Storia
Le “nuove verità” sul caso Moro, ecco perché sono tutte bufale
In questi giorni sono apparsi due articoli che anticipano quelle che sarebbero state le rilevanti “scoperte” dell’ ennesima indagine sul sequestro del Presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro, avvenuto nel lontano 1978, grazie “alla disponibilità di tecniche e strumenti investigativi assai sofisticati che allora non esistevano”, come dichiara il Senatore PD Federico Fornaro, segretario della Commissione parlamentare di inchiesta.
Il primo, datato 27 settembre, e pubblicato sul sito “Fasaleaks” del noto giornalista Giovanni Fasanella, riporta una intervista al citato senatore Fornaro mentre il secondo, datato 30 settembre e a firma Francesco Saita è stato pubblicato dall’agenzia Adnkronos. Visto che non passa anno che non ci vengano proposte “nuove” verità che poi magari finiscono con la incriminazione per calunnia, come di recente avvenuto nel giugno del 2013 con l’ex finanziere Giovanni Ladu o nell’aprile del 2014 con l’artificiere Vitantonio Raso, la legge della prudenza si impone inesorabile. Sarebbero 3, secondo il Senatore Fornaro, le nuove acquisizioni su quanto avvenuto il mattino del 16 marzo 1978 in via Fani. La prima è una nuova ricostruzione con il laser della azione armata delle Brigate Rosse “che consente di ipotizzare la presenza sul luogo del sequestro di uno o due membri del commando mai identificati”. Di più il Senatore non dice, ma ci anticipa che si tratterebbe di “tiratori scelti, killer di professione provenienti, si aggiunge, “da ambienti mafiosi, in particolare ‘ndrangheta, e dalla Raf, l’organizzazione terroristica tedesca”. Attendiamo ovviamente di conoscere nel dettaglio gli esiti di queste nuove indagini al laser, in grado addirittura di identificare tratti calabresi e tedeschi, ma la presenza di tiratori scelti lascia un tantino dubbiosi visto che, come ampiamente ricostruito, si trattò di sparare plurime raffiche a distanza ravvicinata su cinque uomini della scorta colti alla totale sprovvista e bloccati a bordo di due autovetture incastrate secondo il medesimo schema operativo utilizzato qualche mese prima dai militanti della RAF in occasione del sequestro dell’industriale Schleyer. Che per portare a compimento una siffatta azione occorresse ai 10 componenti accertati del commando BR l’ausilio di un killer della ‘ndangheta (e di un rappresentante delle RAF in un periodo in cui ormai non se la passavano troppo bene) pare ipotesi priva di ragionevolezza, ma andiamo oltre.
La seconda consisterebbe nella circostanza che secondo un misterioso testimone il Bar Olivetti, posizionato nei pressi del punto ove il commando armato avrebbe agito, non sarebbe stato “chiuso da tempo” come ai tempi affermato da Valerio Morucci all’appello del primo processo Moro, bensì “aperto o semiaperto”, ed il fatto che “il proprietario del bar” sarebbe stata “un’altra figura ambigua” conduce, si legge, “a relazioni tra interessi interni e stranieri intrecciate per destabilizzare l’Italia per impedire l’ingresso del Pci nell’area di governo”. Ora, ipotizzare che dalla chiusura o semichiusura (SIC !) di un bar si possa ricostruire uno scenario internazionale di occulti “poteri forti” volti ad impedire il giuramento dell’annunciato governo Andreotti richiede parecchio sforzo anche ala nostra pur fervida fantasia.
La terza infine consisterebbe nella presenza di una Alfa sud bianca parcheggiata vicino al punto ove si è verificato il sequestro che dimostrerebbe che i funzionari della Questura di Roma avrebbero “ricevuto una soffiata da ambienti vicini all’area della lotta armata” (l’intervistato riprende quel famoso asserito annuncio dato in mattinata da Radio Città Futura) “ma non fecero in tempo ad impedire l’agguato”, ipotizzando persino che la pattuglia “si fosse precipitata a casa di Moro, per fermarlo, ma non avendolo trovato, si spostò subito in via Fani”. Anche qui, a prescindere dal fatto che la circostanza del pre-annuncio di Radio Città Futura non è mai stata accertata, basandosi sul ricordo verbale, magari suggestionato, di una singola ascoltatrice, se tale alfetta fosse passata prima dalla casa di Moro, circostanza che pur avrebbe dovuto emergere ai tempi del fatto, significherebbe che sarebbe giunta all’incrocio di Via Fani se non durante, appena poco dopo la sparatoria, e quindi non si comprende per quale ragione sia poi stata lì abbandonata da un equipaggio dissoltosi come se nulla fosse, visto che, secondo quanto riferisce lo stesso senatore, sarebbe stato ivi spinto solo dal dovere di ufficio di impedire un grave delitto. Quanto alla asserita “soffiata” alla Polizia, cosa di cui si dubita, non si comprende se la tesi vuole che si sia appositamente ritardato l’intervento per consentire la azione BR, ma allora non regge la interpretazione “in bonam partem” data dal Senatore, o se invece si vuol solo dire che vi sarebbe stata una grave inefficienza nelle nostrane forze di polizia. Se vale la seconda ipotesi allora anche questa terza “scoperta” non condurrebbe a nessuna significativa lettura diversa del fatto rispetto a quello compiutamente da tempo accertato.
Nel successivo articolo a firma Saita si leggono invece altre due cose. La prima è che tra i reperti sequestrati presso la casa romana di Via Giulio Cesare dove furono arrestati nel 1979 Valerio Morucci e Adriana Faranda dopo avere abbandonato le BR sarebbe stato trovato un nastro audio dove il primo sembra fare le prove della telefonata di rivendicazione dell’omicidio di Moro fatta il 9 maggio indicando in Via Caetani, il luogo dove era stato abbandonato il corpo di Moro” e la seconda che nella base BR di Via Gradoli non sarebbe emerso DNA compatibile con Aldo Moro bensì di due profili maschili ignoto A e Ignoto C e due profili femminili, Ignoto B e Ignoto D., tutto relativo a materiale “isolato, tra l’altro, su due spazzolini, su un rasoio, su alcune paia di scarpe e su una pinzetta. Si tratta, per la quasi totalità, di dna ‘da contatto’, depositato dal sudore”. Anche qui, con riferimento alla prima circostanza, apprendere oggi che prima di effettuare la telefonata al Prof. Tritto, Valerio Morucci si sia esercitato con il registratore di casa e ne abbia conservato la registrazione anche dopo essere uscito dalle Brigate Rosse non pare “scoperta” di particolare rilievo, mentre il mancato rilievo del DNA di Aldo Moro nella base di Via Gradoli consente di definitivamente sgomberare il campo da tutte quelle dietrologie che ai tempi fecero scrivere a Vladimiro Satta “Odissea del caso Moro” e “Il caso Moro e i suoi falsi misteri”. Non volendo immaginare agenti segreti intenti a lavarsi i denti o a spazzolarsi i capelli in via Gradoli, e conoscendo un minimo di storia anche processuale della vicenda, non è difficile ipotizzare che le due coppie che ai tempi possono avere lasciato quelle tracce di sudore in via Gradoli altri non siano che Faranda e Morucci prima e Balzerani e Moretti dopo, soggetti tutti già processati e condannati per tale fatto. Singolare però che nel dare queste “anticipazioni” si ometta invece di riferire quella che è stata la vera ed importante nuova “scoperta” sulla vicenda Moro, ossia che il famoso parabrezza della motocicletta dell’altrettanto famoso Teste Marini non era in realtà mai stato colpito, apparendo bello intonso nelle fotografie recentemente recuperate dallo storico Gianremo Armeni (e pubblicate nel libro “Questi fantasmi, il primo istero del caso Moro” ed. Tra le righe). Anche perché, a seguito della evidentemente falsa testimonianza resa ai tempi da Marini, e sulla quale, come noto, nacque la leggenda di una misteriosa moto che sparava in via Fani al momento del sequestro, vi furono condanne per tentato omicidio passate in giudicato.
Ecco che allora, sparita di incanto la celebre moto sulla quale per 40 anni tanto si disse, spuntano ennesimi “nuovi” attori sulla scena del delitto per difendere quei superiori interessi internazionali che non volevano che in Italia un governo monocolore democristiano ricevesse l’appoggio esterno di Enrico Berlinguer. Staremo a vedere, anche se continua a sfuggirmi il motivo per il quale dopo 34 anni dal suo arresto l’ergastolano Mario Moretti continui a tenere “bordone” a siffatto internazionale complotto, facendo l’agnello sacrificale che tutte le sere rientra silenziosamente al carcere milanese di Opera. Questo, che per me rimane il vero ed unico grande mistero che dovrebbero preventivamente risolvere i tanti che si ostinano a ricercare a tutti i costi verità “diverse”, dubito che anche questa valente commissione sarà in grado di risolverlo.
avvocato Davide Steccanella, autore del libro ‘Gli anni della lotta armata – Cronaca di una rivoluzione mancata’
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