Storia
Ottant’anni di leggi razziali: non un anniversario, ma un avvertimento
Forse conviene riflettere sugli 80 anni che ci separano dal varo della legislazione antisemita in Italia non come un anniversario, bensì come un’occorrenza nella storia cultura e politica italiana.
Quando il 17 novembre 1938 è varato il Regio Decreto Legge n.1728, Provvedimenti per la difesa della razza italiana (qui il testo) , si chiude un ciclo iniziato nella primavera dello stesso anno e il cui testo simbolico è rappresentato dal Manifesto degli scienziati razzisti e poi dal comunicato del PNF a proposito del Manifesto.
Storia corta ma in realtà più lunga.
I concetti essenziali di quel testo rispondono a due diversi principi. Il primo riguarda un percorso razzistico già sperimentato e, soprattutto, codificato, a partire dalla guerra italo-etiopica (ottobre 1935-maggio 1936), il secondo ricalca la struttura culturale e l’impalcatura di emozioni, convinzioni proprie del complottismo, uno schema di spiegazione della storia che a partire dalla metà dell’Ottocento ha avuto un ruolo essenziale nella costruzione dell’antisemitismo.
Nel primo caso il razzismo si genera da ed è conseguente a un principio di propria superiorità, e dunque tutta la descrizione dell’avversario, meglio del nemico, è volta a stabilire un criterio di gerarchia sociale alto VS basso. Nel secondo caso il tema centrale che definisce il razzismo nasce da una descrizione di sé come minacciati da una potenza che si ritiene superiore e che per questo va allontanata, separata dalla società, controllata al fine di impedirne l’esercizio della potenza. In questo caso la persecuzione nasce da un sentimento di presa di coscienza del proprio precedente inganno, conseguente al venir meno di una confidenza o di una fiducia mal risposta cui è importante prendere le distanze.
Alla base della descrizione di questo secondo paradigma sta il principio del riscatto, dell’auto emancipazione da una precedente e presunta schiavitù.
Ma questa differenza fino a che punto è davvero una differenza?
Per quanto distanti e, per certi aspetti, rispondenti a logiche argomentative non solo diverse ma persino opposte, questi due diversi paradigmi in realtà vivono di uno stesso principio, che oggi rischia di perdersi nella riflessione pubblica, non solo a 80 anni dall’ingresso definitivo dell’Italia fascista nella pratica razzista.
Il principio a cui rispondono è la costruzione del nemico come fisiognomica dell’antiumano e alla cui costruzione concorrono la rappresentazione iconografica, la fotografia, la definizione dell’identità del nemico come antiumano, la sua ridicolizzazione, come ricostruisce attentamente Vanessa Righettoni nel suo, Bianco su nero. Iconografia della razza e della guerra d’Etiopia (quodlibet)
È una macchina che nell’Italia degli anni’30 inizia a costruirsi in maniera sistematica intorno alla vigilia della guerra contro l’Etiopia, ma che ha già alcune premesse nella visione esotica verso i neri nell’Italia di fine Ottocento, ritorna nella propaganda che definisce la razza bianca e la razza nera all’inizio degli anni 30 e poi, soprattutto, nel 1935-36 come testimonia una analisi che analizza le immagini, le caricature che riempiono i giornali da cui emerge un panorama fitto di sollecitazioni culturali e visive, di distorsioni e contraddizioni, e che rinvia a un’Africa seducente e, al tempo stesso, ripugnante.
Una macchina che rimane sottotraccia nell’Italia del secondo dopoguerra. Ma che, tuttavia, indica un linguaggio che poi rimane nel sottofondo del senso comune proprio perché esorcizzato, negato, comunque mai profondamente analizzato e affrontato, ma sempre rimosso, accantonato. E che rispunta appena si ripresentano le condizioni di un malessere e quando l’ideologia ha il compito di surrogare le incapacità della politica. Perchéilmotore dellamobilitazione sociale deve trovare un caroespiatorioin qualche modo su cui riversare molta rabbia sociale che non trova soddisfazione nelle promesse inevase della politica.
Allora riparte la macchina che ritiene la crisi effetto del complotto, di qualcuno che trama contro la nostra felicità e a cui bisogna dare un nome e un cognome. Di solito meglio se ha un suono non nazionale.
Non fa le rime con qualcosa? A me pare di sì. Per certi aspetti questo non fa di questo anniversario, ottanta anni dopo, un anniversario, ma un avvertimento.
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