Storia

Io e Michael

27 Gennaio 2017

Tra qualche ora incontrerò un amico tedesco con cui proverò a fare affari nella penisola arabica. Parleremo di cose che sono nelle corde degli europei di oggi, ambiente e ciclo virtuoso dei rifiuti urbani e produzione di energia e calore, ma che sono materia sconosciuta in quelle lande. La sensibilità ambientale è uno dei frutti di una Europa che ha sconfitto, ma mai definitivamente, i mali dell’anima del secolo scorso, dall’imperialismo al nazifascismo al comunismo. Lo faremo da uomini di potenze sconfitte che hanno trasformato il conflitto tra popoli in una potente forza di crescita tecnologica e industriale, vivendo noi due nei paesi più industrializzati del mondo.

Eppure oggi, lo so, lo guarderò negli occhi e mi chiederò come avevano fatto, come aveva fatto suo padre a segnare una tragedia che non verrà mai cancellato, ma non ne ho certezza, dalle nostre coscienze.

E la seconda domanda che mi farò, sapendo che è un errore umano ma sempre un errore metterla al secondo posto, è come facemmo noi italiani, il fascismo a cui tributammo consenso e la monarchia a cui rischiammo di confermarlo, a  essere protagonisti attivi di uno sterminio di italiani.

I più sensibili di noi oggi su FB hanno cambiato l’immagine del profilo con una stella di David; altri hanno pubblicato e pubblicano le foto dello straordinario museo ebraico di Berlino o del “monumento” berlinese della Shoa (sempre berlinese, sempre tedesco e nulla di nostro). Ma temo che lo faremo come se fosse una testimonianza “terza’ rispetto agli accadimenti, come se quel pezzo di storia non ci appartenesse rimosso insieme alla memoria dell’aver partecipato ad una guerra di occupazione e di aggressione che portò soldati italiani a morire sul Don, in Grecia e in Egitto,  non sulla soglia di Gorizia.

Quando lo guarderò negli occhi mi farò la domanda chiave per riflettere sugli accadimenti, la domanda la cui forza sta nel non trovare la risposta: finchè al “perché accadde?” si rimarrà  muti forse, dico forse, non potendo collocare nella nostra storia quello spaventoso crimine, essa sarà un freno al rischio del ripetersi.

Eppure quella domanda non mi basta, rimane un “perché” astratto se non è accompagnato dalla riflessione che la personalizza: non “perché accadde?” ma “perché noi?”.

Perché le leggi razziali, perché il tradimento del ghetto di Roma, perché il binario 21 a Milano.

Se chiediamo ai tedeschi di non dimenticare non possiamo non imporlo a noi stessi. Non può essere una giustificazione l’averne ammazzati di meno. Non lo è addossare al fascismo, tra l’altro provando a dimenticare pure quello, responsabilità che furono dei nostri padri e che noi abbiamo rimosso e esorcizzato.

No, guarderò negli occhi il mio amico e vorrei dirgli “ma come abbiamo fatto”. Lo vorrei abbracciare sapendo che abbiamo una colpa spaventosa in comune e che deve, deve essere nostro impegno non dimenticarlo mai tenendola fuori dalla storia e dentro noi stessi. Ma sentendo che anche  il non dimenticarlo non colma né lenisce il vuoto dell’anima, lo spavento, il disorientamento intellettuale e la terribile emozione.

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