Storia

Malinconia barocca. Tra ragione e pazzia, riflessione e tormento

20 Maggio 2023

La malinconia è tornata ad essere un sentimento diffuso di questo nostro tempo: paure, conflitti interni, individuali oltre che politici e sociali, guerre, pandemie, generano uno stato malinconico.

Forse anche per questo si è aperto un ciclo di riflessione in cui pensare passato, o andar a trovare suggerimenti di contenuto nel passato, non si traduce più esclusivamente nella ricerca di tempi di felicità o di rinascita, ma soprattutto si concentra l’attenzione sul tempo del ripiego. Ovvero nel tempo in cui a prevalere è la malinconia, la riflessione sul proprio dolore.

È forse qui uno dei nuclei generativi che hanno mosso Aurelio Musi a scegliere il barocco come tempo storico, come condizione esistenziale intorno a cui scavare.

Se per rappresentare la malinconia, Albrecht Dürer incide, nel 1514, una figura china, la cui concentrazione assorta contrasta singolarmente con il proliferare di oggetti concreti che la attorniano, Aurelio Musi, pur non dimentico di questa immagine che anzi evoca varie volte [per esempio a p. 96] in questa sua monografia sulla malinconia barocca, sceglie di lavorare su questa condizione muovendo da un presupposto diverso proprio perché il suo obiettivo è proporre una lettura problematica, comunque non di scuola, sul tempo del barocco.

Il barocco, solitamente visto o come secolo fastoso, come secolo «smarrito» rispetto a due tempi con forte personalità storica come il Rinascimento e Illuminismo o come radice da cui il Romanticismo ha preso i suoi assunti fondamentali è proposto da Musi, riprendendo un testo classico del primo Seicento ovvero L’anatomia della malinconia  di Robert Burton – di studiarla come risorsa, come replica e non solo non prevalentemente come sottrazione.

Malinconia, chiarisce Musi, muovendo anche dalle pagine di Burton che con quel testo costruisce forse la più grande «enciclopedia» dedicata alla «malattia dell’anima», non è da identificarsi tout court con la tristezza o con ciò che oggi chiamiamo «depressione».

“Alla base della malinconia barocca – scrive Musi – c’è l’asimmetria fra tempo del mondo e tempo vissuto dell’io, tra il vuoto del tempo e l’attesa dell’occasione per il riscatto”.

Un profilo che con efficacia descrive la condizione che Cervantes trasferisce in Don Chisciotte. Ma anche sta nel tempo che consegna la preoccupazione dei moralisti – primo tra tutti Michel De Montaigne al tema e all’imperativo di non perdere la lucidità e la possibilità della critica a un sistema di cui avvertono la pervasività.

Un tempo in cui lo spazio di autonomia e di libertà delle persone singole e dei gruppi si restringe. Un tempo dove dunque l’imperativo è trovare le forme, i modi, la lingua, non solo il vocabolario, ma la capacità di esprimersi per coabitare con un potere che rende gli spazi di azione sempre più ristretti e dove dunque cruciale diviene dotarsi di un codice di comportamento che consenta di «salvarsi». È la parabola – ricorda Musi – che ci consegna Giambattista Marino con il suo Adone, a differenza delle lacerazioni che meno di due decenni prima vive Torquato Tasso e che lo conducono a non dare più spazio alla sua creatività artistica e letteraria.

La libertà, come chiarisce Spinoza, ma qui siamo nella seconda metà del secolo, in un tempo in cui il diritto alla rivolta si è affermato a partire dall’Inghilterra, che la possibilità della libertà si presenta come sottrazione a un potere tirannico.

È il tema della libertà dell’uomo (non del cittadino, termine che nel’600 non c’è) che invoca Spinoza nelle pagine conclusive del suo Trattato teologico-politico.

Per questo chiarisce Musi che “il modo migliore e più efficace di conoscere e comprendere le forme più diverse della depressività barocca [è] quello di raccontare storie di donne e uomini che hanno eletto la malinconia come unica divinità al cui altare sacrificare ogni cosa: Spinoza, Cartesio, La Rochefoucauld, Elisabetta di Boemia, Artemisia Gentileschi, con un accento specifico su quelle donne del Barocco che si sono fatte monache controvoglia o di proposito per sfuggire alla malinconia, col solo risultato di sprofondarvi ancora di più.

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