Storia

Il Medioevo Prossimo Venturo

29 Novembre 2015

Gli attentati di Parigi mi hanno invogliato a riprendere in mano un vecchio classico della storiografia, “Maometto e Carlomagno”. Vecchio ma non consunto, come si diceva fosse un paio di decenni fa. A scriverlo, nel lontano 1937, un autore francofono: Henri Pirenne. Belga, per la precisione, . È un testo che, ancor più che spostare la data di inizio del Medioevo e le sue cause, propose un nuovo modello di interpretazione dei fatti storici, secondo cui cambiamenti epocali possono prodursi anche a partire da fattori esogeni. La teoria di Pirenne è molto semplice: a determinare la fine del mondo antico non è stata la caduta dell’Impero Romano, causata dalle invasioni barbariche, perché a essa non seguì la fine dell’unità mediterranea, né l’estinzione di una civiltà. La frattura invece avvenne a causa dell’avanzata dell’Islam, rapida e imprevista. Che separò Oriente e Occidente e fece sì che il Mediterraneo occidentale diventasse una sorta di “lago musulmano”. Scrive Pirenne nelle conclusioni del libro. “L’Occidente fu imbottigliato e costretto a vivere su se stesso, in condizioni di vano chiuso. Per la prima volta l’asse della vita mondiale si spostò dal Mediterraneo verso il Nord”.
Applicando il paradigma di Pirenne ai tempi che stiamo vivendo, in una distopia alternativa alla “sottomissione” suggerita da Michel Houellebecq, dovremmo forse chiederci se il rischio autentico che corre l’Europa nell’elaborare una risposta all’aggressività di Isis non sia prima di tutto quello di marginalizzazione. La perdita di centralità che per molti versi è già in atto potrebbe conclamarsi a tutti i livelli per l’intervento di un fatto esterno-l’acquisizione di un ruolo preminente nelle rivendicazioni del mondo musulmano verso l’Occidente da parte dello Stato Islamico-gravido però di conseguenze e concatenazioni di eventi nel cuore del Vecchio Continente, capace di mandarne in frantumi la parte residuale di identità e di determinare una drastica riduzione della capacità di produrre modelli esistenziali ed estetici riproducibili a livello globale (ciò che chiamiamo “cultura”).
Certo la storia non è un dispositivo vichiano, che produce corsi ed eventi destinati a ripetersi. Una parte che si presta ad un’analisi differenziale del testo di Pirenne è per esempio quella che si concentra sui modi e i motivi della rapidissima affermazione dell’Islam. Quando Maometto morì, nel 632, niente faceva pensare a un successo così fulmineo dei suoi proseliti. I due imperi confinanti con l’Arabia, quello romano e quello persiano, erano entrambi nella loro fase terminale, non in grado di opporre resistenza. Tuttavia la conquista si realizzò nei tempi di espansioni più effimere, come quelle di Attila, Tamerlano e Gengis Khan, in cui però il fattore/velocità era anche un elemento strutturale di fragilità, e che infatti non durarono. L’Islam invece “ha ancora oggi i suoi fedeli quasi dappertutto dove si è imposta sotto i primi califfi. Ha del miracoloso la sua fulminea diffusione se paragonata al lento progresso del Cristianesimo”, scrive Pirenne. Che individua la ragione di quest’anomalia nel fatto che il musulmano non vuole convertire l’infedele, ma sottometterlo. Marcando la differenza rispetto alle popolazioni germaniche e alle loro conquiste, spiega: “dappertutto dove essi sono, dominano. I vinti sono a loro soggetti, pagano l’imposta, ma per il resto sono del tutto fuori dalla comunità dei credenti. La barriera è insormontabile; non si può fare nessuna fusione tra le popolazioni conquistate ed i musulmani”. C’è una frase del Corano, l’unica, che lo storico belga cita: “Se Dio avesse voluto avrebbe fatto un solo popolo di tutti gli uomini”. È una suggestione ancora potente, che forse ci può aiutare ad approcciare-non a spiegare esaustivamente, sia chiaro-il tema del fallimento di molti processi di inclusione, persino negli immigrati di terza o quarta generazione, che oggi sembra scuotere anche l’Islam moderato.

Versione manoscritta del Corano appartenente al Fondo Marsili.
Versione manoscritta del Corano appartenente al Fondo Marsili.

Naturalmente anche l’indicazione di una possibile chiusura dell’Europa in se stessa, anche se difficilmente riducibile all’allargamento del mondo determinato dai processi di globalizzazione, resta potente, almeno come distopia. Uno dei punti più brillanti di “Maometto o Carlomagno” è la rimozione di un altro assunto storiografico, quello secondo cui la corsa dell’Islam venne bloccata nel 732 a Poitiers. In realtà si aprì un periodo di guerra endemica, su di un ampio fronte che andava dalla Spagna all’Adriatico. La navigazione commerciale nel Mediterraneo venne ridotta ai minimi termini. Alcune merci scomparirono. Un esempio è il papiro. Un altro sono le spezie. L’olio diventò molto raro, e così l’oro. La stessa figura del mercante di professione nei secoli a venire si rivelò marginale. Ancora a metà del nono secolo i Musulmani erano nelle condizioni di potersi stabilire definitivamente in Italia. Nell’838 devastarono Brindisi e Taranto. Nell’840 conquistarono Bari. Nell’841 distrussero Ancona e la costa dalmata, sino alle Bocche del Cattaro. Nell’846 attaccarono Ostia, risalirono il Tevere e profanarono San Pietro. Nell’883 misero a ferro e fuoco la basilica di Montecassino, nell’890 assediarono l’abbazia di Farfa, assalirono Tivoli, Subiaco e la Valle dell’Aniene. Rotto il legame con l’Impero d’Oriente, il papato si avvicinò progressivamente alla dinastia carolingia: attorno a questo il nuovo asse venne forgiata una nuova idea di Europa, “dominata dalla Chiesa e dalla feudalità”. Nacque così un nuovo impero, che però non riuscì mai a esercitare una piena egemonia del Mediterraneo.

Charles de Steuben, "Battaglia di Poitiers", 1834, Palace de Versailles, particolare.
Charles de Steuben, “Battaglia di Poitiers”, 1834, Palace de Versailles, particolare.

Un altro degli aspetti suggestivi del classico di Pirenne è la restrizione del concetto stesso di Europa ai suoi minimi termini, circoscritti alla parte centro-occidentale del continente. Come osservava già Carlo Cipolla nel 1949, “Maometto e Carlomagno” non poneva soluzioni, ma problemi, e il principale era il senso storico del rapporto tra Occidente e Oriente. Ed è innegabile che negli ultimi mesi e ancor di più nelle ultime settimane, con un’accelerazione vertiginosa, la nostra idea di Europa si sia rimpicciolita sino a farci sembrare sempre meno auspicabile l’allargamento alla Turchia, mentre la stessa composizione attuale della UE con 28 Paesi ha mostrato drammaticamente tutti i i suoi limiti. Per la prima volta dopo la conclusione del conflitto dei Balcani siamo tornati a pensare a un Europa Occidentale profondamente diversa dall’Europa Orientale, a partire dai comportamenti politici radicalmente diversi sviluppati a partire dalla crisi siriana (fattore esogeno) e dal problema dei migranti.
Resta da capire se è una visione dell’Europa di questo tipo abbia in qualche modo senso all’interno di una realtà globale che fa apparire la stessa “guerra di civiltà” come un conflitto regionale (così appare oggi ai Cinesi, ci ricordava qualche giorno fa un amico in un post da Pechino). L’Europa di Pirenne rappresentava il mondo antico, quella di oggi è la parte meno dinamica-e tuttavia perfettamente integrata in tutti i processi di trasformazione-di una realtà che è sempre meno riducibile alla visione separata delle diverse regioni. É difficile tenere assieme l’idea di un’Europa che si allarghi sino al Caucaso e quella che continua a finire a Trieste, che sperimentiamo nell’erezione di barriere di contenimento in Ungheria, Slovenia, Croazia, Serbia e, nelle ultime ore, Macedonia. L’idea di Europa in cui abbiamo creduto-ciascuno con la propria porzione di scetticismo e in qualche caso riluttanza-negli ultimi quindici anni forse sta per essere sostituita da qualcosa di diverso.

Nello stesso tempo, una modificazione altrettanto veloce sta avvenendo nella mentalità, se non proprio nella coscienza, delle popolazioni dell’Europa Occidentale (e anche qui c’è uno scarto con la risposta psicologica dell’Europa Orientale: l’enfatizzazione di un sentimento di colpa che si va allargando in una società che pure si era radicalmente laicizzata negli ultimi decenni. Evocando un altro grande classico della storiografia di lingua francese, “Il peccato e la paura. L’idea di colpa in Occidente dal XII al XVII secolo”, di Jean Delumeau, verrebbe da parlare di una vera e propria “pastorale della paura”, una pervasiva pedagogia negativa che tende a determinare dei nessi causa/effetto tra gli eventi tragici che il Mondo Occidentale si riscopre a subire e la sensazione che essi siano in qualche modo una punizione per come ci siamo comportati. Nella tensione “ascetica” di certi modelli di decrescita, nell’evocazione martellante della fragilità strutturale della nostra società e cultura, nella passione verso le iconografie macabre, nell’insofferenza verso le forme di relativismo, e, dall’altra parte, nella diffidenza stessa nei nostri riti e tradizioni scambiata per multiculturalismo-finanche del Natale-sono rintracciabili i sintomi di una rimedievalizzazione dell’Occidente, che può trovare nell’Islam radicale un potente fattore di accelerazione.

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