Storia
La bicicletta e la Resistenza
Per far pedalare lo sguardo oltre i trenta centimetri che mi incollano allo schermo del pc, ogni paio d’ore mi stacco e vado alla finestra della mia stanza al piano alto. E da ormai tre mesi vedo due biciclette gialle della Ofo abbandonate nel giardinetto dietro il palazzo. In questo tempo in cui sono state dimenticate qualche ignorante annoiato ha cercato di infierire su di loro: non hanno più i sellini, una ha il parafango davanti sradicato e sbilenco, all’altra hanno cercato di staccare la copertura gialla, lasciando mezzo telaio bianco. Sono sdraiate a terra, una che guarda l’altra, le ruote davanti sovrapposte. Nonostante l’aggressione, la posizione in cui sono rimaste è intima: ricorda un timido abbraccio, ma anche un bacio avvolgente: dipende dal grado di passione dell’osservatore. Fino a qualche settimana fa mi chiedevo perché nessuno venisse a salvarle, oggi mi auguro che nessuno lo faccia. Sono un soggetto che tende ad affezionarsi, e queste bici restano lì a testimoniare una resistenza. La bicicletta è da sempre simbolo di resistenza. Nella Roma occupata del ’44 i nazisti l’avevano vietata, perché su quelle due ruote si spostavano rapidi i partigiani delle brigate Gap. In una città semideserta e presidiata dai tedeschi, tutta l’attività clandestina non avrebbe potuto esistere senza le biciclette. Va ricordato che questi Gap altro non erano che gruppi di quattro/cinque ragazzotti, uomini e donne, che a malapena recuperavano qualche fucile: la loro unica arma certa era la bici. A Milano, i Gruppi di difesa della donna (Gdd), con il coraggio che ha solo chi sa che una pallottola lo aspetta, trasportavano pedalando la stampa clandestina e i messaggi ai ragazzi dei Gap. Siamo tutti figli, oggi, di quelle donne. E chi pedala in città ancora di più. Perchè lo fa contro l’occupazione del traffico, violento e ottuso come un nazista qualsiasi. Sempre in attesa di una liberazione.
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