Partiti e politici

Il triangolo della morte

31 Agosto 2023

A partire dall’armistizio dell’8 settembre 1943, l’Italia centrale e, in particolare l’Emilia, è interessata da centinaia di omicidi a sfondo politico di cui autori sono, per la gran parte, ex partigiani delle formazioni Garibaldi simpatizzanti o iscritti al partito comunista. Il numero totale delle vittime è imprecisato anche se Ferruccio Parri, lo calcolò attorno ai 30.000.

Qui ricordiamo quanto accadde proprio in Emilia, nel cosiddetto “triangolo della morte” dove, nel mirino di questi criminali non ci furono, come ci si sarebbe potuto aspettare, esponenti del regime fascista e neppure simpatizzanti delle destre estreme, ma esponenti o simpatizzanti dei cosiddetti partiti moderati.

Fra questi, pagarono il prezzo maggiore democristiani, membri del clero o gente che orbitava nell’ambito ecclesiastico, oltre che esponenti della borghesia agraria.

Le motivazioni che stavano alla base di questi omicidi furono di natura squisitamente politica, le vittime erano “nemici di classe” o presunti ostacoli alla tanto auspicata e, per gli assassini, imminente rivoluzione comunista.

Fatti gravissimi che, con poca lucidità e molto cinismo politico, vennero tuttavia tollerati e in qualche caso coperti dallo stesso partito comunista.

Una mattanza che, tuttavia, trovò allora poco risalto nella stampa e che non fu adeguatamente denunciata dalle forze politiche e sociali, Democrazia cristiana e autorità ecclesiastiche in particolare, come invece sarebbe stato necessario.

Un comportamento che Elena Aga Rossi e Victor Zaslavsky, storici che si sono occupati della vicenda, attribuiscono “al timore di vedersi rinfacciata una qualsivoglia forma di adesione al passato regime fascista”.

La tragica situazione perdurò durante il periodo dei governi di unità nazionale perché non ci fu un impegno forte per ristabilire l’ordine e punire i colpevoli. Sulle indagini e sulle relative azioni di repressione si sovrappose la ragione politica sull’esigenza di giustizia.

Le cose cambiarono quando, nel giugno del ’47 si formò il IV governo De Gasperi, il primo senza la presenza delle sinistre.

L’impegno deciso del ministro dell’interno Mario Scelba, dopo mesi e mesi di paure e sopraffazioni, riuscì infatti a ristabilire l’ordine e a rendere più sicure campagne e città.

Le vicende giudiziarie, per punire i colpevoli, che ne seguirono, furono estremamente complesse e, non sempre si conclusero positivamente, anche perché furono ostacolate dall’assenza di collaborazione da parte di chi poteva offrire elementi utili a fare giustizia.

Solo il 29 agosto del 1990, Otello Montanari, un onesto e coraggioso dirigente comunista, già comandante partigiano e deputato del partito, ruppe il clima di omertà dichiarando che bisognava distinguere fra “omicidi politici” commessi durante la stagione della resistenza ed “esecuzioni sommarie” e che quanto era accaduto nel “Triangolo” si iscriveva proprio in questa seconda categoria: uccisioni indiscriminate di avversari politici ed oppositori. Un distinguo che a sinistra non venne digerito.

Per la cronaca, e siamo già alla fine del secolo scorso, Montanari per questa sua presa di posizione, venne buttato fuori dal comitato provinciale ANPI e dalla presidenza dell’Istituto Cervi.

 

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