Storia
La vita appesa a un filo, il racconto di Panagulis e Fallaci
Ricordare per non dimenticare. Ricostruire le storie come si fa con i puzzle, ricomponendo una immagine che inevitabilmente rimanda ad altre, dietro cui ci sono dieci o cento emozioni: indispensabile farle rivivere con cura perché la memoria è pratica fragile ma necessaria. Facendola lievitare può produrre buona vita. Tanto più utile quando una società come l’attuale va progressivamente di fretta e, pure di fretta dimentica. Così, spesso, vengono obliterate esistenze, cancellati sogni e idee in un batter di ciglia finché nessuno, se non qualche superstite, in un lasso di tempo non molto grande potrà ancora ricordare: a patto che non venga sommerso dal cicaleccio. Che, sinistramente simile a un rumore di fondo tutto copre fino a rendere sordi: incapaci di ascoltare e persino ciechi, come se si avesse una benda attorno agli occhi. E’ già successo e continua ad accadere per vicende non lontanissime come la Resistenza al nazifascismo o la Shoah, lo è anche per altri eventi più recenti, solo apparentemente meno importanti, ma invece nodali, se non strategici, in grado di ridare, una volta ri-svelati, le tessere mancanti di una battaglia per i diritti, la democrazia e la libertà: tutte cose mai fuori moda, non scadono mai. Tutt’altro, soprattutto di questi tempi in cui l’ignoranza è spesso qualcosa di magmatico che subdolamente conquista i più deboli. Quelli che non sanno. Persone senza ricordi che non hanno idea da dove vengono e vanno. Ecco perché il teatro, soprattutto il teatro, ha bisogno di nutrirsi di storie e rilanciarle. Essere specchio e coscienza critica del nostro presente. Così come accade superbamente nell’atto unico, potente e senza compromessi de “Nella lingua e nella spada” ultimo lavoro dell’attrice e regista Elena Bucci, una delle più pregiate protagoniste della nostra scena contemporanea che nei giorni scorsi ha presentato questo allestimento tra i velluti del teatro Alighieri di Ravenna (co-prodotto da Ravenna festival e Napoli Teatro Festival, è approdato nei giorni scorsi al Kilowatt festival tuttora in corso nell’antico borgo toscano, al confine con l’Umbria Sansepolcro).
Un progetto ben equilibrato di suoni e parole, musica e teatro che tiene incatenati per quanto viene narrato e per l’allure spettacolare che vede in fecondo rapporto la presenza sempre importante e baricentrica della Bucci assieme a due musicisti di valore come il percussionista Michele Rabbia e il clarinettista Paolo Ravaglia. Musiche scritte da un compositore di razza e splendida sensibilità per la scena, quale è Luigi Ceccarelli. Al centro la vicenda di un antifascista greco, un poeta eroe della resistenza in quel Paese, Alexos Panagulis che nel 1968 venne incarcerato per il tentato attentato al dittatore Papadopoulos. Torturato e condannato a morte passò diversi anni in prigione sinché nel 1973 fu liberato per amnistia e anche grazie a un movimento di opinione fortissimo che mobilitò democratici di tutta Europa. La celebre giornalista fiorentina Oriana Fallaci andò ad intervistarlo e tra loro nacque un rapporto di complicità e affetto. Prima di amicizia, con la Fallacci che si prodigò per alleviare le sofferenze di Panagulis e poi, dopo la liberazione, d’amore. Una storia importante di quelle uniche fatte di discussioni, scambi vivaci di idee, racconto di ideali e libertà. Fu breve e intenso idillio. Nel 1976 Panagulis perse la vita in un misterioso incidente automobilistico. Da qualche tempo aveva iniziato a pubblicare i nomi di chi era stato complice e connivente della giunta dei colonnelli e si era riciclato nella nascente democrazia. Sulla sua tomba è scritto: “Felice di essere libero, libero di esser felice” .“Nella lingua e nella spada” racconta questa storia fatta di dolore e solitudine, ma anche di passione e gioia tra due persone speciali che affidavano anche alla penna il loro rapporto quotidiano, spesso a distanza. Da una parte la giornalista inviata nei luoghi caldi del globo, laddove c’erano insurrezioni e conflitti e dall’altra il poeta e intellettuale in prima linea sul fronte politico. Panagulis una volta scrisse: “La politica è un dovere, la poesia è un bisogno. E’ un urlo che non si può soffocare, l’ansia di un istante che non si può dimenticare. Allora cerchi carta e matita per fermarlo”.
Così Alexos aveva appreso negli anni della prigionia e così continuò anche dopo, innervando in questo modo la relazione con Oriana. Scrivere era uno dei migliori viatici alla solitudine e alla sofferenza. Un rapporto unico questo per la Fallaci, forse il più importante della sua vita. Farà rivivere Panagulis, qualche anno più tardi, in quello che è considerato il suo capolavoro, “Un uomo”. Questo è il filo essenziale del racconto che ha già di per sé, anche solo a livello di enunciato tutte le caratteristiche di una storia carismatica. Eppure Elena Bucci non solo sceglie di non usare le parole della Fallaci ma imposta il suo racconto di vita e di morte come un incontro e scontro tra vita e poesia, tra teatro e memoria. Qui non c’è enfasi né voglia di demagogia, ma solo scavare a fondo sui bisogni più profondi di un uomo e di una donna. In “Nella lingua e nella spada” Bucci dipana un recitar cantando che evoca la forza di un “cunto” popolare fatto di persone che scelgono nella quotidianità di schierarsi. Nel caso di Panagulis, dalla parte della giustizia, della buona politica e dei diritti, per Oriana, quella dell’amore e della poesia, del diritto a vivere sempre e comunque anche contro tutti la propria passione. L’atto unico si nutre di decisi chiaroscuri che delimitano lo spazio in modo netto. La musica accompagna, interpreta e fa da contrappunto alla voce ricca di pathos dell’attrice, mai sopra le righe spesso colta in un atteggiamento che è compassionevole, dove convivono assieme rabbia e dolore. Ma anche la sensazione che questi sono i racconti che possono nutrire le coscienze di una polis che si risveglia ed è in cerca di ridefinire se stessa.
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