Partiti e politici
Il Milazzismo, un populismo in salsa siciliana
Dopo oltre un decennio di incontrastato dominio in Sicilia, il 25 ottobre 1958, un voto del parlamento regionale mise in minoranza la Democrazia cristiana; quel voto fu frutto di un’ibrida convergenza, realizzatasi in Assemblea regionale siciliana dopo grandi polemiche che avevano caratterizzato il dibattito sul tema della riforma industriale.
Quell’ibrida coalizione trovò in Silvio Milazzo, un agrario esponente di spicco dell’ala conservatrice del partito cattolico, il proprio cavallo di Troia, necessario per espugnare la fortezza democristiana.
La cronaca politica battezzò quella vicenda come Operazione Milazzo, e milazzismo divenne appunto sinonimo di operazione politica anomala, di inciucio o operazione di potere.
Anche per questa ragione, a parte il dovere della memoria, spiegare cosa sia stato il “milazzismo” e quali ricadute abbia avuto, soprattutto per la storia dell’autonomia regionale siciliana, costituisce un strumento per comprendere meglio il nostro presente.
Cominciamo col precisare che il termine “milazzismo”, nel gergo politico, indica la convergenza di schieramenti politici diversi per raggiungere un obiettivo comune, quello di spazzare via una maggioranza parlamentare.
E questo è quanto accadde quando, in occasione delle votazioni per l’elezione del nuovo presidente della Regione in sostituzione del dimissionario Giuseppe La Loggia, si videro convergere, a sorpresa, i voti della destra e della sinistra su Silvio Milazzo, facendo così fallire la candidatura ufficiale del partito di maggioranza relativa.
Le ragioni di questa anomala alleanza, realizzatasi fra forze non solo di diversa ma, addirittura, opposta estrazione politica e ideologica, sono spiegabili col malcontento diffuso all’interno della stessa DC siciliana provocata dalla gestione esclusivista delle più importanti leve di potere da parte del suo gruppo egemone che, allora, faceva capo al segretario nazionale del partito Amintore Fanfani.
Giocò, in quest’occasione, anche il tentativo dei partiti di destra (monarchici e missini) di reinserirsi in un gioco di potere dal quale la DC, negli ultimi anni, li aveva esclusi contribuendo a determinare un processo, quasi irreversibile, di arretramento politico.
Da non dimenticare, infine, la spregiudicata tattica dei partiti di sinistra (socialisti e comunisti) di rompere il soffocante sistema di potere democristiano e il clima stagnante consolidato dagli equilibri centristi cavalcando la rivolta interna al partito di maggioranza relativa.
Sullo sfondo, di questi piccoli o grandi giochi politici, stavano tuttavia i problemi di una terra che non era ancora riuscita a ingranare la marcia giusta per avviarsi sulla strada della modernizzazione e dello sviluppo.
E qui la riflessione non poteva che andare alla concezione stessa dell’Autonomia regionale siciliana e ai cambiamenti che la stessa, nel bene o nel male, aveva indotto nella realtà socio-economica dell’isola.
Proprio il milazzismo resuscitò quel sicilianismo piagnone – di cui assunsero la bandiera quanti, non solo politici ma pezzi importanti della stessa società siciliana, si trovarono sul quella barricata – manifestazione evidente di una concezione sbagliata di un’Autonomia che, piuttosto di avere come scopo fondamentale la crescita e lo sviluppo socio-culturale del territorio isolano, continuava a coltivare un disegno tanto velleitario quanto difficilmente realizzabile e, cioè, la promozione della regione come una sorta di Stato in sedicesimo o, come giornalisticamente si scriveva, di uno Stato nello Stato.
Quel movimento, i cui connotati evidenziano forti vocazioni populiste fu, infatti, accompagnato da una vasta mobilitazione popolare e suscitò tante speranze ma, ad un tempo, mostrò fin dall’inizio i suoi limiti anche per le sue contraddizioni interne. Proprio le sue contraddizioni spiegano anche la sua breve durata.
La forte spinta iniziale si consumò, infatti, nel torno di circa due anni.
Il milazzismo scontò infatti l’assenza di una visione progettuale e la sua stagione fu segnata da tutta una serie di scandali, a partire dalla compravendita dei voti in Parlamento, che compromisero la sua credibilità politica.
Infatti, già nel febbraio del 1960, veniva spazzata via dalla ripresa dell’azione politica da parte della Democrazia cristiana che, il voto del maggio 1959, era riuscita a riconquistare la maggioranza relativa.
Nonostante questi limiti quell’esperienza introdusse qualche elemento di positività nel dibattito politico regionale, sancì infatti la fine del centrismo e l’apertura della stagione del centrosinistra che avrebbe visto l’allargamento della base del consenso cui corrisposero molti fattori negativi a cominciare dal consolidarsi di pratiche di corruzione non certo edificanti per finire con il fallimento di quella riforma industriale che, forse, avrebbe consentito all’isola di venir fuori da quel circolo vizioso assistenzialistico-parassitario che, forse, è la vera ragione che ha impedito all’autonomia regionale siciliana di spiegare tutte le sue potenzialità per la crescita socio-economica della Sicilia.
Devi fare login per commentare
Accedi