Storia
Il dolore e la fede
Maria era ai piedi della Croce e Gesú, al cospetto di Dio e consapevole che avrebbe dovuto compiere le Scritture, disse: “Madre ecco tuo figlio”.
Si consumava la tragedia del dolore nella sua portata più pervicace e divorante ogni legge del tempo e della natura delle cose: vedere il proprio figlio morire prima, rispetto al destino della vita,segnato per ognuno di noi.
Un figlio non può morire prima dei suoi genitori. Eppure Maria piange, si dispera, chiede aiuto a Giovanni, il discepolo che il Rabbi amava più di tutti.
Ma sono grida di dolore inascoltate: Gesù dalla Croce vede il tormento della Madre e non scende, pur potendolo fare: infatti allo scherno e dileggio dei soldati romani ( “tu che sei il Figlio di Dio perché non scendi dalla Croce”?) non risponde che con un silenzio sontuoso.
Maria non si rassegna: si dimena, piange lacrime di sangue, si strappa le vesti,perché è insopportabile nella dimensione umana vedere soffrire il proprio Figlio, senza poter fare alcunché: neppure alleviarne il dolore, porgere un sorso d’acqua. Siamo all’annichilamento della ragione, alla pietà che non trova conforto, all’infittirsi della prepotenza e tracotanza che vince la dimensione del tempo: le Moire hanno reciso e tagliato il filo della conta della vita decidendo, scandendo, decretando il trionfo del Male: il Figlio doveva morire prima.
Questo è il dolore più acuto, che entra nel sangue della disperazione, che non può essere inteso da chi non lo prova e ne sente l’angoscia che annerisce ogni conato, ogni sforzo per sopravvivere.
Le Scritture raccontano che ”era il giorno della Parasceve e i Giudei, perché i corpi non rimanessero sulla croce durante il sabato – era infatti un giorno solenne quel sabato -, chiesero a Pilato che fossero spezzate loro le gambe e fossero portati via. Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe all’uno e all’altro che erano stati crocifissi insieme con Lui.Venuti però da Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue e acqua”.
Anche questo vide Maria.
Che senso ha la vita di un genitore che perde anzitempo suo figlio? Come saranno scanditi i suoi giorni?Come possono dimenticarsi le sue sofferenze che si sono conchiuse nella sua morte mentre si vive ancora?
La Pietà può solo consistere nell’accogliere il figlio morente, come il Corpo di Cristo deposto dalla Croce nelle braccia di Maria.
Il dolore nella sua prepotenza può vincere: lo avevano capito anche gli antichi che al Fato
imperscrutabile non potevano opporre nulla, neppure la comprensione del pensiero razionale. Le sue leggi bronzee vanno rispettate, a prescindere.
Forse solo la Fede nel mistero di Dio rende possibile la comprensione del delitto innaturale: che un figlio muoia prima del padre e della madre.
Dostoevskij, nel “Grande Inquisitore”,commentando le grida di scherno di quanti sfidavano Gesù a scendere dalla croce, scriveva: “Ma tu non scendesti dalla croce perché, una volta di più, non volevi asservire l’uomo con il miracolo e avevi sete di fede libera, non fondata sul prodigio. Avevi sete di un amore libero, e non dei servili entusiasmi dello schiavo davanti alla potenza che l’ha per sempre riempito di terrore”.
Lo sguardo di Maria che vede in faccia il dolore-il corpo straziato di Cristo tra le sue braccia- è il segno della Pietà.
E Maria nella scultura di Michelangelo è eternamente giovane, capace dunque di sopportare ogni dolore e di vincerlo con la Forza della Fede: come aveva scritto Dante nella cantica del Paradiso con la preghiera di San Bernardo di Chiaravalle.
La bellezza di Maria non è consunta dal peggiore dei dolori: sarà eletta da Dio, perché da Lei si passa, dalla sua Intercessione per chiedere una grazia .
È così: solo chi ha la Fede può superare il dolore, nella misericordia di Dio.
E chi ha fede-libera da prodigi e miracoli- è un privilegiato di Dio, nel mistero della vita.
Biagio Riccio
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