Governo
Le memorie nel petto raccendi
Certamente ascoltando le ultime testimonianze dei sopravvissuti allo sterminio degli ebrei da parte dei nazifascisti il sangue gela. Liliana Segre, donna mitissima, ne parla con un distacco, con una pace interna che suscitano stupore. Invece di odiare lei ha scelto di ricordare perché possano essere coloro che ascoltano a interrogarsi, lei ha avuto fin troppo tempo per interrogarsi e riflettere sul comizio di Mussolini a Trieste, sull’espulsione dalla scuola, sul rastrellamento, sul viaggio in treno fino al campo di concentramento, in pieno inverno, sulla perdita del padre, sul suo soggiorno nel campo di Auschwitz (Austerlitz nella versione di Di Battista), sulla marcia estenuante durata mesi dopo il campo e sul ritorno in Italia.
Lei lo ha vissuto nel suo corpo, nella sua mente, nella sua vita. Ma racconta pacata, senza mai tradire la sua indole pacifica. È bene che riflettano gli altri su quest’esperienza raccontata da una degli ultimi sopravvissuti, che oggi ha la ragguardevole età di novantatré anni, quasi una rivincita su chi voleva ucciderla quando ne aveva tredici e che invece oggi non esiste più da un pezzo. Lei c’è.
Negare l’olocausto è una delle sciocchezze più grandi che qualificano immediatamente le persone che lo fanno, guarda caso gli psicofascisti o gli psiconazisti o l’Iran degli ayatollah, il cui odio per l’istituzione dello stato di Israele è tale da negare ciò che è successo prima e storicamente appurato. Teste di rapa.
Ecco, per esempio, qualcosa su come la Storia viene manipolata e su come Wikipedia non sia sempre la fonte più attendibile:
https://www.ilpost.it/2019/10/04/bufala-campo-sterminio-varsavia-wikipedia/
Segre ha giustamente ricordato il pericolo dell’oblio, cosa successa all’analogo sterminio degli armeni appena tre decenni prima di quello degli ebrei, di cui oggi non parla più quasi nessuno.
Senza distinzione, donne, uomini, anziani, bambini, disabili, il genocidio non guarda in faccia niente e nessuno, è un rullo compressore. E sebbene sia orribile, anche orribile a dirsi, dopo un po’ ci si abitua anche a quello, si dà come inevitabile, addirittura certi massacri sono fatti passare come effetti collaterali di una guerra.
La memoria è importante, importantissima, e sarebbe opportuno ricordare sempre che nel genocidio nazista, oltre agli ebrei, erano inclusi anche gli omosessuali, gli tzigani, i sinti, i rom, certo in misura minore degli ebrei, ma furono imprigionati, torturati e eliminati nella stessa programmatica maniera. Una catena di smontaggio, programmata analiticamente da Hitler e assecondata da Mussolini.
Non cambiano le cose se al posto delle vittime dei nazifascisti o degli ottomani si mettono i cinesi uccisi dalle truppe giapponesi nel 1937, per non parlare dei milioni di vittime di Stalin, o dei tutsi massacrati dagli hutu in Ruanda nel 1994 o i bosgnacchi di Sebrenica dalle truppe serbe nel 1995, o più recentemente israeliani e palestinesi, o di altre decine di genocidi commessi in questi ultimi secoli negli imperi coloniali.
Fanno parte della Storia dell’uomo, sebbene deprecati dalle menti più illuminate ci sono sempre state altre menti non meno brillanti che hanno programmato lo sterminio, scientificamente. È una questione morale, dopo tutto, c’è sempre alla base la presunzione di essere migliori degli altri e quindi di difendere la propria etnia perché portatrice della verità.
Le Crociate erano, di facciata, la stessa cosa. Solo Federico II di Svevia scese a patti col Turco e non sparse sangue inutile, lungimirante. Gli altri fecero stragi su stragi, forse per poter avere dei soggetti per farci in seguito dei film, come diceva la buonanima di Massimo Troisi a proposito degli americani in un’intervista di diversi anni fa.
Assistiamo continuamente a nuove Crociate, da una parte e dall’altra, nel nome dell’energia, del consumo, ossia di chi deve regnare sul consumo e quindi sulla produzione del consumo stesso, camuffate da scontri di (in)civiltà, per far credere alla maggior parte delle opinioni pubbliche locali e internazionali che sia una questione di principio teologico, ideologico o etico. E gli slogan si sprecano, siano essi scritti in inglese, in arabo, in cirillico o in farsi.
In tutto questo, nella gravità di questo momento storico, la nostra classe politica si gingilla col nulla, senza prendere iniziative, restando nelle proprie bagarre da cortile, senza un respiro internazionale, tutte cose da pollaio di famiglia, celandosi dietro barricate di false famiglie e patrie ormai prive di senso.
La famosa cultura della destra che non riesce a esprimere niente perché è fatta di niente, perché non esiste come cultura così come s’intende generalmente, e che riesce solamente a negare un antifascismo perché dovrebbe negare sé stessa e le sue radici profonde. Negare l’antifascismo significa abbracciare e giustificare quel regime e la sua ideologia che hanno determinato le leggi razziali e le deportazioni, casomai non fosse chiaro. Non è libertà di opinione, è un insulto alla nostra Repubblica, nata dal sangue di chi l’ha voluta e difesa. Essere il presidente del Senato e tenere in casa i busti di Mussolini non per collezionismo, insieme magari ai busti di Lenin, di Stalin, di Napoleone, della regina Vittoria, come in un pacchiano salotto di Nonna La Russa, ma come altare a cui inchinarsi quotidianamente, magari facendo il saluto alla romana, e gridando alalà (anche se privatamente si potrebbe fare), significa avallare quei vent’anni sciagurati della nostra Storia, avanzando la risibile scusa che LUI, a parte le leggi razziali, i genocidi in Africa, i confini di dissidenti e omosessuali, e tante altre oscenità, ha fatto anche “cose buone”.
Oppure riesce, questa destra, a disfare cose che avevano iniziato a funzionare e che avrebbero potuto funzionare meglio, sostituendo un supposto e talvolta autentico “amichettismo” con un altro analogo e peggiore, comprensivo di nepotismo, dove l’unico “merito”, termine così caro al governo, non è avere un’autentica statura intellettuale o morale ma far parte di un cerchio magico familiare o di partito. Anche se poi gli amichetti sfuggono a ogni controllo (o forse no), metastasi impazzite, come nei casi di Delmastro, Pozzolo, Donzelli, Sgarbi, Santanchè, eccetera.
Ma io sono pietra, e su questa pietra edificherò la mia discesa. A picco. Ostinata più che mai, impossibilitata da sé stessa, in quanto dogmatica, ad avere un punto di vista più acuto.
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