Storia

Indietro Savoia non si torna

17 Dicembre 2017

A 70 anni dalla morte e a un secolo dalla Grande Guerra, le spoglie mortali di re Vittorio Emanuele III e, prima di lui, della regina Elena,sono state traslate da Alessandria d’Egitto e Montpellier a Vicoforte in provincia di Cuneo, per volere della figlia Maria Gabriella e con il placet di Sergio Mattarella.

Tutto è avvenuto in gran segretezza (si fa per dire) ma soprattutto nella totale indifferenza di un paese che per larga parte, forse, nemmeno ricorda di essere stato una monarchia.

Il rapporto degli italiani con la memoria collettiva è sempre stato problematico, incardinato su processi di rimozione che hanno evitato, in molti casi, più complessi percorsi di elaborazione.

In settimane in cui assistiamo ad un pericoloso rigurgito fascista, verso cui le forze politiche democratiche paiono reagire a corrente alternata, senza assumersi appieno la loro parte di responsabilità nell’aver troppo sbrigativamente sdoganato e riabilitato questo o quello, sbeffeggiato partigiani e martiri, il ritorno dei due sovrani, rappresenta una occasione per riflettere sull’importanza delle nostre istituzioni democratiche e di quella Costituzione troppo spesso fatta carne da macello di piccole contese elettorali.

I Savoia furono fra gli artefici dell’unità d’Italia, ma a muoverli fu più la brama di estendere i confini del loro regno di Sardegna che il patriottico obbiettivo di offrire una vera  identità ad un popolo da secoli diviso.

Vittorio Emanuele parlava francese e dialetto a corte e mai cambiò questa abitudine consolidata.

Elena, figlia di un re pastore del Montenegro, fu scelta per la sua statura e la sua “sana e robusta costituzione”.

Bisognava correre ai ripari perché le continue unioni fra consanguinei avevano indebolito fisicamente ( secondo lo storico inglese Denis Mack Smith anche mentalmente)  i membri di casa Savoia, e pure Vittorio Emanuele appariva vittima di questa  sconsiderata politica matrimoniale: basso, gracile, fin da piccolo fu costretto a portare dei rudimentali tutori per allungare e rinforzare le sue ossa.

La sua biografia privata non certo gioiosa ha forse influito sulle sue scelte di monarca? In molti studiosi se lo sono chiesto; agli atti resta comunque una sequela di decisioni sbagliate che ci consegnano il ritratto di uno statista imadeguato e dannoso per il suo paese.

Nel 1922, di fronte alle insistenti richieste del primo ministro Facta di firmare lo stato di assedio per disperdere i fascisti che marciavano su Roma, si rifiutò consegnando il paese nelle mani di Mussolini.

Diffidente per natura, non amò mai particolarmente il Duce che dal canto suo lo vedeva come un orpello antiquato: entrambi credettero di potersi controllare a vicenda, ma in realtà fu il Duce ad avere sempre l’ultima parola.

Firmò le leggi razziali, lasciò Roma in balia dei tedeschi dopo l’armistizio con una rocambolesca e davvero poco regale fuga in macchina a Brindisi, mentre suoi illustri colleghi (Giorgio VI di Inghilterra in primis) scendevano affianco delle vittime dei bombardamenti  preservando in questo modo l’istituzione monarchica dalle macerie della Seconda Guerra Mondiale.

La consorte fu di certo una figura meno controversa, dedita a opere caritatevoli e ad una vita all’ombra del marito che, fatto alquanto insolito per un matrimonio combinato, amava davvero.

Il referendum fra monarchia e repubblica  chiuse definitivamente  in faccia la porta della storia ai Savoia, relegandoli ad un passato che non tornerà più indipendentemente dal paese dove verranno definitivamente tumulati.

La storia successiva degli eredi della più antica casa regnante d’Europa ha confermato  come la scelta che gli italiani fecero nelle urne nel lontano giugno del 1946, fosse stata quella giusta: liti continue fra fratelli e cugini, vicende giudiziarie, partecipazioni a reality show e festival di San Remo, delineano la fotografia di una famiglia più adatta ai rotocalchi da sfogliare dal parrucchiere che ad occupare le austere sale del Quirinale. Del resto le poche monarchie che ancora sopravvivono nella vecchia Europa sono inesorabilmente legate alla capacità dei singoli sovrani di saper far passare ai sudditi un faticoso messaggio di utilità e empatia che giustifichi almeno in parte il costo economico del loro mantenimento.

Tralasciando Elisabetta d’Inghilterra che è oramai  equiparabile a un glorioso e colorato monumento, è così in Danimarca dove la regina Margherita ogni mese riceve per un te’  i sudditi, che sono  lasciato liberi di porle tutte le domande che vogliono; fu così per Juan Carlos di Spagna che sventò con la sua persona e la sua personalità il golpe dei militari, salvando la giovane democrazia dai nostalgici del franchismo.

La dinastia sabauda ha sempre difettato di queste virtù e l’indifferenza dell’Italia è la giusta ricompensa ai suoi errori passati e  alla sua presente, patetica, smania di voler sottrarsi al giudizio inappellabile della storia, rivendicando per i suoi morti  non solo il rientro in Italia ma addirittura un posto al Pantheon!

Il Ministro Franceschini pare seriamente intenzionato a far pagare l’ingresso nella maestosa basilica romana; che qualcuno, assai  poco nobilmente,  stia pensando di pretendere dal Mibact una percentuale sui futuri introiti?

Come direbbe un ben più amato  e importante  principe:  “ma mi faccia il piacere!”

 

 

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