Storia

L’Italia antifascista e la legge Scelba

12 Marzo 2023

Era il 20 giugno 1952, e un comitato interministeriale incaricato da Alcide De Gasperi e guidato da Mario Scelba – non dimentichiamo che Scelba, sturziano di ferro, nel corso del ventennio non si era lasciato sedurre dalle lusinghe del regime ed era rimasto orgogliosamente antifascista –  dava, dopo molte perplessità, il proprio assenso alla legge n. 645 che, in attuazione della XII disposizione finale della Costituzione, vietava non solo la ricostituzione del partito fascista, ma anche l’apologia del fascismo e cioè la difesa, a parole o per iscritto, del passato regime.

Fu questa previsione, in particolare, che sarebbe stata frequentemente invocata negli anni successivi nei confronti di molti esponenti del Movimento Sociale Italiano, partito fondato nel ’47 da epigoni del regime fascista, e dei movimenti di estrema destra, come Ordine Nuovo o Forza Nuova, quest’ultimo protagonista del recente assalto alla sede della CGIL.

La legge Scelba, oltre che per la questione politica per la quale sarebbe stata liberticida, avrebbe in più occasioni ricevuto critiche soprattutto sul piano giuridico-costituzionale per un presunto conflitto con le norme poste a salvaguardia e tutela della libertà di espressione.

Un contrasto che si poteva sintetizzare nella domanda: cosa prevaleva tra la legge Scelba e l’articolo 21 della Costituzione posto a tutela della libertà di espressione?

Così, qualche anno dopo la sua approvazione, precisamente il 16 gennaio 1957, la Corte Costituzionale, presieduta da Enrico de Nicola, investita in merito, dichiarò però la legittimità del reato disegnato dalla legge Scelba rispetto alle previsioni costituzionali.

Per integrare infatti il reato di “apologia di fascismo” la legge Scelba prevedeva che non fosse la “difesa elogiativa” del regime, che avrebbe finito col cadere nell’ipotesi prevista dall’articolo 21 della Carta, ma che tale elogio si configurasse come “una esaltazione tale da poter condurre alla riorganizzazione del partito fascista”.

Quella sentenza non placò tuttavia la polemica tanto che ci volle un’ulteriore pronuncia della Corte Costituzionale, presieduta da Gaetano Azzariti, quella del 25 novembre ’58 che considerò costituzionalmente legittima la legge 645 individuando come reato solo il caso in cui fosse strettamente connesso o strumentale alla “restaurazione” del regime fascista.

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