Storia
La nostra Storia, memoria degli errori non solo degli orrori
Così non se ne viene fuori, la Giornata del Ricordo non è ancora uno scatolone a posto nella storia nazionale e passa da sottotraccia a rigurgito in un batter d’ali, riaprendo un confine che non esiste più, perso tra nomi e luoghi silenziosi per un dolore lungo a più riprese quanto un secolo. Come da prassi in questi casi si elencano eventi ma non la natura degli stessi. E la natura è una sola: la non accettazione della equivalenza di nazifascismo e comunismo (questa è l’unica cosa che mi divide nella analisi storica e politica da Hannah Arendt perché lei ha dubbi sulla natura totalitaria del fascismo ma altri no). Se accettassimo che i totalitarismi furono due, e quindi accettassimo “l’errore” comunista pur nella declinazione togliattiana, non staremmo qui a discutere ma se la guerra è lontana non lo è per nulla la militanza di molti comunisti anche della nostra generazione e questi sono quelli che, non definendosi più comunisti, però ancora credono che Stalingrado fu una battaglia per la libertà e non lo scontro mortale tra i due totalitarismi.
Quello è un confine tremendamente sofferto: alle “evacuazioni” sulla linea del fronte e alle fughe nell’una e nell’altra direzione dopo la dichiarazione di guerra, il primo esodo seguì la sconfitta di Caporetto: circa 630.000 civili in fuga, famiglie divise che finirono senza nulla e nemmeno la valigia sparse per l’Italia. Non furono accolti, furono considerati estranei e disprezzati, guardati e trattati ovunque in malo modo perché l’Italia all’epoca come sappiamo non aveva ancora una coscienza nazionale, essendo essa limitata ai gruppi dirigenti post-risorgimentali che erano una elite ristretta per censo e ruolo. E oltretutto essi rappresentavano tangibilmente una sconfitta che nessuno voleva intestarsi. Furono per i profughi momenti tremendi e intimamente incomprensibili: la via dell’esilio come insegna il museo ebraico di Berlino è permeata dal senso di spaesamento e non appartenenza ad alcun luogo, la espulsione dalla “tribù”: salvi la vita ma non la tua vita.
Il secondo esodo è quello di cui si parla e che ben sappiamo fu sottaciuto perché ancora oggi non accettiamo che fu sì una guerra mondiale ma fu anche una guerra civile, cioè la peggiore delle guerre possibili. E alla guerra civile si sommò e quella ideologica e quella fredda che impedirono sia una Norimberga contro Roatta, per dirne un quasi certo imputato, sia quella contro i titini dalle plurime lingue. I profughi istriani di lingua italiana arrivarono nelle città della penisola colpite dai bombardamenti i cui cittadini volevano solo rimuovere il ricordo della guerra e ricostruire. Ancora una volta essi, rappresentando una sconfitta che si esorcizzò con la retorica del 25 Aprile scioccamente intestata a sinistra, pagarono un conto tremendo, finendo ghettizzati in campi profughi con ben poca tutela giuridica e politica. Sul trattato di Osimo stendo un velo pietoso perché fu uno dei prezzi da pagare a Tito per il non allineamento.
Quest’anno la Giornata del Ricordo viene celebrata in un paese sbandato dove le generazioni non solo non vogliono farsi carico degli errori di chi le ha precedute manco conoscendoli, che di per sé è grave e ingiustificabile, ma che non riconoscono nel sovranismo il trasformismo nazionalista e dove, sempre per dirne una, un leader politico per fortuna sconfitto accetta silenziosamente per convenienza la dichiarazione di sostegno elettorale di un allenatore di calcio slavo che fu sostenitore dei criminali delle guerre balcaniche: il tutto senza alcuna robusta ribellione intellettuale.
Il riflesso Pavloviano nella sinistra di perduta matrice comunista per un ricordo che viene visto come una rivincita politica è scattato con matematica precisione e la ferita si è riaperta sempre sulla pelle e sul macabro conteggio delle vittime.
L’unica cosa da celebrare vera, concreta, viva è la scomparsa di quel confine, non le ferite per le quali serve invece umano conforto. Se si volesse fare una autentica celebrazione essa dovrebbe fondarsi sulla comune consapevolezza che la libertà, ove venga messa in discussione e da qualunque parte, è l’unico valore che deve rimanere intangibile e la sua difesa unico argine contro il ripetersi degli orrori della nostra storia. E che la libertà ha vinto quelle guerre militari, civili e ideologiche, che la sua vittoria è stata possibile solo attraverso il processo di unificazione europea e che grazie ad essa e per la prima volta nella storia abbiamo acquisito, per quanto sempre a rischio, un valore sacrale laico della vita umana.
Quei tempi forse sono ancora troppo vicini, le militanze successive ancora troppo vive, troppa voglia di non farsi carico degli errori del XX secolo: la storia non ha bisogno di revisionismi ma di Ragione e, appunto, tempo e memoria degli errori, non solo degli orrori.
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