giudizio sul fine, e badando invece ai mezzi, chiunque voglia politicamente agire, oggi, cosa deve pre-vedere?

La chiave è capire che nel mondo connesso a partecipazione popolare di massa ciò che avrà successo non può essere politica, nel senso più classico e riduttivo del termine (la politica dei partiti, dei programmi e delle campagne elettorali) ma qualcosa di nuovamente e finalmente più coinvolgente e vissuto che qui chiamiamo Cultura. Cultura in quel  senso ampio (antropologico) che comprende i tuoi modi d’essere e di apparire, come ti vesti, quello che mangi, la vita che fai, non solo i libri che leggi e le scuole che hai frequentato.

Esemplifichiamo con 5 Stelle: essere grillini in Italia non vuole solo dire votare per quelli lì, vuol dire accettare un coinvolgimento personale che t’ insegna ad avere un certo tipo di cultura del Potere, dell’Economia, della Comunicazione, della Democrazia. E anche a gridare “vaffanculo” agli Onorevoli per poi diventare Onorevole tu stesso, come no. I Movimenti rivoluzionari hanno sempre avuto questa malattia. Ma anche nei casi più lievi l’appartenenza culturale a quel “Club” cambierà la  tua vita: influenzerà gli acquisti che fai, i libri che leggi, i siti che frequenti sul web, i luoghi che visiti, i cibi che mangi, l’educazione che dai ai tuoi figli. Chiesi anni fa a un amico che iniziava a sembrarmi grillino per chi votava, mi rispose: “Sono un cittadino avvertito”. La fede in una identità, il sentimento di appartenenza, l’orgoglio di partito (nel caso M5S: di Movimento) ritornano attuali.

Non che questo risolva le gravissime lacune che il Movimento 5 Stelle ha finora mostrato passando alla gestione pratica del Potere conferitogli dal suo popolo. Con le fondamenta della democrazia diretta sepolte da una colata di decisioni di vertice, i misteri della Casaleggio associati e la prova di governo appesa all’imbarazzante “caso Roma”. Ma, ripeto, qui stiamo parlando di come si parte, non di dove si arriva. E dentro la moderna società liquida (Zygmut Bauman docet) la capacità di mobilitazione di massa inventata in Italia dal Movimento 5 Stelle resta staordinariamente importante come fatto culturale. Ed è estremamente indicativo della nostra cattiva capacità di leggere la politica contemporanea il fatto che nessuno dia spiegazioni esaustive ed organiche al consenso popolare che il Movimento 5 Stelle continua a trattenere nonostante i difetti organizzativi, gli sbagli strategici, l’ impreparazione al governo, la gestione “aziendale” e la severissima gerarchia che ha portato a molte espulsioni. Mentre scriviamo, gennaio 2017, il Movimento fondato da Beppe Grillo, ancorché monco dalle visioni e dalla ingegneristica genialità informatica dell’altro fondatore Roberto Casaleggio, dopo il rocambolesco caso Europa-Alde e nel caos più totale a Roma… resta primo nelle classifiche del voto ipotetico stilate dagli istituti di sondaggio. Evidentemente ciò che gli Esperti percepiscono come Negativo, è Positivo o perlomeno irrilevante per la Gente. E siamo da capo a dodici: il Nuovo ha delle ragioni che la Ragione non comprende. Ma è la nostra Ragione che deve farsi più larga, il Nuovo è e non può non essere. Indaghiamo ancora: torniamo al nuovo uovo di Colombo, e al pulcino appena nato. Torniamo a Trump.

 

Essere Trumpiani negli States è diversamente ma ugualmente coinvolgente: è la rivendicazione di una bandiera, di un ruolo, di una missione. Mission che ha trovato nell’etica e nell’estetica della libera e legittima difesa, parlata e armata, del self-made-man la sua lobby più radicata nel popolo e nella stessa Costituzione degli Stati Uniti. Mission che potrebbe rivelarsi del tutto impossible quando le radici dovranno svilupparsi in rami, fiori, frutti…

Ma già così, la scelta che l’elettorato USA ha compiuto da Obama a Trump cambia il segno e il senso dell’Impero americano. L’outsider Donald, che ha battuto tutti e due i partiti politici in campo (Democratici e Repubblicani) può essere definito “un politico”? E la Superpotenza USA a guida Trump, è una superpotenza politica? O, piuttosto, è volontà di potenza di qualcosa di veramente nuovo, che ha compiuto la sua metamorfosi e dunque – fenomenologicamente – ora è un’ altra cosa?

Come sempre il diavolo sta nei particolari:  bastano gli abiti sciccosi, trendy e/o trash con i quali Melania e Ivanka Trump hanno travolto l’outfit politically-correct (e costosissimo) della Clinton e con lei decenni di estetica femminista, per iniziare a capire che l’ascensore dorato della Trump Tower ci sta portando in un nuovo loft. Un mondo dove il Business conta più della Politica.  Ma, attenzione, questa non è una affermazione banale. Il Business, il Business della famiglia Trump, è Cultura.

E’ cultura del nostro tempo, proprio nel senso antropologicamente ampio di cui dicevamo prima. La Trump Tower non è distante dalla gente comune, la gente comune ne conosce la simbologia, l’iconografia,  la Cultura… e quella cultura vive, e desidera. Il mondo dei ricchi, dei ricchi che lo danno a vedere, dei parvenue detto alla francese, dei bauscia detto alla milanese, non è mondo elitario, almeno per due semplicissime ragioni. E’ il mondo che miliardi di persone seguono e ammirano ogni giorno in infinite fogge (immagini, video, film, brani musicali) che fanno stile e fanno tendenza. Ed è l’habitat in cui sguazziamo tutti: perchè la gente da decenni vive in un Pianeta dove, quasi dappertutto, l’economia conta più della politica. Ora che è accaduto con la famiglia Trump? Che il Business, fattosi Cultura di vita della gente sia nel bene che nel male (cioè Globalizzazione finanziaria, Crisi della Turbo-finanza, e restaurazione della Turbo-finanza globalizzante incluse) ha naturalmente e logicamente occupato anche lo spazio della Politica. In Italia diciamo: era già avvenuto con Berlusconi! Non è proprio così: Berlusconi era (è) il Businessman che scende in campo, nel campo politico. E nella differenza fra mondo dell’economia privata e mondo dell’economia pubblica (Privato/Stato) si dibatte e si consuma. Trump non scende in campo, lo sbaraglia, lo annienta, lo occupa. E’ il Napoleone a cavallo dopo Austerlitz descritto da Tolstoj in Guerra e Pace, mentre imperialmente visita e conforta i feriti vinti e sconfitti dell’esercito nemico. Al popolo americano, tuttavia, l’evento può apparire anche in termini meno drammatici: con Melania, Ivanka e Tiffany la politica si è rifatta l’abito, pare anche un po’ il seno, ed è tornata di moda. L’abito non le fa monache, ma è un fatto più che politico, meta-politico, culturale. Ed è quando conquisti la Cultura che davvero conquisti il Potere.

Absit inuria verbis, potremmo parlare di un Trump in qualche modo gramsciano perché il Partito di Trump è – in qualche modo – proprio quell’ “Intellettuale collettivo” che indicava Gramsci, quel pensiero collettivo che fa Cultura prima di fare politica e conquistando le casematte del potere spinge avanti la lotta per la Rivoluzione. Con Trump la Rivoluzione è IperCapitalismo, è anche anticomunismo viscerale. Può essere giudicata anche di gusto orribile, pacchiana, becera,  scema, razzista, maschilista, politically scorrect. Ma sempre di rivoluzione collettiva si tratta. Ribadiamolo navigando in mari opposti. Il futuro prossimo, immediato, il nuovo anno che è già cominciato, ci richiamano a scelte più che politiche: culturali. Che ciò accada non è una brutta cosa, è una cosa doverosa.  Certo la nuova cultura può essere Trump, può essere Brexit, può essere rischiosa e dolorosa. Ma ricordiamoci che essenzialmente Cultura è vita. E la vita ci interessa. No? Per costruire un nuovo Welfare, ad esempio – uno dei nodi fondamentali del “come vivremo” gli anni a venire – serve un nuovo progetto di vita. Cioè un nuovo progetto sociale, cioè una nuova idea di umanità, con nuovi diritti, nuovi doveri, nuove fragilità e nuove potenzialità.  Tutto questo è vita e tutto questo è Cultura. Certo non è soltanto politica economica. E infatti: da anni la semplice rivendicazione del diritto acquisito, ad esempio alla pensione, si inceppa, perde colpi, non funziona più. Perché? Perché il ragionamento sottotraccia non è più retto da un modello culturale al passo coi tempi. Lo hai acquisito nel passato, il diritto, ma te lo pagheranno nel futuro. E questo complica parecchio le cose… Chi, facendo politica, vuole occuparsi seriamente di Bene comune, oggi è meglio che cammini sulla strada, poco battuta, che vuole arrivare a capire cosa davvero sta per capitare al lavoro e al non-lavoro. Serve un Progetto culturale che abbia sinapsi fluide e muscoli possenti. Per questo chi ragionava, o ancora ragiona, di una politica sperabilmente timida, piccola, tiepida, poco invasiva, strumentale, post-ideologica e accessoria, si ritrova fuori fase. Occorre una politica che cresca fino a diventare cultura diffusa, “intellettuale collettivo” e con quelle credenziali conquisti il potere. E che ce ne faremo, poi, del Potere? Serve, e ne serve tanto, per combattere il gigante senza testa, il Capitale decapitato, che barcolla ma non molla sui piedoni di argilla. Barcolla a pochi metri dall’abisso e se ci cade ci trascina tutti. Allegria! Pure, il Potere che cerchiamo non è il potere di rewind, il potere di tornare indietro. Il pianeta terra gira in un verso solo. E girando ci ha portato al tempo che dobbiamo saper vivere, il nostro: quello dello spazio-tempo zero e dei mercati globali. Nel mondo globale nessun mercato è un’isola. Difficile dunque credere alla propaganda del Protezionismo, piuttosto la strutturale assenza di autarchia rende di nuovo essenziale l’alleanza fra chi gestisce i confini fisici e chi li supera: cioè fra Stato e Mercato, fra Politica e Business. E proprio questo è Trump.

Tutt’altro dunque che un’anomalia, piuttosto un segno dei tempi. Una simbologia, una Cultura. Il tema è capire se lui, Donald, lo ha compreso… Tuttavia, cosciente o incosciente, la richiesta di simbologie culturali (che sono l’embrione di ogni nuova Ideologia) è tornata ad essere forte. Cerchiamo disperatamente una google-map che ci mostri dove siamo, e un navigatore che ci guidi in mezzo alla nuova foresta di simboli. Sono maschere sconosciute, inquietanti, mostruose. Ma possono diventare più amichevoli: sui media già si parla di un possibile sbarco in politica in funzione anti-Trump del giovane fondatore di Facebook, Mark Elliot Zuckerberg.  “Zuckerberg studia da anti-Trump” è il titolo che si è fatto notare su La Stampa, ma – poiché evidentemente ogni antinomia si confronta a pari livello – l’ipotetico caso-Zuckerberg ci sembrerebbe anche e soprattutto una conferma del caso-Trump: il Business, divenuto cultura diffusa, diventa politica. Se però tutti capissimo che il nostro pensare il Nuovo deve procedere oltre le persone che lo interpretano, allora potremmo giungere a un punto importante, e più confortante: nella connessione inevitabile fra Economia (Impresa), Politica e Cultura che trama il nostro tempo non c’è solo Male, c’è anche Bene. O qualcosa al di là del bene e del male che tocca a noi intraprendere e trasformare in Bellezza. Il politico che voglia esserci sinceramente utile (c’è qualcuno?) cerchi di essere quella guida, quella avanguardia (detto in terminologia artistico-culturale), quella Classe dirigente illuminata che ha per compito un progetto Culturale-economico-politico abbastanza grande da contenere il senso e lo scopo della vita di tutti. Una politica degna di essere vissuta. In questo senso deve essere bella, la politica. E il politico? Siamo messi male. Se vuole ri-diventare bello fuori deve prima diventare bello dentro, il bamboccione. Deve cambiare paradigma, deve sentire l’esigenza di un percorso di formazione, di educazione, a un nuovo e più ampio modo di pensare. A un nuovo senso e a una nuova Cultura (che è economia come è poesia) di cui poi la sua politica sarà il frutto.

L’esperimento del PD di Matteo Renzi, pur pieno di bella e dinamica gioventù, non ha avuto la forza propulsiva che serve. Perché? Perché ha schierato  Machiavelli contro Gramsci, il Principe contro il Collettivo, e soprattutto perché non ha risolto il tema culturale nel quale è inscritto: cosa è oggi Democrazia? Cosa significa essere Democratici negli anni che viviamo? Le risposte a questi interrogativi sono difficili da dare, ma restano fondamentali. Non puoi saltare la domanda: Democrazia come? E la risposta o è risolta e partecipata al popolo dal “Collettivo intellettuale” gramsciano oppure è “sentita” per via emozionale come nel caso Brexit e nel Caso Trump. Il PD renziano ha presentato la prima soluzione, ma col trucco: non aveva risolto la domanda. E nemmeno aveva risolto il problema del Collettivo! Quindi non ha potuto parteciparla al popolo, la risposta, e per questo ha perso il Referendum. Senza costruire il collettivo su fondamenta culturali salde non si raggiungono le risposte alte, forti, sconvolgenti, che servono. E si cade: si ri-cade indietro, nella scatola dove gli ex-post-comunisti ed ex-post-democristiani non si capiscono perché sono diversi ab ovo. L’identità nuova Renzi per un po’ l’ha cercata. Poi ha fatto quello che si fa in Italia: si è sentito arrivato, e ha smesso di cercare. Questo fermarsi, per dei Progressisti, è la colpa più grave. Eppure pare che un po’ tutto il Centrosinistra planetario sia bloccato, con Peter Pan, sull’ Isola che non c’è. Che non c’è più. Fu il bel sogno della società post-moderna dove ogni differenza e ogni contrasto si sarebbe appianato in maniera giocosa, serena e sorridente, nel modello sociale migliore-possibile: la Democrazia. Fu il bel sogno di Francis Fukuyama, con la sua Fine della Storia che segnò l’inizio di una storia nuova: The end of history and the last man (1992) piacque moltissimo a destra, ai neo-con, ma fu più utile a sinistra: la Democrazia liberale proposta come modello conclusivo della storia del progresso era una soluzione perfetta per i governi di Centro-Sinistra del dopo-Marx, dopo-Muro, dopo-URSS e, dopo tutto…fermare la storia sembra una buona idea quando  la storia sembra sfuggire di mano. Scoprimmo ben presto, che – sorprendentemente – il pianeta Terra continuava a girare, e che la società non era immobile: tutt’altro, si era fatta liquida, come ci insegnò Bauman. Ma ancora a sinistra si sognò (ed era un bellissimo sogno, ripeto, ma irreale) che dalla “liquidificazione” delle più diverse e differenti provenienze, culture, casistiche sociali ed economiche potessimo comporre un cocktail dal gusto effervescente, giocoso, liberatorio, solidale e pacifico. Il millennio aperto dallo schianto degli aerei guidati da Mohammed Atta contro il World Trade Centre di New York, ci trasmette emozioni diverse: fra crisi devastanti, crescita delle povertà per milioni di Occidentali, uscita dalla miseria per miliardi di Orientali, moltiplicarsi dei poteri virtuali e dei conflitti brutali… qui si cercano ragioni per vivere o per morire. Altro che cocktail!

L’ultimo saggio di Fukuyama (2014) “Political order and political decay “ parla di decadenza della politica e dell’idea di democrazia globale,  e sul fronte dei progetti di vita e delle motivazioni personali il ritorno su vasta scala popolare del fondamentalismo religioso (la mancata previsione più colpevole della nostra pretenziosa, elitaria Razionalità) ha riscoperto in quella dimensione intrinsecamente irrazionale che è il Divino l’Essere-per-la morte. L’uzzolo – poco simpatico – non è solo orientale. La fenomenologia dell’ Essere per la morte è di una ampiezza pari almeno al pensiero di chi la ha magistralmente indagata nella Germania di fine Novecento, Martin Heidegger, ma dietro di lui le ombre mortifere si allungano fino al risorgere della spiritualità nazi-fascista nella pericolante nuova Europa del terzo millennio. L’Unione dove – paradossalmente – l’idea di Patria, di Nazionalismo, di confine armato, sembra avere più spinta del concetto di  Comunità pacifica e multiculturale (fuori sincrono come il Nobel 2016 a Bob Dylan…). Celebriamo contenti un cinquantennio europeo senza guerre intestine. Ma quale europeo oggi accetterebbe di combattere e morire per il Parlamento di Bruxelles? La risposta, my friend, is blowing in the wind. Studia Scienze politiche, intanto, nel carcere di massima sicurezza di Skien, Norvegia, Anders Breivik che nel 2011 uccise 77 ragazzi sull’isola di Utoya, con in testa una sua pazza idea di Movimento Conservatore Rivoluzionario (“anti-marxista”, “anti-immigrazione”, “salvatore del Cristianesimo”). Nei primi giorni del gennaio 2017 a Charleston, South Caolina, è stato condannato a morte Dylan Storm Roof, un biondino che a aveva 21  anni quando entrò in una chiesa metodista, ascoltò per tre quarti d’ora la lettura della Bibbia, e poi estrasse una Glock calibro 45 con la quale uccise 9 afroamericani in preghiera. “Sento che dovevo farlo” ha detto alla giuria, senza chiedere clemenza, nè mostrando segni di rimorso. E respingendo con forza l’ipotesi di possibili turbe psichiche. Di segno mostruosamente uguale e mostruosamente opposto abbiamo il fiume di sangue dei coltelli, dei khalasnikov e delle stragi “islamiche” nel senso stravolto di una motivazione che è comunque – anche qui – identitaria.

Perché ne parlo? Perché dobbiamo anche affrontare il lato oscuro della forza…

L’azzeramento dello spazio-tempo non funziona solo nella realtà virtuale. E’ anche in chi ammazza e muore per il nuovo Jihad o la nuova Guerra Santa. Sono motivazioni che ci sarebbero sembrate – solo venti anni fa – assurdità medioevali fuori tempo massimo, tanto brutali quanto residuali. Non è così. La nostra nuova antropologia fuori dal flusso spazio-temporale raccoglie di tutto, anche molte cose cattive. E non le valuta più sotto un profilo storico-cronologico lineare che evolve dal peggio al meglio, come l’etica progressista dominante ci aveva insegnato nelle Università del secolo scorso. L’interpretazione a-storicizzata del Corano, ma anche della Bibbia (parlavamo sopra del  Creazionismo), il Talebano come il Neo-Nazista sono pratiche e forme viventi della nostra attuale fenomenologia, e non affatto ferri vecchi di un passato in dissolvenza, barbarie che l’ Uomo è destinato a superare. Ci vuole un po’ del pessimismo di Leopardi per ricordare che “le magnifiche sorti e progressive” non sono iscritte nel DNA di madre Natura. Quindi attenzione: l’esigenza di una nuova Cultura contemporanea organizzata, per sfuggire all’anarchia del Male, è una esigenza vera, massima. Come si può iniziare a modellarla? Vediamo… bisogna che sia pensante e anche pesante (Idea-Ideologia, abbiamo detto) ma occorre anche che sia dinamica, veloce, flessibile, flessuosa, giocosa. Sexy, come usa dire oggi. Perché altrimenti non se l’accatta nessuno.

Chi ha qualche idea?

Ai Cavalieri Jedi che hanno avuto la forza – e la pazienza – di seguirmi fino a qui, offro una suggestione che soltanto chi ha seguito la saga di Guerre stellari da vero fan potrà apprezzare. Se cercassimo proprio nel lato oscuro? Prendiamo, appunto, il roboante discorso di Donald Trump nella giornata del giuramento presidenziale, Washington 20 gennaio 2017. Sedici minuti di puro populismo, si è detto. Sia da parte di coloro a cui il populismo puro piace assai, sia da parte di chi ha marciato contro quel discorso e quel presidente (“Not my president”) insieme a milioni di donne in sarcastico cappellino rosa. Ma isoliamo la foto che fa la Storia: Trump biondo pulcino posa la manina destra sulla doppia Bibbia (una è quella di Abramo Lincon) che Melania in cappottino fasciante  azzurro cielo regge sui guantini pendant, alza la sinistra, e ripete solennemente la formula del giuramento patriottico.

Tre temi-simbolo: la Patria, Dio, e la prima first lady di origine straniera. Come noto Melanija Knavs (germanizzata in Knauss) è nata a in Slovenia, a Sevnica, nel 1970 ed è divenuta cittadina americana soltanto nel 2006 dopo la nascita di Barron William Trump. Ma partiamo da Dio. Valori forti. Dio, la Bibbia o il Corano possono non piacere, chi non gradisce proponga altro, anche di approccio opposto, ma il futuro ha bisogno di valori forti, sistemici, organizzati. Identificati. E sensibili. Dio non è morto. E se era morto nel Novecento è risorto nel Duemila, già lo dicevamo prima, perché nel nostro tempo a spazio-tempo zero il ritorno dei Valori a-storici, è tanto contemporaneo quanto lo è stata la loro dissoluzione negli anni passati. Il relativismo non è più modernità, è modernariato. L’epocale battuta di Woody Allen “Dio è morto, Marx è morto e nemmeno io mi sento troppo bene…” è di un’altra epoca. Non che si debba diventare tutti monaci e monache, o fondamentalisti, o creazionisti. Spero proprio di no. Ma tutti  dovremmo capire che la necessaria costruzione di nuovi orientamenti in un mondo disperso, di nuova Cultura, di nuovo Ideale, ha bisogno di propulsione, di energia, di fondamento. Certo si può sentirsi più che contemporanei definendosi laici, agnostici, atei, anticlericali, antiproibizionsti, transgender, neonazisti, neomarxisti, neocapitalisti o tutti gli ismi che volete voi. Ma con metodo. E convinzione. Il pensiero debole, indefinibile, l’ecclettismo, l’agnosticismo quelli sì iniziano a sembrare ferri vecchi. Come Roberto D’Agostino che iniziò per gioco, per Arbore, a  interpretare il personaggio dell’ Edonista reaganiano negli anni ’80 del secolo scorso. Come tanti in Italia non ha più smesso. Ora però, tolto dal teatrino romano o dalla diretta con La Zanzara su Radio24, sembra più naÏf dei nanetti da giardino. Basta Trash, gossip, basta Cafonal. Valori forti. Quali? Donald Trump, che è tutto trash, gossip e cafonal, risponde: la Patria. Piaccia o non piaccia chi la porge, la risposta è seria, attualissima negli Stati Uniti come nell’ Europa Unita minacciata dai coloro che si autodefiniscono con un nikname che, però, nessun presidente USA, nemmeno Trump, utilizzerebbe mai: “Sovranisti”. Qui sta la differenza, forte, e a mio avviso del tutto positiva della concezione statunitense di Patria che, ricordiamocelo, è precedente e fondativa (Bill of Rights compreso) dell’idea europea di statualità così come, successivamente alla Rivoluzione americana, scaturirà dalla Rivoluzione  che ai sovrani tagliò la testa. Cosa sono gli Stati Uniti? Innanzitutto un plurale: Stati federati, diverse statualità unite ma non per conquista territoriale: liberamente confederate per scelta ideale. E già qui  il tema Patria, terra dei padri, father-land, il tema del territorio e delle radici… inizia a muoversi, a flessibilizzarsi, a liquefarsi in un oceano più grande. Anche la Patria di Donald Trump, quella patria che ha osannato con parole di fuoco nel suo primo discorso da presidente, quella patria a cui come primissimo atto da presidente ha voluto dedicare una giornata nazionale di omaggio e di festa… è, di necessità, una patria dai molti confini, dalle molte facce, dalle molte identità, e differenze. Questo assolutamente non significa che il patriottismo alla Trump sia solo propaganda, tutt’altro: è nel cuore di decine e decine di milioni di Americani. Donald lo sa e colpisce quei cuori con frecce come queste:
(…) “ un bambino nato nella metropoli di Detroit, un altro nelle pianure spazzate dal vento del Nebraska, guardano allo stesso cielo di notte, riempiono il loro cuore con gli stessi sogni, e sono infusi con l’alito della vita dallo stesso onnipotente Creatore. Quindi, americani tutti, in ogni città vicina e lontana, piccola e grande, da una montagna all’altra, e da mare a mare, sentite queste parole: voi non sarete mai più ignorati.”
Retorica, paternalismo, populismo, luogocomunismo. Ok. Solo questo? I Cavalieri Jedi, consci che l’Impero può essere sconfitto solo attraversando il lato oscuro e confrontandosi con esso, non possono fermarsi a questo tipo di giudizi. Dentro ai cuori del popolo di Trump noi dobbiamo leggere ancora più a fondo di come sa fare il Donald: più a fondo della voglia di protezione e di protezionismo, di difesa e di mura, di  vendetta e di America first… non c’è l’Amerika chiusa dentro un ranch, no. C’ è il salto  del ranch. Salto spazio-temporale, anche qui. Luogo-non luogo dove il Lato oscuro si trasforma in forza positiva. Vabbè… al netto dell’enfasi da Colossal fantascientifico sulla quale esagero per divertirmi un po’ (non assumo droghe e bevo moderatamente), andiamo al dunque: dentro il Giuramento e dentro il discorso da Presidente di Donald Trump ci sono comunque, inevitabilmente, e per grazia ricevuta… i Valori della Costituzione americana del 1787. Quella che inizia con il celebre “We the people” e  intende garantire il diritto all’uguaglianza, alla libertà e alla ricerca della felicità. E’ su quei valori che il Presidente giura. E quelli sono buona cosa, buona forza. Illuminata da quella luce l’America davvero, e ancora, la vorremmo Great again. E inseguendo quel luccichio, magari gli Stati Uniti potressero essere l’esempio tracciante,(“We will shine for everyono to follow” ha proclamato Trump a Washington) che ancora si merita un pezzo di futuro. Perché a brillare non sono i valori della Trump Tower, sono invece, appunto, i valori di libera unità nella diversità che fondarono la rivoluzione americana nel XVIII secolo. Quella Patria ideale, spirituale, senza confini fisici, ma identitaria e radicata nel suo alto concetto di Democrazia (We, the people…) deve stare nella testa e nel cuore di coloro che sperano e vogliono un mondo non Global, ma G-Local, secondo la modernissima definizione partorita dal genio italiano di Piero Bassetti. Si rilegga il Manifesto dei Glocalisti presentato dalla Fondazione Globus et Locus nel gennaio del 2008 a Milano e si esplorerà un sentiero che descrive ciò che abbiamo intorno e che può portarci lontano. In un cammino che non marcia con Trump, piuttosto contro Trump, ma che è anche dentro Trump. Altrimenti non si spiega una frase come “When you open your heart to patriotism, there is no room for prejudice”, anch’essa pronunciata a Washington il 20 gennaio, in mezzo a tanta propaganda populista. E quel sentimento alto di libertà personale e condivisione sociale che traiamo dai valori della Carta costituzionale statunitense deve servire da argine e da fronte di attacco contro i pericoli del razzismo, dell’autarchia e dell’ipernazionalismo che lo stesso Trump interpreta e promuove. Il pre-giudizio non ha spazio in una patriottismo fondato non su terra-sangue-etnia ma invece sulla libera adesione a valori di libertà e democrazia. Ma è lo stesso Donald Trump che in quello stesso discorso di investitura dice: “Whenever you are white, or black or brown we alla bleed the same red blood of patriotism”, anche se un passaggio più propriamente riferito all’esercito combattente degli Stati Uniti. Detto questo è importante che noi si sappia e si argomenti di una idea di Patria che, anche in Trump, è fondata sui valori antirazzisti e multietnici al di là di ogni ragionevole dubbio. Perché – seppur molte volte smentito dal fat-cecking con la cronaca – quello è il DNA più irrinunciabile e più futuribile degli USA. E, infatti, il neo-president più Amerikano col k, anche triplo, ha  una bella moglie che è americana soltanto dal 2006. Amor vincit omnia. Ma se dal coniugale ci spostiamo all’universale… beh, c’è un altro capo di Stato che può testimoniare, anche meglio, come apertura mentale e Valori forti non procedano in conflitto verso il futuro: nato e vissuto “alla fine del mondo” attualmente g-localmente situato a Roma, Vaticano. Seguendone l’esempio, nonostante i molti demoni che ci svolazzano intorno, possiamo salutarci con un sorriso. Sarà soltanto Buena suerte per i laici, divina provvidenza chi crede a un Dio che può raggiungerci ovunque, a spazio-tempo-zero: hic et ubique come lo smartphone.

 

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