Partiti e politici
Il primato della politica nell’Italia del Novecento
Della crisi della politica attuale, della sua perdita di capacità di essere strumento di trasformazione della realtà si occupa il volume collettaneo “Il primato della politica nell’Italia del novecento” edito da Laterza e curato da Alessandra Tarquini dedicato, in occasione del suo settantesimo genetliaco, ad Emilio Gentile, uno degli storici più significativi del tempo presente. I singoli contributi – di Alessandra Tarquini, Lorenzo Benadusi, Donatello Aramini, Fabrizio Soriano, Pierluigi Allotti e Paolo Acanfora – affrontano due aspetti caratterizzanti quel primato della politica in Italia affermatosi a partire dall’irrompere delle masse nella scena politica: la costruzione del mito e il culto del leader. Riferimento forte il celebre volume di Thomas Carlyle “Gli eroi ed il culto degli eroi” ma, anche, il meno conosciuto “Uomini rappresentativi” di Ralph Emerson, interpretati da culture politiche della fine dell’ottocento, apparentemente contrastanti, in funzione antidemocratica. L’aspirazione al leader mitico e salvifico ha, infatti, costituito per lungo tempo l’aspirazione delle masse per cui ne deriva che l’arrivo al potere di Mussolini, secondo gli autori, non avrebbe costituito una rottura ma una naturale evoluzione del quadro storico-politico. E Mussolini ed il suo fascismo seppero approfittare di questa condizione di favore per offrire la risposta attesa; “il fascismo, infatti, si configurò come una religione politica espressione di miti, di riti” assegnando allo Stato una funzione pedagogica, quella di modellare l’uomo nuovo, “credente e praticante nel culto littorio”. Parte integrante e pezzo forte di questa pedagogia era il culto della romanità, di una Roma anch’essa sacralizzata. Ma la Roma del fascismo, piuttosto che essere pensata come ricordo nostalgico, veniva utilizzata come slancio verso il futuro, un vero mito della modernità che affondava le sue radici nell’immortalità della città eterna. Il fascismo, inoltre si proponeva come una religione universale necessaria “a salvare il mondo dalla democrazia e dal bolscevismo”. Il crollo del regime totalitario, effetto di scelte sbagliate e forse, diciamo noi, di un certo delirio d’onnipotenza dell’uomo che ne incarnò il mito, portò alla restaurazione della democrazia, peraltro fortemente sottolineata dall’aggettivo “antifascista”. La restaurazione della democrazia che si sarebbe dovuta muovere su linee antitetiche al fascismo, sembrava dunque condannato l’eroe in politica, relegato ad una stagione che si era rivelata fallimentare; in realtà però, è accaduto che quanto era stato dato per morto riemergesse, anche se in forme nuove. A conferma basta fare mente locale sul caso del partito comunista nel quale si sviluppò un vero culto della personalità nei confronti del segretario politico Togliatti. “I comunisti italiani fecero [però] del mito del segretario politico un fenomeno tutto interno al partito” e questo perché il loro spazio di azione non era quello della direzione del Paese. Naturalmente questo culto perdette consistenza dopo il XX congresso del PCUS – che, come è noto, liquidò la sacralizzazione di Giuseppe Stalin – evento dal quale l’esaltazione di Togliatti ebbe sempre minore spazio nella cultura politica dei comunisti. E se apprendere questo relativamente al PCI fa già scandalo, immaginiamoci cosa si dovrebbe pensare laddove si dicesse che anche l’altro partito di massa del dopoguerra, questa volta partito di governo per eccellenza, non era sfuggito alle suggestioni del mito e dell’eroe. Perfino la Dc comprese infatti che anche nel mondo della società di massa e della guerra fredda, “il tempo dei miti politici era più vivo che mai.” Infatti, come evidenziava Paolo Emilio Taviani, uno dei più lucidi dirigenti Dc, per vincere la battaglia politica, Bisognava, offrire alle masse un’idea forte e universale come il mito della nazione e dello Stato. Proprio questi riferimenti forti che hanno accompagnato la storia del dopoguerra sono entrati in crisi ed è questa crisi che, come si scriveva all’inizio, ha generato incapacità di direzione politica e la sensazione, non si sa fino a qual punto reale, di una sorta di “nuovo tramonto dell’Occidente”.
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