Storia

Il valore estetico dello sbarco sulla Luna

20 Luglio 2019

Oggi, 20 luglio 2019, è il cinquantesimo anniversario dello sbarco dell’uomo sulla Luna. Un’impresa titanica, per tanti motivi. È stato un trionfo del potere della volontà dell’uomo che ha allargato gli orizzonti della conoscenza. Tuttavia, come dice Matthew Walther su The Week, è stato anche uno degli eventi più fraintesi della Storia dell’uomo.

La missione dell’Apollo 11, però, è stata intrapresa senza fini scientifici significativi. Questo non è affatto sorprendente se si pensa quanto pesava, all’epoca, la propaganda americana e quanta importanza aveva dimostrare di essere più avanzati tecnologicamente dell’ex Unione Sovietica. Ebbene, nessuno può negare che nulla di valore è stato ottenuto mettendo un uomo sulla luna che non avrebbe potuto essere facilmente acquisito da un robot (lo si sta vendendo con le missioni spaziali di oggi).

Lo sbarco sulla luna può essere considerato, quindi, piuttosto un trionfo dei nostri istinti estetici, una giustapposizione artistica dell’uomo contro un ambiente brutale su cui poteva proiettare le sue paure, le sue simpatie, i suoi sentimenti di trascendenza.

Il successo della prima missione lunare con equipaggio può essere paragonato ai primi anni dell’esplorazione polare inglese, giorni inebrianti in cui, come scrive Francis Spufford, uomini duri mettono la loro volontà al servizio di una mania letteraria per abbracciare sentimenti di lontananza, immensità e vuoto oceanico. Purtroppo, a parte Jules Verne (che ha profetizzato le prime missioni lunari nel suo romanzo del 1865, “Dalla Terra alla Luna”), non c’è stata una grande letteratura lunare, a differenza dei grandi pionieri ipotermici che hanno ispirato Byron, Shelley, Tennyson e Melville. Neil Armstrong, Buzz Aldrin e Michael Collins possono essere paragonati all’antico marinaio di Coleridge, “da solo, da solo, tutto, tutto solo” in un mare di stelle.

La natura principalmente estetica della prima missione Apollo diventa più chiara quando la si considera dal punto di vista sia dei partecipanti che degli spettatori. L’atterraggio lunare più che un annuncio scientifico è stato una performance, un’opera spaziale collettiva che si è realizzata davanti a un pubblico di circa 650 milioni di persone. Fu una vittoria, come Armstrong riconobbe immediatamente, non del capitalismo democratico occidentale sulla tirannia sovietica, o dell’America sul resto del mondo, ma per l’umanità. Appartiene agli Stati Uniti non più di quanto Michelangelo appartenga all’Italia o Machu Picchu al Perù.

Tra gli osservatori contemporanei che colsero, forse, il vero significato dello sbarco lunare c’era lo scrittore Vladimir Nabokov, che per l’occasione noleggiò un televisore. Intervistato dal New York Times, raccontò in questo modo quello che lo impressionò di quelle immagini:

[…] Il piccolo minuetto gentile che, nonostante i loro abiti scomodi, i due uomini ballavano con tanta grazia sulle note della gravità lunare, era uno spettacolo incantevole. È stato anche il momento in cui una bandiera ha assunto un significato molto più grande. Sono perplesso e addolorato dal fatto che i settimanali inglesi abbiano ignorato l’eccitazione assolutamente travolgente dell’avventura, la strana euforia sensuale di palpare quei preziosi ciottoli, di vedere il nostro globo marmorizzato nel cielo nero, di sentire lungo la spina dorsale il brivido e la meraviglia di esso. 

Insomma, quello che è stato il primo evento mediatico planetario e, potremmo dire, la più improbabile opera d’arte mai creata per la nobilitazione della nostra specie, ci ha resi consapevoli da un lato del potere degli strumenti della tecnica (che spesso ci illude di essere padroni di questo e altri mondi) e dall’altro della nostra finitezza e insignificanza nell’ordine cosmico generale. Vedere la nostra Terra, quella piccola sfera azzurra, dalla superficie lunare fa quasi tenerezza. Ci rassicura. E allo stesso tempo ci fa rabbrividire.

@paolomusano

(Immagine di copertina: NASA)

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