Storia

L’Italia del decennio nero (1969-1980) e la difficoltà di raccontarla

12 Novembre 2023

Come funzionano i servizi segreti? Quanta autonomia ha la magistratura per tentare di individuare se non «il vero», almeno «il certo» su questioni che sembrano avvolte nell’indicibile o nel non raccontabile?

I conflitti tra magistratura, servizi e governo negli anni della strategia della tensione (1969-1980) – il «decennio nero» – sono al centro di Segreti e lacune. Le stragi tra servizi segreti, magistratura e governo di Benedetta Tobagi.

Una a data prima di tutto: 1977, l’anno della riforma dei servizi che nominalmente dovrebbe risolvere tutte le incongruenze e le liceità dei servizi, che tuttavia non risolve anzi, per certi aspetti, le incrementa.

Al centro del libro le storie di cui spesso sappiamo molto, anche se spesso quel molto è il risultato delle cose che non si sono dette, della resistenza che i poteri esercitano per non farle emergere.

Dunque, un sapere che è il risultato non di una narrazione aperta, esplicita, dichiarata, raggiunta in conseguenza di cooperazione tra agenzie diverse, e di una informazione amplia ma di un non detto, di un insieme di supposizioni, in cui il territorio dell’«incerto» è molto vasto. Spesso molto più vasto di quanto una democrazia, che si vuole presentare come tale, possa sopportare.

In ogni caso cose che si sanno in seguito a «controinchieste», allo sforzo di voler sapere di giornalisti, intellettuali, comitati di cittadini vittime di stragi che non abbandonano, alla fine di commissioni parlamentari che con molte resistenze hanno infranto alcuni muri, o semplicemente obbligato a tirare fuori documenti occultati.

Di come siamo venuti in contatto – più propriamente che «in possesso» – di questo sapere che ci riguarda, Benedetta Tobagi ci fornisce molte storie attraverso una paziente ricostruzione che si muove appunto dentro il «decennio nero» ma che non può limitarsi a quegli anni.

Una vicenda complessa che inizia nei suoi protagonisti in figure e storie che segnano il passaggio tra dittatura e democrazia negli anni tra 1943 e 1948, e che poi prosegue nell’Italia degli anni ’60 appena a ridosso alla stagione delle grandi stragi e dei grandi vuoti di ricostruzioni documentate, per poi allungarsi anche molto oltre l’ultimo grande attentato (la strage di Bologna del 2agosto 1980)- e arrivare per protagonisti, vicende e attori almeno fino all’inizio di questo millennio e ancora non essere risolta in questo stesso momento in cui Benedetta Tobagi ha chiuso il suo libro e il suo lettore se lo trova in libreria tra le mani.

Al centro di queste storie in cui di fatto di scrive la storia materiale dell’Italia repubblicana, stanno i documenti relativi alle inchieste per strage e alle attività terroristiche connesse quegli atti. Stanno le storie complicate e complesse, contorte tra una parte della magistratura che vuole sapere e ricostruire i dati delle scene di sangue e di strage, una classe politica, meglio parti variegate e di molti partiti che nell’Italia repubblicana sono stati al governo, infine l’insieme dei moti corpi dei servizi di intelligence legati alle forze militari o i servizi di tutela di controspionaggio che giocano, nascondono, qualche vota forniscono documenti, spesso li “lavorano” prima di consegnarli a chi preposto alle indagini ne fa richiesta.

Un complesso di relazioni dove molti violano il consentito sospeso tra sfera di segretezza (ovvero ciò che in un tempo non si può dire ma che in seguito può anche diventare pubblico) e indicibilità che riguarda cose che, scrive Tobagi, “nelle intenzioni di chi detiene il potere non debbono essere sapute mai” che significa, precisa Tobagi, “decisioni, fatti oppure comportamenti di cui idealmente non deve restare traccia” [p. 17].

Di molte storie Tobagi ricostruisce i momenti essenziali -le vicende intorno alla P2 di Licio Gelli, le connessioni con la politica, i rapporti tra eversione fascista e settori militari dei servizi, l’uso dei documenti da parte dei governi in carica (non uno escluso tra anni ’60 e anni ’90).

Se non fosse che per questo, per farci toccare con mano come sia stato difficile, tortuoso, complicato, spesso pericoloso far emergere quanto più verità possibile intorno alle storie di strage avvenute in Italia tra anni’60 e anni ’80, il libro di Benedetta Tobagi sarebbe già un ottimo motivo per credere nella possibilità di riflessione che può avere la scrittura di storia.

Ma Segreti e lacune è molto di più.

C’è un paragrafo del libro, in tutto quindici pagine che consiglio di tenere da parte e di tornare a rileggere ogni tanto. Non riguardano i fatti avvenuti. Riguardano come si può costruire una coscienza civile del cittadino, anche quello totalmente a digiuno, di storiografia, di pratiche di archivio.

Nei confronti dei documenti di archivio è consuetudine non solo avere un atteggiamento di rispetto, ma anche di vera e propria venerazione. La convinzione è che in quelle carte da sole sia depositato il vero.

Scrive Tobagi, riprendendo in mano una lezione fondamentale di Claudio Pavone che gli archivi non raccontano il vero, ma al massimo dicono il certo. Ma soprattutto le domanda che ci dobbiamo fare non si limitano solo a leggere cosa ci sia scritto, ma siano: quando quelle carte ci arrivano in mano e diventano pubbliche? Come ci arrivano in mano? Il luogo o l’archivio in cui sono state conservate o sono state trovate è quello dove naturalmente dovevano trovarsi?

Tobabi in quelle quindici pagine [per la precisione pp. 225-240] ci ricorda che spesso i documenti su cui è stato possibile  scrivere le storie di questo suo libro, appartenevano a documenti orali, ma non a testi conservati; talora erano gestiti aldi fuori dei circuiti ufficiali; talvolta erano in altro luogo o erano stati distratti da dove avrebbero dovuto trovarsi; altre volte erano il risultato di sottrazione dalla serie dove avrebbero dovuto trovarsi; oppure  la confusione che una o più azioni di questo tipo hanno generato essendo stati collocati dove poi sono stati trovati o nascosti (qualcuno si ricorda il famoso armadio della vergogna?).

Bene quelle quindici pagine ci ricordano le azioni principali che hanno contrassegnato l’uso tra illecito e illegale dei documenti, il potere ricattatorio che hanno assunto a seconda di chi li gestiva, la funzione di scambio politico, di scambio di favori che hanno giocato.

Questo perché gli archivi e i documenti sono stati spesso assunti come «arsenali di potere» scrive Tobagi e non come strumento di democrazia.

È importante saperlo. Ma è anche importante essere consapevoli che non ci sarà mai un giorno per sempre. Che quella attenzione della democrazia, non un albero dal tronco potente, ma un ramo fragile che va curato con attenzione, ci riguarda tutti i giorni. Ogni giorno e ognuno di noi.

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