Storia
L’Odissea dei sopravvissuti ai lager nazisti
Furono circa 8.500 gli ebrei che a partire dal settembre 1943 e fino all’aprile del 1945 vennero rastrellati in Italia e deportati dai nazisti nei lager, tristemente famosi a cominciare da Auschwitz. Di essi solo il 10%, precisamente 837, sopravvisse all’orrore della Shoà e, in parte, fece ritorno in patria.
Tra gennaio e maggio del 1945, infatti, vengono liberati ad est dalle truppe sovietiche ed a ovest dalle truppe anglo-americane e l’apertura dei cancelli porta alla luce il quadro di crudeltà e di abiezione di cui è, purtroppo, capace l’uomo.
Gli scampati, sono stremati dalla fame, divorati dalle malattie contratte anche per mancanza di un minimo di igiene.
Il rientro, però, si appalesa subito difficile per le condizioni fisiche e psicologiche precarie e non pochi manifestano apertamente preoccupazione a ritornare in quella patria dalla quale sono stati strappati spesso in forza di delazioni di “vicini della porta accanto”.
Altro timore che attraversa le menti di molti di loro e di non trovare più gli affetti di un tempo, amici e parenti probabilmente caduti nella trappola dello sterminio.
C’è anche chi si vede perfino costretto a collaborare con i liberatori impegnati nell’assalto finale alla fortezza nazista. Qualcuno viene infatti impiegato a scavare trincee o in servizi di retrovia delle truppe combattenti. E molte ebree liberate vengono impiegate, ad esempio, a pelare patate dalla mattina alla sera.
Certo, non si trattava dei lager – dove la giornata scorreva “fra bastonate, freddo, fame e lavoro” – ma appariva oltremodo ingiusto che si chiedesse ancora qualcosa a chi aveva patito le pene dell’inferno.
Concluse le operazioni militari con la sconfitta del nazifascismo, finalmente i superstiti possono prendere la strada del ritorno.
Ma al ritorno ancora un pesante onere li attendeva, quello di dovere informare le famiglie di tanti deportati che chiedevano notizie sulla sorte dei loro cari.
Così chi avrebbe avuto bisogno di un supporto psicologico era costretto a rivivere quei terribili momenti ed a subire un vero e proprio assalto da parte di tanta gente affamata di notizie e spesso ostile che lasciava, se non esplicitamente, trasparire dagli sguardi una domanda alla quale era nessuno avrebbe potuto rispondere e cioè :” perché tu ti sei salvato e mio padre, mio marito, mio figlio, No!.”
Infine quegli stessi sopravvissuti patiscono troppo spesso un’ulteriore gravissima offesa che si chiama giustizia negata.
Gran parte dei processi ai collaboratori anche quelli che hanno approfittato della situazione per sottrarre e appropriarsi dei loro beni, affidati a magistrati che si erano abbondantemente compromessi col passato regime e che nessuno aveva avuto il coraggio di epurare, si dilungano oltre misura e in molti casi non portano ad alcun risultato, non è un caso infatti che sono le stesse vittime, rese impotenti dal sistema, si rassegnano a rinunciare alla via giudiziaria e si sottomettono alla sconfitta accettando di perdere quanto era stato loro illecitamente sottratto sommando al così al danno la beffa.
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