Storia

Il Mussolini di Scurati e l’interpretazione del fascismo di Angelo Tasca

24 Aprile 2024

La nascita del fascismo

Non ho letto “M” di Scurati, ma mi sono appassionato (da studente della facoltà di Filosofia, non ancora letterato perdigiorno) alla lettura, in tema, di “Nascita e avvento del fascismo” di Angelo Tasca (sia nell’edizione Laterza anni ’70 come soprattutto nell’edizione Nuova Italia del 1950) e a seguire il minuzioso  “Storia delle origini del fascismo. L’Italia dalla grande guerra alla marcia su Roma”, vol. I, II, III, Bologna, il Mulino, 2012, di Roberto Vivarelli, mentre del “Mussolini” di Renzo De Felice ho letto solo “Il rivoluzionario”.

Il libro di Scurati sicuramente attinge a questa e ad altre opere di ricerca storica. Ne è per così dire una “divulgazione” per lettori popolari e generalisti oltre che presentarsi sotto le vesti di un “romanzo” o di una “narrazione” più che di saggio (con le sue minuziose note e bibliografie incorporate). Non sarebbe perciò uno di quei libri che nelle facoltà di storia verrebbe suggerito agli studenti che intendano studiare il fenomeno storico del fascismo.

A parte qualche svarione non risibile né sottovalutabile per un storico vero  segnalato da Ernesto Galli Della Loggia (per esempio l’uso delle telescriventi in epoca sbagliata, ma anche errori dozzinali tipo aver attribuito la locuzione “la grande proletaria s’è mossa” a Carducci! e non a Pascoli, aver definito Benedetto Croce un “professore” e aver segnalato “milioni” di morti nella Prima Guerra Mondiale quando furono tantissimi certo ma intorno al milione) la fatica di Scurati è stata apprezzata da gente seria, per me, come David Bidussa, e tanto mi basta, per pura triangolazione mentale (non possiamo leggere tutto infatti) per non avere eccessive diffidenze verso la “fatica” di Scurati peraltro premiata dal successo di pubblico.

Tuttavia, spero solo che in questo suo lavoro Scurati  abbia preso in considerazione il punto di vista di Angelo Tasca, dalla cui interpretazione discendono le opere “revisionistiche” o meglio dire “critiche” o non apologetiche, di mera precisazione storiografica, sia di De Felice che soprattutto di Vivarelli, il quale nei suoi minuziosissimi tre volumoni che coprono appena 4 anni, dalla fine della Guerra alla marcia su Roma, suggerisce sempre l’edizione del 1950 dove è presente una illuminante prefazione di decine di pagine sparite nella successiva edizione Laterza degli anni ’70 in cui Tasca precisa la sua interpretazione.

Angelo Tasca (1892-1960) torinese, amico di Antonio Gramsci, fondatore insieme a lui del PCdI dal quale fu espulso nel 1929, con successivi sbandamenti petainisti (collaborò con la repubblica di Vichy ma anche sottotraccia con la resistenza belga e francese) scrisse proprio in Francia nel 1938 “Naissance du Fascisme. L’Italie de 1918 à 1922” che poi sarà tradotto dallo stesso autore in Italia nel 1950 e pubblicato da La Nuova Italia di Firenze con l’aggiunta di quella illuminante prefazione. Qui sostiene la tesi che il fascismo fu la risposta del sistema istituzionale e dell’apparato produttivo sia industriale che agrario all’oltranzismo scriteriato e ideologicamente confuso della sinistra settaria e massimalista del “biennio rosso” e soprattutto delle occupazinoni delle fabbriche. Mussolini già dopo la sconfitta elettorale del novembre del 1919 fu visto entrare letteralmente in depressione e meditare l’abbandono dell’attività politica, quando l’errore fatale della sinistra lo rimise in gioco. Non fu una tesi isolata quella di Tasca, anche Pietro Nenni (l’amico fraterno del Mussolini massimalista imprigionato con lui nel 1911 per aver protestato contro l’invasione colonialista della Libia) a mente fredda nella sua ricognizione “Storia di quattro anni. 1919-1922” approdò a una valutazione simile. Lo stesso Gramsci se ne avvide quando riconobbe in seguito in un articolo: «Fummo, senza volerlo, un aspetto della dissoluzione generale della società italiana». (“L’Ordine nuovo” 15 marzo 1924). In qualche modo questa “lezione” venne interiorizzata dallo stesso Togliatti del “partito nuovo” sempre guardingo verso l’estremismo (che nel suo linguaggio veniva chiamato “settarismo”) dei Secchia.
Sunt lacrimae rerum…

P.s. Certamente, fa impressione leggere nel  libro citato di Roberto Vivarelli la minuziosa ricostruzione che egli fa della occupazione delle fabbriche a Torino (ispirate anche da un articolo di Gramsci sulla “democrazia proletaria” e sulla “espropriazione degli espropiatori”), sulla generosità e spirito di abnegazione degli operai (seppur con qualche eccesso: “le forche caudine” per i dirigenti), ma soprattutto sul dilettantismo dei dirigenti massimalisti e in seguito sulla piccola farsa circa gli ordini di smobilitazione da dare agli operai e il palleggio tra il Sindacato che riteneva l’occupazione un’attività politica e dunque l’ordine del “tutti a casa” spettava al Partito, mentre questo riteneva l’occupazione una rivendicazione “economica” e rimbalzava al Sindacato la decisione. Qualcuno parlerebbe di “dilettanti allo sbaraglio” se non si trattasse di un tragico fatto storico che decise un tratto importante della storia nazionale…

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