Russia
La funzione della memoria e la cura della dimenticanza
“La tomba era grande, massiccia, davvero imponente…Ad affidarne la costruzione a un distinto professore d’architettura, responsabile in città di molti scempi contemporanei, risultava essere stato Moisè Finzi-Contini, bisnonno paterno di Alberto e Micol”
Il 27 Gennaio si è solito celebrare il giorno della memoria. Se ne parla a scuola, nei palinsesti televisivi: film, telegiornali, ripercorrono le tappe salienti di un periodo storico che ha cambiato il volto al mondo intero. Nuovi assetti geografici sorsero da quelle ceneri, ma a cambiò volto a milioni di persone che conobbero sulla propria pelle la mostruosità dell’essere umano. Il mondo fu più povero perché le legge razziali sterminarono nei campi sei milioni di ebrei, una povertà non solo demografica, ma umana. Mai si era assistito prima a tanto orrore.
La prima guerra mondiale, come tutte le guerre, lasciò i suoi segni, le trincee erano luoghi dove tanti soldati videro compagni morire, erano case, ospedali da campo, e posti da dove sarebbe partito l’attacco corpo a corpo col nemico. Poco più di sei mesi dalla fine della guerra, si assiste alle origini del fascismo che si fa risalire all’adunata a Piazza San Sepolcro, a Milano il 23 marzo 1919, all’atto di fondazione dei Fasci italiani di combattimento. C’erano circa trecento poveracci: qualche ex combattente e qualche esagitato, alcuni socialisti interventisti. Nel salone del circolo dell’Alleanza industriale e commerciale, Mussolini, agitandosi dalla sua tribuna, urla: “Noi siamo contro l’imbecillità governativa, siamo per l’elevazione spirituale e materiale degli italiani”.
L’elevazione degli italiani significò lasciarsi ammaliare dai discorsi di un duce che parlava di fierezza del popolo italico, di forza e potenza che nello scacchiere europeo sarebbe stata riconosciuta agli Italiani, di uno schieramento verso chi veniva considerato l’alleato più potente e di cui si seguì le orme.
Le prime leggi razziali furono applicate in Italia dal trentotto fino al quarantacinque. Gli ebrei venivano ghettizzati. ll termine “ghetto” ha origine dal nome del quartiere ebraico di Venezia creato nel 1516, nel quale le autorità veneziane obbligavano a risiedere gli Ebrei. Nel Sedicesimo e Diciassettesimo secolo, diversi governanti, da quelli locali fino all’Imperatore austriaco Carlo V, ordinarono l’istituzione di altri ghetti per gli Ebrei a Francoforte, Roma, Praga e in altre città.
Durante la Seconda Guerra Mondiale, i ghetti erano costituiti da quartieri spesso recintati nei quali i Tedeschi concentravano la popolazione ebraica, obbligandola a vivere in condizioni di estrema miseria. Il principale scopo dei ghetti era quello di isolare gli Ebrei, separandoli dalla popolazione locale. I Tedeschi istituirono almeno 1000 ghetti solo in Unione Sovietica e in Polonia, nella parte occupata e in quella annessa.
I Tedeschi consideravano l’istituzione dei ghetti una misura provvisoria per segregare e controllare la popolazione ebraica; nel frattempo, i leader nazisti a Berlino vagliavano diverse opzioni per l’eliminazione completa della popolazione ebrea.
La visita alla necropoli etrusca di Cerveteri, suscita in Giorgio Bassani una riflessione sul rapporto dialettico tra la vita e la morte, fortemente intrecciato con quello tra il tempo passato e il presente. L’occasione lo riporta con la memoria al cimitero ebraico di via Montebello, e in particolare alla tomba monumentale dei Finzi Contini.
Il giardino dei Finzi-Contini racconta l’amore, l’amicizia, i progetti di vita e le partite a tennis di alcuni ragazzi ebrei di Ferrara perfettamente integrati nella vita della città, durante gli anni dell’università, mentre l’Italia si allea con la Germania ed entra in guerra. Il libro è, quindi, un omaggio memoriale postumo a questo gruppo di israeliti, destinati a morire nei lager nazisti, per restituirli alla vita attraverso la forza dell’arte.
La storia degli ebrei in Russia ha radici profonde. Folte comunità di ebrei ashkenaziti si sono formate nel corso dei secoli, affiancate da minoranze di diverse confessioni.
Per tutto il periodo zarista, le relazioni fra l’Impero e le comunità ebraiche furono controverse. L’antisemitismo era un sentimento radicato, che coinvolgeva in primis regnanti e nobiltà. Nel Settecento, infatti, gli ebrei vennero confinati entro la cosiddetta Zona di residenza, una regione dell’Impero russo che comprendeva territori dell’attuale Russia, Lituania, Bielorussia, Polonia e Ucraina
Dall’Ottocento fino all’inizio del Novecento, i pogrom nei confronti degli ebrei in territorio russo e ucraino si fecero sempre più frequenti, ed erano, se non direttamente organizzati, quantomeno condonati dalle autorità. Ciò costrinse molti ebrei russi e ucraini a emigrare in Nord America e in Europa, e al tempo stesso favorì l’organizzazione di nuovi movimenti sionisti e bundisti fra coloro che rimasero in Russia, al fine di tutelare le proprie comunità.
Con la Rivoluzione d’ottobre e la nascita dell’Unione Sovietica, il rapporto fra ebrei e potere non perse di complessità. Sebbene l’ideologia atea e internazionalistica bolscevica fosse incompatibile con il tradizionalismo ebraico, molti bolscevichi erano ebrei. Ciò portò a ulteriori conflitti interni fra le comunità ebraiche. Lenin, da parte sua, si espresse sempre duramente nei confronti dell’antisemitismo, identificandolo come un conflitto di classe nato dalla volontà zarista di sfruttare un capro espiatorio religioso per opprimere una parte della società.
L’ascesa di Stalin al potere segnò il definitivo ritorno a un antisemitismo di regime, si inasprì progressivamente la persecuzione degli ebrei in quanto minoranza etnica, linguistica, religiosa e politica. Dopo la Seconda guerra mondiale, la rinnovata consapevolezza della propria identità da parte della comunità ebraica in seguito alla tragedia della Shoah, che ne compattò la coesione interna, andò a nutrire l’ostilità di Stalin nei confronti di questa minoranza.
Devi fare login per commentare
Accedi