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La radio: consolazione di una poesia che non finirà
Si festeggia la radio – i suoi cent’anni – e la nostalgia ti agguanta.
Io ne sono pervaso, perché la radio mi ha fatto compagnia, almeno per oltre quarant’anni.
Con la radio ho imparato a parlare, a scrivere, perché ascoltavo la voce asciutta di narratori che leggevano romanzi, li commentavano ed invitavano alla lettura gli ascoltatori.
Ancora oggi Radio 3 manda in onda gli audio libri.
Ricordo a memoria alcuni passi de “I Promessi Sposi” ed il “Pinocchio” di Collodi, o “Cuore” di De Amicis.
La radio mi ha insegnato a leggere i quotidiani: quando si procedeva alla rassegna stampa si richiamavano gli editoriali di Montanelli, di Scalfari, Enzo Biagi, Gianni Brera, Gino Palumbo.
La radio era aggiornamento di notizie, possibilità di porre domande e partecipare a dibattiti autorevoli, per esempio con “Radio anch’io”, un programma storico di Gianni Bisiach.
Ho sentito le orchestre Jazz e ascoltato la voce di Arrigo Polillo che mi ha inoculato l’amore per questo genere musicale.
La Radio è stata ed è per me Renzo Arbore, la sua ironia scintillante con Alto Gradimento; “scusi lei Bracardi ma quanti anni ha?”
Mi faceva compagnia quando studiavo: la sentivo a basso volume, perché le voci erano sempre suadenti, non si urlava e si sentiva una prosa limpida, pulita.
Tra gli anni ‘70 ed ‘80 si ascoltava calcio alla radio, attraverso una rubrica storica: “tutto il calcio minuto per minuto”.
La conduceva Roberto Bortoluzzi e le voci radiofoniche – cavalli di razza – erano rappresentate da Enrico Ameri e Sandro Ciotti.
Il primo possedeva un tono chiaro, squillante, la sua voce era stentorea.
L’altro, Ciotti, aveva il dono della parola: qui il tono della voce era arrochito ed era perciò soppiantato dalla ricerca semantica, dalla sinfonia della sinonimia e dallo scorrere di un fiume catartico di lingua inclita e costituita da neologismi inventati ad hoc: per esempio un terzino come Maldini o Cabrini erano definiti fluidificanti, un centrocampista come Rivera regista rifinitore.
Così diceva: “ A Napoli la giornata è splendida, manca solo Caruso che canti O’ sole mio”.
Appartengo a quella generazione che ha visto i nostri padri combattere la fame, cercare ed inseguire il riscatto sociale, la dignità di creare una famiglia, di perseguire la pace e la concordia tra consociati.
Ascoltavano le radioline nelle auto dell’epoca – la mitica 500 o 600 – che acquistavano a rate, a cambiali, prima dell’impianto a stereo portatile.
Loro hanno sentito alla radio anche la dichiarazione di guerra negli anni quaranta e la sua fine.
Sono cresciuto con la radio; ha ragione Arbore quando dice che la Radio è stata la nostra consolazione.
Ed è così: è una poesia che non potrà mai finire.
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