Russia

La verità ha dei limiti, l’invenzione no. I grandi processi di Mosca del 1936

25 Agosto 2016

 

L’utopia e il terrore di Karl Schlögel è un libro che racconta l’Urss del 1937 e lo fa scegliendo molti vettori interessanti (la letteratura, per tutti le pagine de Il maestro e margherita di Michail Bulgakov; l’allestimento del padiglione sovietico alla mostra internazionale di Parigi; la Piazza Rossa; l’arte déco; il cinema; la musica; le periferie. Ovviamente anche la casta al potere, i grandi processi. Soprattutto Karl Schlögel sceglie alcuni elementi a cui gli storici raramente prestano attenzione. Uno di questi è l’edizione dello stradario di Mosca del 1936.

Tutta Mosca è un documento di grande interesse cui nessun storico ha mai dato valore. Schlögel dimostra come anche dai documenti apparentemente più innocenti, si può, se si ha la costanza di scavare e si sa porre le domande “giuste”, ricavare molto.  In quella guida, apparentemente priva di valore, sono indicati i luoghi del potere, i dati sul personale dirigente, le strutture , gli apparati, le organizzazioni di partito e i quadri dirigenti; lo stesso per i sindacati .

E’ un quadro destinato a sconvolgersi nei due anni successivi:

Nel 1936 nessuno immaginava – scrive Schlögel a pagina 92 -93 del suo libro – che l’intreccio di istituzioni e individui rappresentato dall’indirizzario potesse trasformarsi tanto di lì a un anno. Gli storici, in seguito scopriranno che, all’inizio del 1939, 110 dei 139 membri e candidati del Comitato centrale eletti dal XVII Congresso del Partito [nel gennaio 1934, che a metà del 1939, nella città di Oblast’ di Mosca, erano in carica soltanto sette dei 139 segretari del Partito e che tutti gli altri erano stati arrestati, fucilati oppure si erano tolti la vita”.

Quella del 1936 fu l’ultima edizione dell’indirizzario.

Gli arresti e le fucilazioni di massa. La desertificazione di un’intera città e di un intero Paese – scrive Schlögel  a pagina 97 – mediante un uragano di terrore  sono eventi ancora lontani dall’orizzonte visibile dei redattori che pubblicano l’indirizzario Tutta Mosca del 1936. Un uragano che impedirà all’iniziativa editoriale di proseguire. Nessuna redazione avrebbe potuto tenere il passo della rapidità vertiginosa con la quale i personaggi pubblici venivano spazzati via dai loro posti e annientati, mentre altri li sostituivano. Il tramonto dell’indirizzario come istituzione della routine e dela trasparenza della vita metropolitana è un indizio emblematico dell’avvio di un’epoca”.

Dunque all’inizio sta una scena che non è il momento iniziale della politica repressiva, ma che ne rapresenta il momento topico. Questo momento topico si colloca tra il 19 agosto e la notte tra il 24 e il 25 agosto. Esattamente ottanta anni fa.

 

Alle due di notte del 25 agosto 1936 andava in scena l’inizio della liquidazione del gruppo dirigente bolscevico da parte di Stalin. Erala messa in atto delle condanne a morte decretate dal primo processo di tre che vede i maggiori protagonisti del ’17 russo andare sotto processo e poi essere uccisi: Zinov’ev e Kamenev nell’agosto 1936; Piatakov e Radek nel gennaio 1937; Buckharin, Rykov, Yagoda, Rakovski nel marzo 1938).

Come sappiamo in quel triennio non furono i soli, ma molte altre figure (intellettuali di varia natura, tecnici, quadri intermedi del partito, quadro dirigente e intermedio dell’esercito, esponenti del clero) subirono persecuzioni e morte. I numeri, del resto, parlano da soli: 1.575.000  arresti; 1.345.000 condannati e circa 700.000 (ovvero più della metà di quelle condannate) persone liquidate nel giro di tre anni tra l’estate 1936 e il 17 novembre 1938 quando Stalin decide le dimissioni di Nikolaj Ežov, nominato Commissario del popolo per gli interni  nel settembre 1936, per sostituirlo con Lavrentij Berija.

In quel primo processo, iniziato il 19 agosto, concluso la mattina del 24 e reso operativo nell’esecuzione delle  sentenze di morte nella notte successiva, la figura più nota è quella di  G. E. Apfelbaum più noto  come  Grigorij Evseevič Zinov’ev.

Di lui non rimangono molte immagini, ma ci rimane la descrizione della probabile scena della sua morte  il 25 agosto 1936, alle prime ore dell’alba (sembra) . Scrivo “probabile scena” perché chi avrebbe potuto descrivercela non è mai tornato indietro a raccontarcela. Ma chi è stato incarcerato ha avuto l’idea di qyuella scena

La scena è quella che Victor Serge ci consegna . Serge è l’ultimo grande “salvato” prima che inizi la stagione della liquidazione dei bolscevichi. E’ stato liberato dal campo di prigionia nel marzo 1936 dietro una presione e una mobilitazio e di tutti gli intellettuali della sinistra democratica e libertaria dell’Europa. Giunge  a Bruxelles nell’aprile 1936.

Seize fusillés à Moscou è il primo testo che scrive dopo la sua liberazione nelel settimane immdiatamente succesive al processo (l’ultima pagina del testo è datata “settembre 1936”) . Il tema è il appunto il processo che vede Zino’ev imputato.

Scrive Serge:

“Il condannato è chiamato di notte per l’interrogatorio – è il termine consacrato per tutti gli spostamenti. Egli non sa dove sta andando, il guardiano non sa dove lo conduce. L’ascensore scende al piano terra. Lì, quando gli fanno imboccare una scala di cemento fortemente illuminata, forse capisce… Prosegue lungo un corridoio di cemento fiancheggiato da celle. Egli non sa nulla; non sapeva neanche, abitualmente, quando la Ghepeù applicava amministrativamente la pena di morte, di essere condannato a morte. Un uomo – che sa una cosa sola, e cioè che deve uccidere colui che gli viene portato – avanza con passo felpato dietro di lui e gli spara un colpo alla nuca. Gli sciacquoni si aprono, il corpo rotola in una botola o è spinto in un bugigattolo. Avanti un altro! Può darsi che non si sia neanche ritenuto necessario comunicare ai sedici la reiezione della loro domanda di grazia. Chiamati a sorpresa, prima che scadesse il rinvio legale, essi hanno capito solo all’ultimo minuto; ma in quell’ultimo minuto hanno capito tante cose; e pochi uomini sono morti con una amarezza così spaventosa  –  traditi e giocati … Nessun testimone; la cantina soffoca i rumori; pochi esecutori sicuri agiscono senza sapere nulla di preciso Il silenzio, il segreto.”

E ancora si deve a Victor Serge un’osservazione molto importante sul dopo processo.

Scrive ancora Serge:

“I giornali del 25 [agosto] pubblicano in prima pagina i ritratti sorprendenti del Capo in visita all’aerodromo di Tukino, dove ha luogo una manifestazione aeronautica. In caratteri minuscoli, nel quarto riquadro della quarta pagina, sotto la voce «varie», un trafiletto precisa che la giustizia ha seguito il suo corso”.

E’ un particolare che significativamente Serge non dimenticherà (e che dice moltissimo del valore attribuito ala vita e ala morte in un sistema totalitario). Quella infatti è  la scena costituisce il quadro finale del suo Il caso Tulaev, il romanzo più “affilato” sul sistema dei “grandi processi di Mosca” insieme a Buio a mezzogiorno di Koestler.

Ho detto che l’aspetto particolare di quei tre grandi processi (tra l’agosto 1936 e la prima metà d marzo 1938) è l’eliminazione di tutta la classe dirigente del partito bolscevico.

Non è l’unico tratto distintivo di quei tre processi rispetto a tutti quelli che si consumano nella storia dell’Unione sovietica staliniana.

Quei tre processi avevano caratteristiche specifiche e proprie.

Infatti, a differenza degli altri che già si erano tenuti a partire dagli anni ’20  – non prevedevano: 1) la presenza di avvocati, comunque di difensori; 2)  la presa di parola degli accusati, se non per accogliere l’atto di accusa o per rilasciare una dichiarazione finale; 3)  interlocuzione o interrogatorio.

E’ significativo che se si consultano i giornali di allora, ma anche il resoconto ufficiale del processo che esce in volume nel 1936 con il titolo Le Procès du Centre terroriste Trotskiste-Zinoviéviste devant le Tribunal militaire de la Cour Suprême de l’URSS   non si troveranno le repliche o gli interventi degli accusati.

Tutte le volte che un accusato discute un punto di dettaglio, l’unica cosa che gli accusati si permettono in quell’aula, si scrive: «L’accusato tenta vanamente di contestare che …». In che modo tenta, e tenta davvero invano? Non lo sapremo mai.

Questo aspetto, più che una mancanza di informazione è in realtà un supplemento di informazione.

In quel procedimento, infatti, non avevano importanza le prove, così come lo avevano le obiezioni o le repliche.

L’importanza di quel i processi non consisteva nel dimostrare qualcosa , ma nel “costruire qualcosa”. Non nel portare prove, ma nel raccontare una storia fantasiosa  il cui fine non era la verità, ma la creazione del timore.

E’ ancora Serge a scrivere:

I Demoni di Dostoëvskij, caricature di rivoluzionari concepite dall’analista delle più buie profondità dell’uomo, sono in ogni caso dei monelli sbiaditi in confronto ai registi e agli attori di questo dramma. Soprattutto i registi, perché gli attori in fondo sono vittime mosse da impulsi molto semplici. Vi sono degli episodi da cui si ricava un’impressione inverosimile, incubo su incubo. La verità ha dei limiti, l’invenzione no”. (il corsivo è mio).

Non solo.

A differenza dei processi pubblici ad alti dirigenti dell’amministrazione, non prevedevano la presenza del pubblico. E ciò perché non avevano una funzione di propaganda e dunque non si coloravano di una connotazione populistica. Quei processi non avevano la funzione di rinsaldare il legame tra popolo minuto e classe politica al potere.

E ancora.

L’accusa nei confronti delle vecchie guardie del partito bolscevico non si costruiva intorno all’idea di complotto contro lo sviluppo economico o contro lo sviluppo industriale, ma partiva dall’idea di tradimento, di tentativo di progetto terroristico e sterminativo contro “Il Capo”.

In un certo senso un regolamento di conti a cui il popolo era sottratto. Ma forse, più propriamente, un regolamento di conti a cui il popolo non era nemmeno chiamato perché, prevedibilmente, non si sarebbe scaldato più che tanto.

Anche per questo forse è bene considerare la scena del processo e poi della liquidazione di un gruppo dirigente, più precisamente di un’intera classe politica.

E’ questo un aspetto essenziale e che spesso è stato “mangiato” all’interno della ricostruzione dello stalinismo come storia del “culto della personalità”, ma che invece va distinto da quello.

Quello che avvenne in Russia tra il 1934 e il 1939 non somiglia a quel che avvenne a Parigi tra il 1792 e il 1794 o, se si preferisce, tra il 1792 e il 1799. Non è la ripetizione del giacobinismo o della dramma del Termidoro. E’ ben più complesso e difficile da capire e sta dentro una ricostruzione complessiva della macchina politica, del potere come sistema.

Comunque per spiegarlo, per quanto l’ideologia costituisca un aspetto necessario del quadro, tuttavia l’ideologia non è sufficiente. Anche per questo la macchina di quei processi è interessante.

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