Storia
“Il Baretti” (1924) 100 e non dimostrarli
Quando il 23 dicembre 1924 esce il primo numero de “Il Baretti” – l’ultima rivista che Piero Gobetti inaugura nella attività febbrile e intensa che lo ha animato dal 1918 – l’intento non è quello di fondare un giornale politico, ma di provare ad affiancare a “La Rivoluzione Liberale” il cui destino e la cui possibilità di vita pubblica gli appare sempre più incerto. Del resto esattamente dieci giorni dopo, nel numero di “La rivoluzione liberale” che apre l’annata 1925 sarà Lelio Basso a teorizzare il fascismo come totalitarismo.
“Lo Strato fascista – scrive Basso firmandosi Prometeo Filodemo, in un intervento dal titolo L’antistato (leggibile qui) – non si limita a tutelare l’ordine costituito con un ordinamento giuridico all’uopo adatto, e nell’ambito del quale sia concesso alle forze contrarie di preparare il terreno per una nuova forma di convivenza sociale; esso rappresenta l’universo popolo, esclude che possa esservi un movimento a sé contrario o comunque diverso, e se qualcuno pur timidamente si mostra, tenta distruggerlo irrimediabilmente. Quando siam giunti a questo punto, quando tutti gli organi statuali, la Corona, il Parlamento, la Magistratura, che nella teoria tradizionale incarnano i tre poteri, e la forza armata che ne attua le volontà, diventano strumenti di un solo partito che si fa interprete dell’unanime volere, del totalitarismo indistinto,…”
Dunque quel passaggio è avvenuto scrive Basso il 2 gennaio 1925. Il discorso che Mussolini terrà il giorno dopo alla Camera dei deputati (qui il testo) quando si assume la responsabilità del delitto Matteotti è già nei fatti. Quel discorso per chi ha avuto occhi aperti e nessun pregiudizio nei mesi dell’Aventino e della sua eclisse, non è una sorpresa. Semplicemente è nelle cose.
La domanda allora per chi non vuol cedere è: che si fa? Come si passa il tempo del totalitarismo? Ovvero non come si sopravvive, ma che cosa si mette in campo per preparare un nuovo tempo?
La risposta è “Il Baretti”, un periodico che di fronte alla neolingua del totalitarismo nascente intraprende una vera battaglia di illuminismo così come scrive Gobetti nel corsivo con cui si apre il giornale intitolato, appunto, Illuminismo, un termine a cui dovremmo cercare di ripensare il profilo, che forse ci appare oggi consumato.
È, quella di Gobetti, un’analisi della situazione presente della letteratura, che sottintende si capisce anche il giudizio politico, ma la letteratura non è qui soltanto un pretesto né i suoi mali stanno soltanto come allusione a mali politici poiché sono pur essi mali reali, portati di una crisi che deve essere superata e perciò prima di tutto conosciuta. Scrive Gobetti:
«Non vorremmo ripetere in nessun modo certi atteggiamenti incendiari, avveniristi e ribelli che indicarono per l’appunto coscienze deboli, destinate a servire. Avendo assistito alla triste sorte delle speranze sproporzionate, delle fiduciose baldanze, delle febbri di attivismo, il nostro proposito è di conservarci molto parchi in fatto di crisi di coscienza e di formule di salvazione; né di lasciarci sorprendere ad escogitare nuove teorie dove basterà la sapienza quotidiana. Abbiamo deciso di mettere tutte le nostre forze per salvare la dignità prima che la genialità, per ristabilire un tono decoroso e consolidare una sicurezza di valori e di convinzioni; fissare degli ostacoli agli improvvisatori, costruire delle difese per la nostra letteratura rimasta troppo tempo preda apparecchiata ai più immodesti e agili conquistatori. (…) Perciò invece di levare grida di allarmi o voci di raccolta incominciamo a lavorare con semplicità per trovare anche per noi uno stile europeo».
Forse si potrebbe di nuovo cominciare da qui.
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