Storia

Il 25 aprile al tempo del Coronavirus

25 Aprile 2020

Il settantacinquesimo anniversario della liberazione, cioè il 25 aprile del 1945, cade in un momento altrettanto drammatico, il nostro Paese sta infatti combattendo una battaglia decisiva contro l’epidemia, un nemico subdolo che ha causato migliaia di vittime e che rischia di mettere in ginocchio la nostra economia, bruciando le conquiste di quel cammino che, proprio dal dopoguerra in poi, ha fatto dell’Italia un Paese socialmente ed economicamente avanzato.

L’emergenza sanitaria in corso, ridimensiona le tradizionali ed attese celebrazioni pubbliche, ma non impedisce di ritornare su una storia che, per quanti sforzi si siano fatti  nella direzione della composizione – ricordiamo il generoso impegno del presidente Ciampi – ancor oggi appare divisiva, una sorta di campo d’Agramante che ha visto schierarsi da un lato quanti esaltano l’evento sacralizzandolo, al punto da bollare come eresia qualunque tentativo di rilettura storica, e dall’altro lato quanti, pur fra tante difficoltà, ne hanno tentato una onesta rilettura critica.

La Resistenza, senza se e senza ma, è stata un grande fatto di popolo che ha coinvolto masse non indifferenti, su questo non ci piove, per averne conferma basta dare un’occhiata ai numeri: i caduti partigiani caduti si contano nell’ordine delle decine di migliaia.

Sarebbe, dunque, poco corretto negare questo dato di partenza. Come sarebbe poco generoso negare che grandi motivazioni ideali ed esempi eroici abbiano coinvolto molti di coloro che, a partire dall’8 settembre del 1943 – che segnò la cosiddetta “morte della Patria”- imbracciarono le armi per combattere il nazifascismo.

E’, invece, una forzatura – tentativo fatto dai comitati di liberazione nazionale – accreditare l’idea di un grande movimento unitario mirato alla liberazione del Paese e al riscatto dell’onore della Patria sottacendo, come pure è accaduto, le divisioni che ne hanno distinto le sue drammatiche fasi.

Se, infatti, queste alte motivazioni ideali possono, senza ombra di dubbio, riscontrarsi nelle altre formazioni, a cominciare da “Giustizia e libertà”, appare molto difficile considerarle prevalenti in quelle comuniste, peraltro maggioritarie, le quali invece puntavano soprattutto, e non ne facevano mistero, all’instaurazione di un nuovo ordine sociale, “una democrazia popolare”, ispirandosi alle concezioni rivoluzionarie leniniste.

Proprio questa constatazione, cioè questo progetto “eversivo” diretto alla fondazione di una repubblica italiana dei soviet, ci fa capire il motivo per cui, per lunghi anni – e con il tacito consenso delle forze democratiche che hanno preferito tacere in nome di un cosiddetto interesse superiore -ci sia stato uno sforzo di confinare nell’oblio molte verità storiche scottanti, quelle relative agli “eccessi e alle aberrazioni”, come li ha definiti Giorgio Napolitano, che – anche questi – segnarono negativamente la storia  della Resistenza.

Di quelle violenze, rivolte non solo contro il nemico nazista, non solo contro i fascisti della repubblica sociale italiana – che, asserviti ai tedeschi, ne avevano agevolato, sostenuto e, in molti casi, direttamente attuato terrificanti azioni repressive anche contro le popolazioni civili –, ne fecero le spese cittadini inermi che nulla avevano a che fare col passato regime e, in non pochi casi, perfino gli stessi compagni di battaglia appartenenti ai partiti non comunisti perché considerati i futuri probabili avversari di quell’ideale rivoluzionario che doveva portare alla realizzazione dell’utopia comunista.

Questa parte non indifferente della storia della guerra di liberazione nazionale – ma anche “guerra civil” come l’ha definita Claudio Pavone – è stata, a lungo, volutamente dimenticata con la giustificazione che parlarne sarebbe stato motivo per “prestare il fianco ai denigratori della Resistenza”.

Ma non averne parlato, come anche l’avere eccessivamente enfatizzato il reale peso che la Resistenza avrebbe avuto nella liberazione del Paese – ricordiamo che senza l’impegno delle forze alleate la guerra partigiana non avrebbe avuto la benché minima possibilità di successo -, ha contribuito ad alimentare equivoci allungando ombre oscure su una storia – elevata, con una certa forzatura, al rango di “secondo risorgimento” – che, tutto sommato, è da considerare anche bella.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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