Storia
La vasca da bagno di Greta e Il mondo di ieri di Zweig
Leggere oggi Il mondo di ieri. Ricordi di un europeo di Stefan Zweig, a parte la corroborante lettura di un testo che esprime fittamente un concetto dopo l’altro con eleganza e pertinenza, potrebbe forse essere utile per capire meglio l’Europa e tutto il mondo. Più che mai in un momento come l’attuale, dove la parola guerra si pronuncia con estrema facilità e quasi con una voluttà segreta, che a volte si ha pudore ad esprimere e altre volte si riesce addirittura a camuffare colla parola pace, il suo opposto, attraverso uno scontato trucco semantico. Un po’ come dire che un dittatore è un liberatore e viceversa, sempre la tentazione di un manicheismo culturale, verbale, concettuale è in agguato. Per questo leggere con attenzione Il mondo di ieri può anche essere illuminante.
L’occhio acutissimo e nostalgico di Zweig, che, tra le centinaia di personalità che ebbero a che fare con lui, aveva interlocutori come Sigmund Freud, George Bernard Shaw, Herbert George Wells, Salvador Dalí, scruta quel mondo di ieri, avendo vissuto e osservato il crollo fiducioso nel futuro e lo sconquasso di due guerre mondiali una peggio dell’altra, dove, chi perde, perde sempre tutto. Il bello è che, in realtà, non c’è chi vince veramente perché il vincitore finale, in una guerra totale, ha già perduto buona parte del proprio passato e ha distrutto il passato del vincitore di prima, macerie su macerie. E la favoleggiata Belle Époque viene vivisezionata da Zweig, nei suoi pregi ma anche nelle sue immense contraddizioni e ipocrisie. Un po’ come l’odierna Belle Époque, quasi erede della bisnonna di un secolo prima e quasi altrettanto piena di contraddizioni e ipocrisie.
La Vienna gioiosa, leggera, spensierata, fertilissimo terreno per il dottor Freud, svanisce nel 1914, ma non del tutto. Svanirà definitivamente nel 1939. Quella Vienna proprio non c’era più, spazzata via dalla furia di un uomo psicopatico che aveva la sindrome della Regina di Cuori. L’Europa, la terra tanto amata da Zweig, culla di tutte le culture e di tutte le nevrosi, era stata cancellata attraverso psicofascismi illusori di vari dittatori e altri governanti europei conniventi e corresponsabili che, a furia di guardare il proprio interesse sovranista, persero di vista il disastro che stava per presentarsi in pompa magna. La Vienna commerciale e disneylandica di oggi, che evoca continuamente Sissi come unica presenza positiva del passato, a suon di bel Danubio blu, è una barzelletta. Tutto è folclorico in questa finta esposizione dell’Europa, ancora di più osservando le trasmissioni televisive che vengono impartite alle popolazioni, in Italia forse più che altrove, quasi che si voglia, con pervicacia, essere attratti da un fenomeno ormai esotico per l’Europa: la guerra. Eppure i segnali di questi squilibri bellici nel mondo ci sarebbero pure. I profughi che cercano di raggiungere il nostro continente, solo per fare un esempio, di qualcosa dovrebbero avvertirci. Ma c’è sempre qualcuno che li squalifica e li vede unicamente come predatori economici.
Certo, l’Italia è una bella e succosa polveriera. Tra basi NATO, ossia americane, e depositi nascosti di missili e armamenti, è il paese più a rischio d’Europa qualora delle vendette orientali si volessero realizzare. Naturalmente non può essere che così, essendo l’Italia un vincitore momentaneo sconfitto da un altro vincitore permanente in seguito agli eventi che tutti conoscono e quindi costretto ad accettare una presenza esterna armata di una potenza non sempre quieta e tranquilla e che nel mondo si è fatta conoscere più per guerre incominciate, a volte anche perdute e spesso ancora in corso, piuttosto che per beneficenza. Una produzione di vincitori senza sosta, le guerre.
E Zweig proprio su questo fa il punto. Da apolide, perché ormai quell’Austria da cui proveniva, microcosmo rappresentativo della sua bella Europa della giovinezza, non esisteva più, osserva come le masse aderiscano acriticamente a queste suggestioni collettive, quasi che l’uomo non possa fare a meno di litigare col vicino, e come il fascino per le divise e per il potere aromatizzato di testosterone concentrato che illudono di dare a chi le indossa, conferisca probabilmente un’identità che colui (o anche colei, oggi) fatica a trovare in un mondo globalmente spersonalizzato, e si propaghi a macchia d’olio una pandemia bellicistica che prende il posto della pandemia virale di poco prima (tuttora in corso, anzi, in fase di sviluppo). I suoi amici di Vienna, per lo più ebrei atei, che lo prendono per maniaco quando lui li avverte che sono in pericolo perché Hitler è un pazzo furibondo e chi lo segue è più pazzo di lui, conosceranno dopo pochi mesi la tortura, il campo di concentramento e la morte. Non volevano cogliere i segnali, pur copiosi, che la Storia stava loro sciorinando sotto gli occhi. La cecità, quando si vive nel benessere, può essere fatale.
Analogamente la nostra interpretazione della realtà, nella maggior parte dei casi, vista dal divano o da una postazione comunque privilegiata non è solo parziale ma molto peggio. Risulta, alla fine, semplicemente ridicola. Come ridicoli sono i soloni che si alternano in televisione a proclamare la loro opinione sulla pace o sulla guerra. Tra questi non possono mancare certi politici, tipo il solito Capitano senza faccia che, anziché traslocare in un posto isolato dal mondo per cercare di farsi dimenticare dopo la sua annosa e molesta sovraesposizione mediatica, preferisce adesso ergersi a paladino della “pace” o, almeno, della sua idea di pace. Ovviamente, a dispetto di essere stato la groupie più entusiasta dell’invasore per poi scoprirsi ignudo, ormai spogliato di tutte le sue magliette e felpe personalizzate, in un mondo che, comunque, confonde e frulla sempre tutto nel calderone mediatico.
La nostra interpretazione della realtà, sempre così lineare, che sprezza la complessità delle cose, riguarda tutto. Anche la crisi energetica e quella climatica, oltre a quella ecologica vera e propria, sono messe tutte insieme, come se tutti, in tutto il mondo avessero a che fare cogli stessi oggetti, gli stessi servizi, gli stessi stipendi, gli stessi beni, la stessa alimentazione. L’ingenua Greta, ormai divenuta più grandicella e sempre meno scusabile, e i suoi adepti, quasi tutti adolescenti senza una reale consapevolezza dei problemi, danno consigli agli asiatici su come difendersi dai tifoni, ossia come salvaguardare acqua potabile in caso di catastrofe: si riempie la vasca da bagno e si attinge al bisogno. Basterà per un po’. Poverelli. Hanno fatto loro notare: ma noi non sappiamo neanche che cosa sia una vasca da bagno. Altri dicevano: ma noi non abbiamo nemmeno l’acqua corrente, figurarsi la vasca da bagno. Altri ancora: noi l’acqua corrente l’abbiamo, ma dobbiamo bollirla per poterla bere e, comunque, la vasca da bagno ce l’hanno solo i ricchi. Nessuno dei mentori di Greta ha spiegato a lei e ai suoi apostoli che il mondo delle favole in cui li hanno allevati non esiste.
Questo è il mondo infantile in cui viviamo, in cui non c’è assolutamente posto per la complessità. È il rifugio fittizio delle nostre insicurezze e nevrosi. Per questo la lettura del formidabile viatico del mite, acuto, profondo Zweig, Il mondo di ieri, potrebbe essere di grande aiuto per districarsi da questo abbraccio mortale di infantilismo e, forse, fornirci delle chiavi più appropriate per interpretare il mondo di oggi che ci ingloba, analogamente a ciò che lui osservava succedergli intorno quando lo scrisse, nel 1941, esule a New York, un anno prima di suicidarsi.
Amen.
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