Storia
Marilyn Monroe: la bellezza addosso
Oggi cade l’anniversario della morte di Marilyn Monroe, 5 agosto 1962. Ci piace ricordarla così.
Per quanto si racconta, la sera prima del 19/05/1962, giorno in cui cadeva il suo compleanno, John Fitzgerald Kennedy ebbe una lite furibonda con sua moglie Jacqueline.
Si diceva nell’ambiente che Marilyn Monroe fosse la vera donna che il Presidente degli Stati Uniti d’America amasse alla follia. Ebbe il coraggio Kennedy di dire a Jacqueline che Marilyn Monroe sarebbe stata invitata alla sua festa, da tenersi al Madison Square Garden.
“Ed allora sai che ti dico? Che a quella serata ci andrai da solo. Non starò a guardare l’America che la incoronerà regina…”
Era una furia Jacqueline; Kennedy , con il suo bicchiere di doppio malto in mano, se ne andò sbattendo la porta. Riusciva a simulare perfino la rabbia. In realtà era l’uomo più felice del mondo” (Alfonso Signorini Marilyn Monroe, vivere e morire d’amore Mondadori editore pagina 231).
Era l’apogeo per Marilyn Monroe, aveva toccato il diapason: tutta l’America e tutto il mondo avrebbe visto la dea della bellezza, contemplato il suo corpo flessuoso, armonico, avrebbe camminato come una ballerina, in punta di piedi, avrebbe cantato con voce dolce, suadente in onore del suo (solo suo) Presidente e, con sorriso incantevole e seducente, avrebbe fatto impazzire i quindicimila invitati.
Tutta la sua carriera cinematografica e di prima donna, nonché musa ispiratrice dei più importarti fotoreporter del mondo, era stata solo proscenio, solo introduzione, proemio: la vera scena, la poesia era in quell’apparizione davanti al mondo ed all’America. La first lady era lei, Marilyn Monroe, non Jacqueline.
Ecco perché volle avere accanto Paula Strasberg, moglie di Lee Strasberg.
Lee era il direttore dell’Actor’s Studio di New York, il più rinomato laboratorio e fucina per attori, che volessero veramente imparare a recitare. Fu assiduamente frequentato da Marilyn Monroe, che divenne intima dei coniugi Strasberg.
Era fondamentale scegliere il vestito e colpire in pochissimi minuti l’attenzione e folgorare tutti gli invitati. Occorreva pertanto un abito adescante, attraente, capace di catalizzare tutti gli occhi sulla bellezza incarnata dal corpo mitico di Marilyn Monroe.
Paula decise che Marilyn Monroe avrebbe dovuto cantare con un filo di voce, sussurrante, come se in quel momento ci fosse solo Kennedy, il suo amato John.
Avrebbe dovuto intonare Happy Birthday Mr President e scappare via: lasciare il segno, per essere nuovamente, chiamata, invocata, desiderata da tutta l’America.
Doveva uscire a sorpresa, apparire euforica, ebbra, come se avesse bevuto tanto champagne, attraversare il palcoscenico a passettini, cercare gli occhi di John, incrociare il suo bellissimo sguardo e poi cantare solo per lui. Doveva sparire ed, anche se richiamata, non doveva più entrare: era il modo per diventare immortale e consegnarsi alla Storia.
L’abito doveva dunque essere aderente, trasparente, color carne, come una seconda pelle, con decorazioni di luce che fanno vedere ancora di più. Dovevano scrutarsi le bellissime curve del corpo della dea della bellezza e il suo prorompente seno.
Sotto il vestito, raccontano le cronache, Marilyn Monroe era completamente nuda: venti strati di seta sul seno e sul basso ventre coprivano i punti critici, mentre duemilacinquecento pietre del Reno davano luminosità al suo viso.
Peter Lowford, l’annunciatore, chiamò due volte Marilyn Monroe che, volutamente, non uscì, per creare attesa. Poi ,all’improvviso, apparve sul palco dopo la magnifica performance di Maria Callas, che cantò la Carmen con accorato struggimento.
Appena intonò la sola strofa di Happy Birthday, scappò via e fu investita da un boato quasi soprannaturale: quindicimila persone applaudirono in piedi la donna più bella del mondo. Gli invitati caddero, straniti, implacabilmente nel vuoto. Marilyn Monroe incrociò gli occhi del Presidente che, invece, aveva lo sguardo basso, preso da un pudore annichilente. Tuttavia, quella sera, l’amore tra i due si dispiegò e concentrò candidamente in un dettaglio che solo lei ed il suo amato John sapevano: era il loro segreto d’amore. Si sarebbe presentata, come avvenne, sul palco con la stola di visone bianco che lui le aveva regalato l’ultima volta che ebbero un incontro d’amore a San Diego.
“Non c’entrava nulla con il vestito, ma era stata indossata solo per loro due. Se la sarebbe stretta sul cuore per far sfiorare alla sua pelle due lettere-J M- ricamate, che il suo John aveva tante volte baciato” (Ibidem- Alfonso Signorini- pag.235).
Di lì a pochi mesi, il 5 Agosto del 1962, Marilyn Monroe morì, qualcuno sostiene suicida, altra letteratura ritiene che fu assassinata proprio dalla mafia americana o dalla Cia, su incarico di Bob Kennedy, ministro della Giustizia ed altro suo amante o dell’intero clan della di lui famiglia.
Scrisse Dino Buzzati: “Come forse nessun altra persona al mondo, Marilyn Monroe incarnava la realizzazione completa e gloriosa del sogno standard della nostra epoca. Umili origini, tenace volontà di arrivare, difficili e tormentati inizi, quindi il successo, la ricchezza, la gloria, addirittura il mito. Era diventata il simbolo vivo e travolgente dell’amore, della femminilità, della grazia, della bellezza fisica. Ma… che sapevamo noi delle sue pene, dei suoi dispiaceri, dei suoi travagli? Piaceva sia agli uomini che alle donne: ai primi,per i deliziosi peccati che la sua bocca sapeva promettere e alle donne per quella meravigliosa tristezza, spontaneità, onestà fisica, che parevano escludere la menzogna e l’uragano. All’umanità aveva dato sorriso, spensieratezza e desiderio, il quale è sì sofferenza, ma anche l’unica, vera e indiscutibile gioia che ci sia consentita… nella sua vita ha dispensato gaiezza, fuoco e fantasia” (Dino Buzzati-Corriere d’informazione- Lunedì-Martedì 6-7 Agosto 1962).
Fernanda Pivano racconta che nella casa del Connecticut, nella quale viveva con Arthur Miller, prestigioso intellettuale americano e suo terzo marito, lasciava le finestre della camera da letto sempre aperte, affinchè il suo pubblico potesse vedere le pareti ed il letto rosa dove dormiva.
Marilyn Monroe era una ragazza meravigliosa, ma disperatamente infelice, insicura, fragile, come il fiore che dentro di lei si andava sfogliando . Era ingenua e delicata nel cuore: metteva vasetti d’acqua sugli alberi di casa, perché i passeri potessero bere (Fernanda Pivano- Corriere della Sera- domenica 19 aprile 1992).
Aveva vissuto un’infanzia infelice, sua nonna tentò di ucciderla, strangolandola nel letto. Sua madre era pazza; la lasciava sola o la rinchiudeva in un armadio, volendosene liberare.
“La madre la lasciava lì nell’armadio per tutta la notte, mentre lei girava con una bottiglia di whisky in mano, senza avere addosso i suoi dannati e piccoli occhi… quello che maggiormente la irritava era che quando riapriva l’anta dell’armadio il mattino seguente Norma Jeane, come si chiamava prima che diventasse Marilyn Monroe, era lì che la fissava, così come l’aveva lasciata la notte prima. Tendeva le braccia verso la mamma senza sorridere, ma neppure con un’aria di rimprovero negli occhi. Impassibile a tutto; al buio, a mostri notturni, all’assenza di un bacio o di una carezza. Niente sembrava scalfire l’indifferenza di quella bambina, diversa da tutte le altre, con capelli biondi fini, ben tenuti con la pomata, con un viso paffuto, occhi tristi, ma pieni di malinconia (Signorini- Ibidem.pag.26).
Norma Jeane fu anche violentata dal suo genitore adottivo, perché alla tenera età di dodici anni era già bellissima. Soffrì in un orfanotrofio e, per evitare di ritornarci, dovette sposarsi a soli 16 anni.
Marilyn Monroe era capace di amare e sedurre solo con un sorriso
Aveva capito, con il passar del tempo, che la sua arma di seduzione era la bellezza. La sua avvenenza la rendeva diversa da tutte le altre ragazzine: gli uomini erano ai suoi piedi, colpiti da quel seno che usciva con prepotenza dalle camicette aderenti che portava con la sua sensualità naturale e selvaggia. Anche le donne erano conquistate dal suo sorriso e dalla luminosità del suo viso, come se dalla sua faccia si sprigionassero milioni di stelle. Il suo viso levigato e color avorio s’immolava all’amore. Marilyn Monroe era capace di amare e sedurre solo con un sorriso, sprigionava Eros con uno sguardo. Faceva impazzire fotoreporter e registi con l’incedere della sua camminata ancheggiante, per le curve mozzafiato della sua fisicità parlante.
Aveva sposato Joe Di Maggio, grande giocatore di football americano, che lasciò per la sua ossessiva gelosia.
Si racconta che prima della scena della grata della metropolitana sulla Quinta strada nel film Quando la moglie è in vacanza girata con Tom Ewell, Joe Di Maggio pretese che indossasse una doppia mutandina, come in effetti Marilyn Monroe fece.
Ma di quella scena tutto il mondo è rimasto allibito dal sorriso e dalla naturalezza seducente dei movimenti di Marilyn Monroe, delle sue bellissime e tornite gambe, che risalivano ad un seno turgido e procace.
Arthur Miller di lei disse: “per sopravvivere avrebbe dovuto essere più cinica o anche più lontano dalla realtà. Invece era una poetessa all’angolo di una strada, cercando di recitare davanti ad una folla che tirava i suoi vestiti”.
Nella sua bellezza, trasparente e implacabile al mondo, mancava l’astuzia. Sbandamenti sì, fragilità infinita sì, ma astuzia no. Questo restava certo. Non c’era astuzia in Marilyn Monroe; non c’era l’ombra di un calcolo, tra tutta quella luce e dentro quel profumo. Soltanto un briciolo di vanità, per superare le cadute e per tornare innocente ad ogni nuovo scacco della vita.
La sua fragilità e solitudine di un’anima votata all’amore è stata paragonata al volo di un colibrì, l’uccello più piccolo al mondo, solo due grammi di peso e 348 varietà di forme disseminate tra i climi caldi e tropicali del pianeta. Ma quanti colori, bellezza e tante altre qualità, in quei due grammi di peso: un battito d’ali così veloce da diventare invisibile; leggerezza, velocità e precisione inaudita, durante il volo; e possibilità di sospenderlo, il volo, rimanendo così, immobili.Quanta energia, quanto dispendio, segreto di forze per rimanere immobili, continuando a volare. E donare bellezza al mondo, impallinando senza sosta la moltitudine dei suoi fiori. Si, il battito d’ali del colibrì era un segreto talmente leggero e vitale che nessun sguardo umano era in grado di coglierne la poesia. E poi c’era quella differenza, quel tratto che lo rendeva unico, irripetibile ed insondabile, tra tutte le specie volanti. Una qualità che lo faceva diventare del tutto misterioso, il colibrì poteva volare all’indietro. Si all’indietro. Esattamente all’indietro. Con la stessa velocità e precisione. Un fatto inspiegabile, un vero e proprio miracolo, tra le cose della natura (Giovanna Grignaffini Come il volo di un colibrì Bompiani 2016 pagina 119-120).
Douglas Kirkland , il 17 novembre del 1961, incontrò Marilyn Monroe per fotografarla tra le lenzuola, maliziosa ed infantile in occasione dei 25 anni della rivista Look.
“Con il corpo morbido che accendeva il mio slancio di maschio e la mia creatività di fotografo mi disse ad un certo punto: perchè non vieni qui? Non facemmo all’amore. Mi raccontò di essere una ragazzina che adorava al cinema sedersi tutta sola nelle ultime file e che aveva voluto diventare attrice, per regalarsi i sogni rubati alla sua adolescenza. Era altamente seduttiva nella fragilità delle insicurezze, svelate con il pudore che conservava sempre dietro la sensualità chiassosa del corpo. Aveva un mente labile e la sua felicità aveva un sorriso stanco e gentile, perché forse aveva capito che non avrebbe cambiato la sua vita. Ti sbatteva in faccia quel viso dorato, ma ti ricordava che aveva già tentato il suicidio. La vita le sfuggiva.” (Giovanna Grassi Corriere della sera Lunedi 8.04.2002 Così Marilyn Monroe mi ha stregato in una notte).
Era sola ed amaramente affermava: “sono la donna più amata e voluta al mondo e non so con chi uscire il sabato sera”.
Dormiva nuda in compagnia del suo profumo, una goccia di Chanel 5.
Un giorno sulla spiaggia di Long Island nel 1949 Andrè de Dienes, mentre la stava fotografando, Marylin gli disse: “nella prossima vita voglio essere una farfalla”. La polvere dorata della farfalla ha commentato Antonio Tabucchi.(Marilyn Monroe Fragments, poesie, appunti, lettere-Prefazione di Antonio Tabucchi Feltrinelli editore).
Lee Strasberg, suo maestro di recitazione, nell’elogio funebre di un’esequie, cui parteciparono appena 23 persone, disse di lei: ”Nei nostri ricordi lei resta viva, non una mera ombra sullo schermo o una celebrità ammaliante…Spero che la sua morte susciterà compassione e comprensione per l’artista e la donna sensibile che ha regalato gioia e piacere al mondo. Non posso dire addio. A Marilyn gli addii non piacevano, dirò au revoir”.
Pasolini che l’adorava scrisse una poesia struggente: “Quella bellezza l’avevi addosso, umilmente e la tua anima di figlia di piccola gente, non ha mai saputo di averla, perché altrimenti non sarebbe stata bellezza. Il mondo te l’ha insegnata. Così la tua bellezza divenne sua” (Pier Paolo Pasolini la Rabbia 1963).
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