Storia

L’unione monetaria italiana

23 Luglio 2015

Con l’unificazione nel 1861 l’Italia diventa un’unione monetaria completa: esiste una sola moneta (sebbene formalmente con più banche di emissione) ed una sola autorità di politica fiscale. L’Italia del 1861 è un paese ritardatario nello sviluppo economico rispetto ad altri stati europei, ed al suo interno covano i germi di uno sviluppo economico diseguale.

Le differenze territoriali non sono fortemente marcate: il nord-ovest è un’area relativamente più industrializzata, ma anche parti del Veneto, della Toscana, del Lazio, della Campania e delle due isole maggiori presentano discreti livelli di industrializzazione rispetto al resto del paese. Nel tempo (1911) l’industria si concentra nel Nord-Ovest, in una piccola parte del Nord-Est e nel nord della Toscana. Scelte di politica economica sono certamente importanti in questa dinamica (ad esempio il protezionismo del 1887 danneggia l’agricoltura meridionale), ma c’è una fortissima componente tecnologica alla base di questo movimento. Le due industrie principali del periodo (tessile e siderurgia) hanno bisogno di energia, ed un paese senza carbone decide di usare quello che ha: l’acqua. Ma i fiumi con una portata costante sono localizzati nel nord e questo favorisce la nascita dell’industria tessile in quell’area. L’industria siderurgica ha un maggior bisogno di energia, e questa viene ottenuta dagli impianti idroelettrici nelle Alpi e portata nella Pianura Padana ad alimentare le produzioni del “triangolo industriale”.

Dal 1891 al 1951 il divario tra Nord e Sud aumenta sempre: in termini di PIL pro-capite il Sud arretra ogni anno dello 0,40%. L’indice di Theil, che misura la disuguaglianza, raggiunge il suo massimo nel 1951, quando il Pil pro-capite del Sud è il 53% di quello del Nord. Con il miracolo economico si assiste ad un riavvicinamento delle due aree, in un periodo legato comunque ad una forte emigrazione verso il Nord. Negli anni ’80 il PIL meridionale si stabilizza sul 60% di quello settentrionale e dagli anni ’90 in poi ricomincia una fase di divergenza che si è rafforzata negli anni della Grande Crisi.

Il ruolo economico dello stato nel primo cinquantennio dall’unificazione è limitato: spesa pubblica per l’amministrazione, investimenti infrastrutturali (in particolare le ferrovie) e molta spesa militare. In media la spesa pubblica copre circa il 15% del prodotto dell’epoca, con una tendenza all’aumento.  Dopo la Seconda Guerra Mondiale e fino all’inizio degli anni ’70 la spesa pubblica è stabilmente sopra il 20% del PIL per poi aumentare rapidamente intorno (e oltre) al 50%. Dal 1950 al 1993 si dipana la storia dell’intervento straordinario nel Mezzogiorno caratterizzato da interventi decisi dal governo centrale e poi sostituito con una politica di sviluppo locale che avrebbe dovuto emergere dai bisogni e dalle iniziative dei territori.

Quello che ha tenuto economicamente insieme il queste due aree divergenti è stata la politica fiscale nazionale che ha trasferito risorse significative da Nord a Sud. Solo una politica fiscale federale potrà stabilmente tenere insieme la Germania e la Grecia e permettere di affrontare gli shock in maniera efficace. Tuttavia, questo non garantisce che messe sotto lo stesso governo federale, la Grecia converga al livello di reddito della Germania. Differenze di produttività possono continuare ad esistere, ed anche all’interno della Germania l’Est si avvicina molto lentamente all’Ovest. Non di meno, l’unione monetaria italiana ha visto una forte migrazione dall’area svantaggiata al Nord ed all’estero, esattamente come previsto per un’unione monetaria incompleta come l’Euro, e come molti cittadini della periferia dell’eurozona hanno provato negli ultimi anni.

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